“Anche a voler ridurre al minimo l’uso della plastica, comunque in qualche modo questa ci sarà sempre. E allora non è meglio incentivare il riutilizzo di quella recuperata? Negli anni la plastica ha rappresentato il progresso, perché ha ridotto notevolmente il peso degli elettrodomestici e quindi ha reso anche meno inquinanti i trasporti, oltre a rendere più accattivanti i prodotti”. La visione di Giuseppe Piardi, managing director di Stena Recycling srl, “è pratica prima ancora che etica”, come afferma egli stesso. Amministratore delegato della filiale italiana del gruppo internazionale svedese Stena Metall, ha convinto la casa madre a investire in Italia, “una cosa non così usuale nel nostro Paese”, circa 20 milioni di euro. Con l’obiettivo di creare ad Angiari, in provincia di Verona, uno dei primi impianti europei capace di trattare la plastica dei Raee (rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche), fino ad ottenere, attraverso il processo finale di estrusione, polimeri di plastica come il polistirolo e l’abs. Ovvero una materia prima seconda dalla quale poi realizzare oggetti.
Nell’impianto gemello di Halmstad, in Svezia, la plastica ottenuta è stata utilizzata per realizzare un aspirapolvere riciclato al 100%. In partnership con Electrolux, Stena si è posta “l’ambizioso obiettivo di progettare e produrre un aspirapolvere fatto per essere ricostruito”. Finora l’aspirapolvere è un prototipo ma, come afferma la stessa Stena sul proprio sito, “abbiamo dimostrato che è possibile trasformare la visione in realtà”. Intanto in Italia si lavora in prospettiva, per fare in modo che da un singolo modello si possa passare a migliaia di esemplari riciclati al 100%. Il progetto è in attesa della valutazione di impatto ambientale, comporterà appunto un investimento di 20 milioni di euro e riguarderà un’area di 18mila metri quadri. L’obiettivo è quello di entrare in attività entro la primavera del 2021.
“Dal punto di vista lavorativo pensiamo di aggiungere tra le 80 e le 100 unità al nostro organico – afferma il manager italiano -, in un aumento che riguarda sia la manodopera che i tecnici specializzati. All’impianto verrà infatti associato un laboratorio legato alla qualità del prodotto, che avrà dunque bisogno di chimici e ingegneri. Il motivo dell’investimento è più pratico che tecnico: in questo modo andremo a recuperare il 35-40% dell’intero rifiuto. Non si tratta di recuperare particolari materiali, magari importanti ma comunque limitati nell’utilizzo, ma tonnellate e tonnellate di plastica. Prima del Covid la Cina trattava più di 55 milioni di tonnellate di rifiuti plastici, con arrivi da ogni parte del mondo. Nel corso degli ultimi due anni il c’è stato un azzeramento”.
All’inizio del 2018 lo Stato cinese ha varato la cosiddetta politica Green Sword, mettendo al bando l’import di 24 tipi di materiali da riciclare. Ne ha risentito, tra gli altri, anche il traffico dei Raee. Ecco dunque la necessità dell’Occidente, Europa e Usa in testa, di provare a sopperire a questa mancanza. “Diventa fondamentale passare dallo smaltimento e dall’incenerimento al recupero di materia e di energia – spiega ancora l’ad di Stena Recycling – Si tratta di un bisogno, non di una forzatura del mercato. Il problema è trovare un contesto che poi possa agevolare gli sforzi economici. La mano pubblica dovrebbe incentivare il riuso della plastica invece che limitarsi a tassarla. Per esempio bisognerebbe rendere obbligatorio l’uso della plastica riciclata negli arredi esterni dell’edilizia pubblica, in modo da creare mercati che soffrano meno dell’andamento un po’ eccessivamente altalenante dei prodotti vergine come ad esempio il petrolio. Se vogliamo avere una reale circolarità bisogna che chi investa abbia poi dei ritorni economici”.
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