fbpx
venerdì, Novembre 15, 2024

Economia circolare, se i tempi per gli impianti non vanno d’accordo con quelli del Pnrr

Il Rapporto 2021 sul coordinamento della finanza pubblica della Corte dei Conti contiene un’analisi preoccupante dei tempi di realizzazione degli impianti per i rifiuti urbani, soprattutto per quelli di trattamento. “È necessario semplificare”, sottolinea la Corte

Daniele Di Stefano
Daniele Di Stefano
Giornalista ambientale, un passato nell’associazionismo e nella ricerca non profit, collabora con diverse testate

Ogni anno la Corte dei Conti pubblica il suo Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica. Il Rapporto 2021 ha toccato temi che hanno a che fare con l’economia circolare, in particolare con le infrastrutture: gli impianti. Un aspetto “saliente”, come scrivono i giudici della Corte, “è rappresentato dalle tempistiche di attuazione delle infrastrutture”. Spoileriamo il punto di caduta di questo articolo: se ci basiamo sui tempi medi per la realizzazione delle opere del periodo 2012-2020 e se nulla cambia per il futuro, i finanziamenti degli impianti di trattamento rifiuti previsti nel Pnrr potrebbero non essere scontati.

4 anni e 4 mesi

“La durata media effettiva delle opere […] si attesta sui 4,3 anni”, cioè 4 anni e quasi 4 mesi, scrivono i giudici. Queste tempistiche sono in linea con quelle previste nei progetti, sono dunque “note al soggetto attuatore sin dal primo avvio dei lavori”. Insomma, i soggetti della filiera sanno, già al momento del progetto, che questi sono i tempi richiesti nel nostro Paese.

Se osserviamo la ripartizione per fasi dei tempi necessari per realizzare un’opera per il ciclo dei rifiuti, vediamo che servono 2,7 anni per la progettazione (che include documento di fattibilità, progetto di fattibilità tecnica ed economica, progettazione definitiva e progettazione esecutiva); 0,5 anni per l’affidamento; 1 anno per l’esecuzione (che include anche il collaudo). “Ciò significa che più del 60 per cento del tempo che intercorre dalla progettazione all’entrata in esercizio di una infrastruttura per la gestione dei rifiuti urbani è assorbito dall’iter di progettazione, ivi incluse le fasi autorizzative, a fronte di un tempo tutto sommato fisiologico per l’esecuzione della stessa”, commenta la Corte.

Che auspica “un intervento di semplificazione per ridurre la complessità e la durata degli iter autorizzativi”. Vedremo che il decreto del governo e l’intervento delle Camere saranno all’altezza della sfida (ma qualche perplessità c’è).

Leggi anche: “L’Italia modello di responsabilità estesa in Europa, ma paghiamo i limiti del sistema Paese”

Trattamento: impianti lumaca e tanto NIMBY

Non tutti gli impianti richiedono gli stessi tempi di realizzazione. Le infrastrutture per la raccolta (centri di raccolta, di selezione e riuso) richiedono in media 3,4 anni, “pertanto tempistiche inferiori alla media”, sottolinea la Corte.

Come sappiamo, la media è una coperta, se da un lato da un lato si accorcia, dall’altro si allunga: “Le opere relative allo smaltimento/trattamento (per impianti di trattamento si intendono compostaggio, recupero di materia, centro di riciclaggio, biogas, impianto di trattamento, biostabilizzazione, autocompostaggio, digestione anaerobica, centro Integrato di gestione, TMB, ecodistretto, CSS, n.d.r.) presentano una durata effettiva superiore e pari a 4,7 anni”: 1.715 giorni, oltre 4 anni e 8 mesi).

Da un lato questa differenza è legata al fatto che questi progetti, rispetto a quelli delle opere per la raccolta, sono di importo maggiore e presentano una maggiore complessità tecnica e realizzativa, quindi con tempi di progettazione ed esecuzione maggiori. Dall’altro lato, leggiamo nel Rapporto, per gli impianti legati alla raccolta pesa anche “la maggiore accettazione, che mitiga l’insorgere di NIMBY (Not In My Back Yard) e NIMTO (Not In My Term of Office)”. Maggiore accettazione va probabilmente ascritta ad una “maggiore presunta utilità percepita di questa tipologia di infrastrutture, vissute come meno invasive dai territori per quanto non risolutive”. Una percezione, aggiungono i giudici, “che ben si sposa con l’enfasi posta negli anni nella comunicazione istituzionale sul raggiungimento degli obiettivi di raccolta differenziata, e che con ogni probabilità ha trascurato di coltivare una consapevolezza collettiva circa la necessità di realizzare anche gli impianti di trattamento, riciclo e recupero energetico, necessari alla valorizzazione dei rifiuti e alla chiusura del ciclo”.  C’è probabilmente, si può aggiungere a completamento, una lacuna informativa (e anche formativa) sull’economia circolare, in particolare sulle fasi successive alla raccolta (i trattamenti, appunto), ma anche su quelle precedenti (la prevenzione, il riutilizzo).

Sul filo del rasoio

Se, insomma, la scelta di realizzare un impianto di trattamento venisse fatta oggi, potremmo vedere quell’impianto operativo nel marzo del 2026, appena in tempo per restare nei termini del Recovery Plan che  impone la chiusura dei progetti entro il 31 agosto del 2026. Ma, senza fare le cassandre, ricordiamo che il dato dei 4,7 anni è un dato medio, che non abbiamo ancora idea di quali saranno gli impianti da mettere in piedi, e che gli imprevisti sono sempre dietro l’angolo.

Leggi anche: Senza impianti non può esserci transizione, la visione di Enea

Non solo rifiuti: una debolezza trasversale

Altro dato che la Corte evidenzia è il fatto che “la realizzazione delle infrastrutture per la gestione del ciclo dei rifiuti è decisamente inferiore rispetto a quanto programmato e finanziato”. Non stiamo al passo con le opera da realizzare (sulla cui necessità c’è consenso quasi unanime, meno sul dove realizzarle e su quali realizzare). Una “debolezza nella capacità di execution – sottolinea la Corte dei Conti con un giudizio molto netto – che non si circoscrive alla gestione dei rifiuti, ma che è trasversale”. Fa parte insomma delle tare del sistema Paese. A sostegno di questo giudizio, il rapporto ricorda che “il tasso di assorbimento dei Fondi Strutturali e d’Investimento Europei (SIE), al 31 ottobre 2020 risulta un avanzamento di circa il 42 per cento (sui pagamenti effettuati) rispetto alle risorse programmate 2014-2020”.

© Riproduzione riservata

spot_img

POTREBBE INTERESSARTI

Ultime notizie