Grace Paley è “una scrittrice complessa e affascinante”. Così la definisce la professoressa e americanista Annalucia Accardo, nel suo libro L’arte di ascoltare. Parole e scrittura in Grace Palley, pubblicato per la collana Saggi Donzelli nel 2012.
Prenderemo il testo come guida per immergerci nella conoscenza di questa scrittrice e poeta a me fino a poco tempo fa sconosciuta: in questo articolo citeremo diverse parti o riporteremo la voce dell’autrice stessa.
Scoprirla non è stato facile, pur essendoci tanti suoi libri tradotti in italiano, come se Grace Paley fosse ancora una figura scomoda. Come lo fu probabilmente Laura Conti. Femministe, antimilitariste, ecologiste ma soprattutto contro il nucleare, queste donne continuano ad essere poco lette.
In questi giorni di riarmo, bombardamenti, territori colonizzati, ascoltare la voce di Grace Paley tramite il lavoro di Accardo, ci fa respirare ogni parola portata all’oggi dal vento della storia. Una vita, quella di Grace Paley, che non può non suscitare curiosità non fosse altro per come si definiva, una pacifista combattiva. Teoria e pratica come solo il femminismo insegna: parola scritta in forma di poesia e prosa partendo dalle conoscenza sul campo e dalle azioni mettendo in gioco il proprio corpo. Su tutto: contro le guerre, il nucleare, contro la violenza maschile sulle donne, il femminismo e l’internazionalità delle lotte tra la comunità ebraica e quella africana americana. Pagando anche con il carcere.
Vita
Grace Paley nasce a New York, nel quartiere del Bronx, nel 1922, da genitori ebrei ucraini socialisti, emigrati molto giovani negli Stati Uniti, dopo le persecuzioni antisemite dell’Europa orientale. Casa Paley è, sin da subito, un punto di riferimento per tanti nuovi emigrati ebrei, un ambiente dove la giovane Grace apprenderà il profondo significato della parola discriminazione. Un salotto dove si parla tanto e in diverse lingue, dall’yiddish all’inglese al russo, dove Grace Paley ascolta discorsi progressisti di vario genere, nella sua famiglia infatti c’erano socialisti, anarchici e comunisti. L’arte di ascoltare appunto come posizionamento politico, per uno smantellamento del proprio ego con il dialogo che per la scrittrice e poeta sarà sempre importante, per mettersi continuamente in discussione, nell’incontro con le altre persone.
Paley, pur avendo frequentato tante Università statunitensi, non si è mai laureata, ma ha sempre scritto. Alcuni dei suoi primi racconti vengono pubblicati nel 1959 con il titolo di The Little Disturbances of Man: Stories of Women and Men at Love, ripubblicato in Collected Stories (1994). Accardo ne riporta un pezzo dell’introduzione: “ogni donna che ha scritto in questi anni ha dovuto nuotare in quell’onda femminista. Comunque la pensi anche se osi nuotarvi controcorrente, è stata sostenuta da quella spinta di galleggiamento, dal suo fragore, dal suo sale”.
È l’agosto del 1979 quando nella centrale nucleare di Three Mile Island in Pennsylvania, avviene uno dei peggiori incidenti nucleari degli Stati Uniti, è così che dodici donne attive in organizzazioni antinucleari e di pace tengono una riunione urgente. Tra loro c’è Grace Paley. Discutono per la prima volta di femminismo ecologico e del rapporto tra donne ed ecologia. Facendosi chiamare Donne e vita sulla Terra, stilano una Dichiarazione di unità preoccupate del futuro del Pianeta, minacciato dalle armi nucleari, le centrali elettriche, i rifiuti tossici e l’ingegneria genetica.
Il primo manifesto ecofemminista
Nel 1980 parteciperà anche alla Women’s Pentagon Action: è il 17 novembre quando quattro enormi burattini femminili creati dal Bread and Puppet Theatre portano circa 2.000 donne in una marcia verso il Pentagono. Lì circondano l’edificio, mettendo delle lapidi nel prato e dei fili tra loro intrecciati in modo tale da creare una grande ragnatela. Occupano anche le scalinate in segno di protesta per le politiche del Pentagono patriarcali, razziste e volte alla distruzione della terra. Urlano e battono sulle lattine.
Oltre 140 donne verranno arrestate per aver bloccato le porte dei due ingressi. Da questo movimento e con un processo di partecipazione collettiva incredibile, nasce la Dichiarazione della Manifestazione delle Donne al Pentagono.
“Non ci può essere pace quando una razza domina un’altra, una persona un’altra persona, una nazione un’altra nazione, quando un sesso disprezza l’altro”, scriveranno le manifestanti.
Redatto da Grace Paley viene considerato il primo manifesto ecofemminista: “un esempio impareggiabile di scrittura collettiva, dalla quale emerge con chiarezza lo stretto legame tra le lotte per i diritti delle donne, per la pace, per la salvaguardia dell’ambiente e del Pianeta”, ricorda la professoressa Accardo. Quello che le ecofemministe vogliono è la fine della violenza maschile in tutte le sue forme: guerra, povertà, educazione assente o limitata, stupro e maltrattamenti, pornografia, controllo forzato delle nascite, eterosessismo, razzismo, l’impiego dell’energia nucleare e la fine di tutte le oppressioni e tutti i conflitti. “Vogliamo per i bambini un’istruzione che racconti la vera storia della vita delle nostre donne, che descriva la terra come la nostra casa, che deve essere teneramente curata, nutrita e coltivata” dirà ancora Grace Paley nel 1998.
