Ogni soluzione genera nuovi problemi, si sa, e l’idrogeno non è da meno. Così è successo dopo che la Commissione europea ha presentato i tanto attesi criteri per definire quando l’idrogeno possa essere etichettato come proveniente da fonti energetiche rinnovabili: insomma quando può essere definito verde. La dinamica, per chi lo ricorderà, è simile alla sofferta decisione sulla Tassonomia green su nucleare e gas: mesi di discussioni per arrivare a una soluzione di compromesso sbilanciata a favore di chi, all’interno delle istituzioni europee, fa pressioni a favore di nucleare e metano. E conseguenti proteste di scienziati e associazioni ambientaliste.
Cosa va e cosa non va nella proposta della Commissione sull’idrogeno verde
Come nel caso della Tassonomia green, gli aspetti postivi legati alla proposta della Commissione europea sono innegabili. “L’Unione europea ha fornito chiarezza su ciò che rende l’idrogeno verde o meno. Ciò darà il via agli investimenti per l’idrogeno e gli e-fuel (carburanti sintetici ndr), che sono fondamentali per la decarbonizzazione delle nostre navi, aerei e industria pesante”, ha commentato Geert Decock, dell’associazione Transport & Environment. Senza ingenti investimenti, infatti, non siamo nella condizione, al momento, di puntare sull’idrogeno verde.
Al tempo stesso, però, Geert Decock ha usato parole dure definendo il testo “insostenibile” per aver ceduto alle pressioni e allentato le regole per la produzione di idrogeno verde. L’idrogeno sviluppato nei prossimi quattro anni, infatti, potrà utilizzare addirittura l’elettricità prodotta da centrali a carbone e gas. La Commissione ha inoltre scelto di qualificare come rinnovabile l’idrogeno prodotto dall’elettricità proveniente dalle centrali nucleari. “Travolta dal clamore sull’idrogeno, la Commissione ha optato per la quantità piuttosto che per la qualità”, sostiene il responsabile di T&E: “Ciò renderà la rete meno pulita e metterà sotto pressione le bollette delle famiglie”.
Leggi anche: L’idrogeno è più inquinante della CO2? Lo studio di Cambridge e il ruolo dell’Italia
C’è idrogeno e idrogeno: l’importanza di quello “verde”
Per comprendere a fondo le ragioni delle proteste intorno alla proposta della Commissione, ma anche quanto sia indispensabile puntare solo sull’idrogeno verde, è bene aprire una piccola parentesi tecnica sulla produzione dell’idrogeno. Per prima cosa l’idrogeno non è una fonte di energia come il sole o il petrolio, ma è un vettore energetico, cioè viene usato per stoccare l’energia e trasferirla da una forma all’altra e rilascia la stessa energia impiegata per produrlo.
Il vantaggio dell’idrogeno è che lo fa in maniera pulita: bruciando non emette gas serra, nelle celle a combustibile produce elettricità e ha come scarto soltanto vapore acqueo. In natura, però, si trova soltanto legato ad altri elementi, come il metano o l’acqua e per separarlo è necessaria una fonte di energia. Per questo, se il prodotto finale è lo stesso, cambia molto a seconda della fonte di energia utilizzata per estrarlo e da dove viene estratto.
Ad esempio, produrlo dalla massificazione del carbone (idrogeno marrone) o dal metano (idrogeno grigio) è addirittura dannoso per l’ambiente: nel primo caso più di 20 kg di CO2 per ogni kg di idrogeno, mentre nel secondo si scende a 9 kg di CO2, che arriva a 5 kg di CO2 nel caso qualora si utilizzino sistemi di cattura e stoccaggio di carbonio (idrogeno blu). Gli strumenti di Carbon Capture and Storage, hanno però, a loro volta un elevato impatto ambientale, perché tecnicamente complessi e costosi.
L’unico modo per non avere emissioni è ottenerlo dall’elettrolisi dell’acqua, un processo in cui l’acqua è scomposta in idrogeno e ossigeno grazie all’energia elettrica. Secondo i criteri della Commissione europea, però, l’idrogeno può essere considerato “pulito” non solo quando è prodotto con elettricità rinnovabile (idrogeno verde) ma anche proveniente da mix energetici con una forte incidenza del nucleare (idrogeno rosa) e quindi associato a un notevole impatto ambientale a causa delle scorie radioattive.
I problemi legati alla produzione di idrogeno
C’è un altro problema legato all’idrogeno che la Commissione ha affrontato. L’Unione europea mira a raggiungere 10 milioni di tonnellate di produzione interna di idrogeno rinnovabile e 10 milioni di tonnellate di idrogeno rinnovabile importato entro il 2030. Gli elettrolizzatori attuali non superano i 160 MW circa, e sono per la maggior parte associati a progetti di ricerca. L’impianto più grande attualmente in costruzione è da 20 MW. La strategia Ue per l’idrogeno mira, invece, a ottenere 6000 MW di elettrolizzatori alimentati da energia elettrica rinnovabile entro il 2025: più dell’energia elettrica generata dalle turbine eoliche nel 2021 in Ue e Regno Unito.
