L’apparenza inganna. Quando trangugiamo avidamente acqua da una bottiglietta in plastica non sospetteremmo mai che mentre ci dissetiamo stiamo anche ingerendo centinaia di migliaia di microscopici pezzi di plastica. Eppure è così. Lo afferma uno studio di ricercatori della Columbia e della Rutgers University pubblicato l’8 gennaio sulla prestigiosa rivista Proceedings of the National Academy of Sciences.
Gli studiosi statunitensi hanno messo a punto una tecnica più affidabile per osservare le microplastiche e hanno scelto di metterla alla prova appunto con l’acqua in bottiglia contando un numero di minuscoli pezzi di plastica fino a 100 volte superiore a quello stimato in precedenza. Analizzato infatti cinque campioni di tre comuni marche di acqua in bottiglia hanno rilevato una copiosissima presenza di nanoplastica che va da 110.000 a 400.000 pezzi per litro, con una media di circa 240.000. “Gran parte della plastica sembra provenire dalla bottiglia stessa” ha dichiarato all’Associated Press (AP) l’autrice principale dello studio, Naixin Qian, chimico fisico della Columbia.
Ma queste particelle fanno male alla nostra salute? “Questo fatto è attualmente in fase di revisione. Non sappiamo se e quanto siano pericolose”, ha detto ancora ad AP la coautrice dello studio Phoebe Stapleton, tossicologa della Rutgers. “Sappiamo che entrano nei tessuti (dei mammiferi, comprese le persone) e la ricerca attuale sta esaminando cosa fanno nelle cellule”.
La International Bottled Water Association (IBWA) cita l’OMS (vedi oltre) e afferma che “attualmente mancano sia metodi standardizzati sia un consenso scientifico sui potenziali impatti sulla salute delle particelle di nano e microplastica”. Quindi “le notizie riportate dai media sulla presenza di queste particelle nell’acqua potabile non fanno altro che spaventare inutilmente i consumatori”.
Altri studi avevo puntato i riflettori sulla plastica che beviamo.
Già nel 2018, una ricerca pubblicata su Frontiers in Chemistry e condotta da ricercatori della State University of New York di Fredonia hanno rivelato che una singola bottiglia d’acqua conteneva, in media, 325 pezzi di microplastica. Undici marche di acqua in bottiglia di provenienza globale per un totale di 259 bottiglie erano state analizzate dai ricercatori statunitensi: il 93% presentava qualche segno di contaminazione da microplastiche. Se la media è risultata essere appunto 325 piccolissimi pezzi di plastica in un litro d’acqua in bottiglia, “la contaminazione da microplastica – si legge nello studio varia da 0 a oltre 10.000 particelle di microplastica per litro”. E poi: “I dati suggeriscono che la contaminazione proviene almeno in parte dall’imballaggio e/o dal processo di imbottigliamento stesso”.
Il problema è che mentre le micro-nano plastiche hanno sollevato preoccupazioni sempre più allarmanti in tutto il mondo, “rimane una lacuna fondamentale nella conoscenza a causa della mancanza di tecniche analitiche efficaci”, spiegano i ricercatori della Columbia e della Rutgers University. La loro “tecnica di imaging ottico” per l’analisi rapida delle nanoplastiche pare avere invece sensibilità e specificità senza precedenti. L’analisi dell’acqua in bottiglia, dunque, sarebbe solo l’inizio di un cammino che, se il buongiorno di vede dal mattino, non sarà certo rassicurante.
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Micro e nanoplastiche e salute
Dalle acque del mate ai ghiacciai più remoti alle verdure che mangiamo, dal sangue alla placenta fino al nostro cervello, la presenza di microscopiche particelle di plastica è ubiquitaria: microplastiche, da 1 µm a 5 mm di lunghezza, e nanoplastiche: <1 μm (micrometro, millesimo di millimetro: per avere un’idea, il diametro di un globulo rosso è pari 8 µm, un capello non raggiunge gli 80). Una situazione che “ha recentemente sollevato preoccupazioni per la salute. In particolare – scrivono i ricercatori – si ritiene che le nanoplastiche siano più tossiche poiché le loro dimensioni più piccole le rendono molto più adatte, rispetto alle microplastiche, a entrare nel corpo umano”.