I viaggi
Ma la lotta e i suoi scritti non si fermano agli Stati Uniti, poiché viaggerà molto in missioni di pace e di protesta in America Latina, nel Cile di Allende, in Cina, in Vietnam e in Russia. Si recherà diverse volte anche in Israele.
Riesco quasi ad immaginarmela oggi camminare tra le tende delle Università ad ascoltare i discorsi sull’antispecismo e sulle lotte per porre fine agli allevamenti intensivi, ma soprattutto contro il genocidio in Palestina. Un grido globale e internazionalista come era quello di Grace Paley. Nel saggio autobiografico Sei giorni: alcuni ricordi, la poeta, come ci dice la professoressa Accardo, racconta di quando fu colpevolizzata dalla famiglia perché condannata a scontare sei giorni in prigione per una manifestazione contro la guerra in Vietnam; le inviano un messaggio che rammenta che quell’estate suo figlio non sarebbe potuto andare al campeggio estivo perché non c’erano i soldi che lei aveva promesso di trovare: scriverà “a forza di pensare ai figli grandi degli altri, avevo finito col tradire il mio piccolino”. C’è dentro tutto, la stereotipizzazione e la colpevolizzazione delle madri da parte della cultura patriarcale messa in scena da Grace Paley nel saggio Altre madri dove individuerà proprio nella tradizione patriarcale un pericoloso strumento di repressione delle donne.
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Le poesie
Ecco che alcune sue poesie descrivono in dettaglio le violenze perpetrate dalle dittature come In San Salvador dove si narra di madri che piangono sulle fotografie martoriate dei figli, uno smembramento reso sulla pagina anche attraverso la frammentazione dei versi e degli spazi tra le parole all’interno del verso stesso
un petto un occhio un braccio manca
certe volte un intero stomaco
[…] abbiamo questi grandi
pesanti album di foto pieni di bellissimi
volti straziati
Riporta Accardo a pagina 118. E ancora nella stessa pagina, troviamo i versi di El Salvador: carcere femminile Ballata del giorno di visita una poesia narrativa sulle sorelle dei Desaparecidos narra in particolare la storia di una prigioniera Maria, una comandante, costretta a dar via l’infanzia combattendo.
L’eredità ecofemminista
La voglio ricordare anche per aver co-fondato il Comitato delle donne ebraiche per porre fine all’occupazione della Cisgiordania e Gaza e per essersi opposta all’intervento dell’esercito statunitense in Iraq, nel maggio 2007. Aveva già 84 anni ed era sottoposta a chemio per un cancro al seno. Morirà tre mesi dopo, non smettendo mai di lottare per salvare quel mondo di cui è stata pienamente protagonista.
Uno sguardo internazionale senza mai perdere la vicinanza con quei quartieri newyorkesi devastati dall’urbanizzazione. Infatti nel racconto Ruthy e Edie c’è l’abbinamento citta-guerra; “guardiamo questo posto, pare un’immensa discarica di rifiuti tossici. Una guerra”. L’urbanizzazione è comunque distruzione della natura, soprattutto in quel quartiere dove è nata, nel Bronx, dove le arterie a scorrimento veloce hanno definitivamente trasformato un territorio che non si è mai più ripreso: ad essere sacrificati gli abitanti, più o meno poveri, più o meno borghesi.
Ma è il dialogo il vero centro dell’atto narrativo di Grace Paley; si potrebbe dire che nei suoi racconti non succeda altro che parlare. La descrizione dei personaggi è quasi inesistente; questi si costruiscono mentre narrarono le loro storie, in confronto continuo con gli altri; si impossessano così dell’atto narrativo, esautorando narratrice e narratori dalla possibilità di un controllo autoriale: questo processo dialettico consente l’ascolto di tutte le voci. Ma mai con un linguaggio neutro che Grace Paley impara sin da subito a decostruire perché rappresentazione di un universo maschile che non comprende le donne. Infatti negli scritti della poeta troviamo spesso la consapevolezza, come conclude la professoressa Accardo, che il linguaggio è dominato dal maschile poiché di fatto la lingua esprime un ordine simbolico che rispecchia il sapere egemone che è ancora quello patriarcale.
Una parola infine anche sulle diverse soggettività politiche che ha attraversato: “a volte certe femministe erano razziste, certi afroamericani erano misogini, certi ebrei si comportavano come se avessero il monopolio della sofferenza e quasi tutti sono arrivati troppo lentamente a prendere coscienza della realtà della distruzione della specie, dell’acqua e dell’aria”.
Un’eredità ecofemminista che è ben presente nelle nuove generazioni perché Grace Paley credeva molto nella genealogia della trasmissione dei saperi tra le donne. Quindi leggetela attraverso L’arte di ascoltare di Annalucia Accardo ma anche attraverso i suoi tanti libri tradotti in italiano.
Leggetela ad alta voce perché come disse la scrittrice in un’intervista nel 1988 “lavoro ad alta voce e penso ad alta voce. Una storia, più che sulla carta, la voglio dentro di me; voglio che mi esca dalle labbra”.
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