L’idrogeno verde, però, ha bisogno di un’elevata quantità di energia per essere estratto. Il timore, quindi, è che gli impianti di elettrolisi cannibalizzino l’elettricità proveniente da fonti rinnovabili e destinate ad altri utilizzi. Per evitarlo, la Commissione ha proposto che la produzione utilizzi solo fonti di elettricità rinnovabili “addizionali”, individuando criteri geografici e temporali: l’idrogeno verde deve essere prodotto soltanto quando e dove è disponibile una quantità sufficiente di energia rinnovabile locale. Gli impatti ambientali del trasporto annullerebbero, infatti, i guadagni in termini di emissioni del suo utilizzo, oltre a riversarsi sulle bollette dei cittadini.
“L’idrogeno non è la soluzione di tutti i nostri problemi energetici. Non ha senso usare l’idrogeno ogni volta che è possibile l’elettrificazione diretta. Dovrebbe essere utilizzato solo nei settori dove c’è più bisogno”, avverte perciò Decock di T&E. Ad esempio le industrie energivore che non possono essere decarbonizzate con l’elettrificazione diretta alimentata dalle fonti di energia rinnovabile oppure nel settore dei trasporti, in particolare aviazione e navale.
Leggi anche: È l’ora dell’idrogeno? Per l’IEA servono 1.200 miliardi di dollari di investimenti
Il problema del trasporto e i rischi della miscela di idrogeno e metano
Se l’idrogeno verde è solo un vettore dell’energia prodotta col fotovoltaico o l’eolico o l’idroelettrico, infatti, perché non usare direttamente l’elettricità delle rinnovabili, invece di fare questo passaggio intermedio? La corrente ha già una rete di distribuzione capillare, mentre quella dell’idrogeno è tutta da costruire. E non è neppure facile, perché l’idrogeno, più leggero, non può passare per i tubi del metano. Per questo motivo, ultimamente, si è pensato di mescolare il metano con una parte, non superiore al 10%, di idrogeno, in modo da trasportarlo nei gasdotti.
I guadagni sarebbero enormi perché consentirebbe di non dover ripensare una rivoluzione nella distribuzione e nello stoccaggio. Nuova soluzione, tuttavia, nuovi problemi. E non da poco: l’idrogeno è la molecola più piccola dell’universo e questo gli permette di intrufolarsi con semplicità negli interstizi metallici dei gasdotti causando perdite, guasti ed esplosioni. Insomma, “usare le condutture progettate per il metano per trasportare l’idrogeno è una scelta rischiosa”, conclude un recente studio citato da Legambiente e T&E. Oltre a essere poco efficiente a livello tecnico e ambientale: essendo la molecola così piccola, aumentano anche le possibilità di perdere l’idrogeno “per strada” nei dotti rispetto al gas.
L’Europarlamento vuole davvero l’uscita dal gas?
L’industria del gas, invece, è sorda a questi argomenti. Il problema è che anche a livello europeo non sembra esserci una completa consapevolezza. La commissione Industria del Parlamento europeo ha approvato, infatti, a febbraio alcuni testi sulla decarbonizzazione del settore del gas per adeguarsi al piano REPowerEU. Tra i tanti emendamenti ci sono quelli dedicati agli investimenti in infrastrutture adeguate per creare una “spina dorsale dell’idrogeno”, ovvero una rete trans-europea capace di trasportare e distribuire l’idrogeno dai centri di produzione ai consumatori finali (edifici, industrie e trasporti).
Il Parlamento europeo non esclude, però, la possibilità di miscelare metano e idrogeno e quindi il pacchetto gas “non pone solide basi per un’autentica uscita dal gas fossile e mette sotto attacco l’idea di una struttura indipendente di pianificazione dell’idrogeno perché dà agli operatori del gas il compito di pianificare l’infrastruttura dell’idrogeno, mettendo a repentaglio indicazioni chiare su dove le reti dell’idrogeno saranno utili e dove dovranno andare, rischiando di espandere eccessivamente l’infrastruttura del gas”, ha commentato Ester Bollendorf del Climate Action Network.
La miscelazione dell’idrogeno, fa notare Sean Kidney del Climate Bonds Initiative, è peraltro “inefficiente per la riduzione delle emissioni, con i suoi enormi livelli di perdite di metano. Potremmo passare direttamente all’idrogeno verde, che sta avendo uno sviluppo molto rapido, ma serve una politica Ue sufficientemente ambiziosa”. E la proposta della Commissione europea, con i suoi pregi, come ha dimostrato con l’apertura all’energia elettrica proveniente da centrali nucleari, e addirittura a gas e carbone per i prossimi quattro anni, è tutto meno che ambiziosa.
© Riproduzione riservata