“Abbiamo urgentemente bisogno di saperne di più sull’impatto delle microplastiche sulla salute, perché sono ovunque, anche nell’acqua potabile”, diceva nel 2019 Maria Neira, Direttore del Dipartimento di Salute Pubblica, Ambiente e Determinanti Sociali della Salute dell’OMS, organizzazione che aveva condotto un’ampia revisione degli studi scientifici sull’argomento. “Sulla base delle informazioni limitate di cui disponiamo, le microplastiche nell’acqua potabile non sembrano rappresentare un rischio per la salute ai livelli attuali. Ma dobbiamo saperne di più. Dobbiamo anche fermare l’aumento dell’inquinamento da plastica in tutto il mondo”.
Qualche tempo fa EconomiaCircolare.com ha intervistato Federica Tommasi, ingegnere chimico e tecnologo dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) proprio per parlare di microplastiche e salute. Tommasi ci citava la “più referenziata, dettagliata e recente” review sul tema plastica e salute, coordinata (col supporto e contributo della Minderoo Foundation) dal professor Philip J. Landrigan (Global Observatory on Planetary Health, Boston College), luminare sull’argomento, e pubblicata su Annals of global health: “The Minderoo-Monaco Commission on Plastics and Human Health” (marzo 2023). La metanalisi (uno studio che analizza centinaia di altri studi) riporta le esposizioni alla plastica, e le loro conseguenze sulla salute, in tutte le fasi della vita dei polimeri: dall’estrazione delle materie prime al loro trasporto e lavorazione al consumo dei prodotti in plastica fino al riuso, riciclo, smaltimento, incenerimento. Non è questa la sede per illustrare la lunga serie di risultanze della metanalisi dell’equipe di Landrigan (dalle patologie di chi estrae il petrolio per dare vita alla plastica a quelle di chi lavora negli impianti di riciclo o in incenerimento): ci limiteremo a sintetizzare quanto si può leggere nell’abstract dello studio relativamente al consumo, la parte che qui più ci interessa
“Durante l’uso e anche durante lo smaltimento – leggiamo – la plastica rilascia sostanze chimiche tossiche, compresi gli additivi e i monomeri residui, nell’ambiente e nelle persone”. E lo studio pubblicato nei Proceedings of the National Academy of Sciences ne è la conferma. Gli additivi di plastica “alterano la funzione endocrina e aumentano il rischio di nascite premature, disturbi dello sviluppo neurologico, difetti riproduttivi maschili, infertilità, obesità, malattie cardiovascolari, malattie renali e tumori”. Le micro e nano plastiche (MNP) “cariche di sostanze chimiche” che si formano attraverso la degradazione ambientale dei beni e dei rifiuti plastici possono entrare negli organismi viventi, compresi gli esseri umani. “Le prove emergenti, anche se ancora incomplete, indicano che le MNP possono causare tossicità a causa dei loro effetti fisici e tossicologici, nonché agendo come vettori che trasportano sostanze chimiche tossiche e patogeni batterici nei tessuti e nelle cellule”. Ancora: “I neonati nel grembo materno e i bambini piccoli sono due popolazioni a rischio particolarmente elevato di effetti sulla salute legati alla plastica. A causa della particolare sensibilità dello sviluppo precoce alle sostanze chimiche pericolose e dei modelli di esposizione unici dei bambini, le esposizioni associate alla plastica sono collegate a un aumento del rischio di prematurità, di nati morti, di basso peso alla nascita, di difetti congeniti degli organi riproduttivi, di compromissione dello sviluppo neurologico, di alterazione della crescita polmonare e di cancro infantile. L’esposizione precoce alle sostanze chimiche associate alla plastica aumenta anche il rischio di molteplici malattie non trasmissibili in età avanzata”.
“La pericolosità delle plastiche in sé è ancora una domanda senza risposta. Per me, gli additivi sono la cosa più preoccupante”, ha spiegato Jason Somarelli, professore di medicina e direttore del gruppo di oncologia comparata della Duke University interpellato dall’Associated Press. “Noi e altri abbiamo dimostrato che queste nanoplastiche possono essere internalizzate nelle cellule e sappiamo che le nanoplastiche contengono tutti i tipi di additivi chimici che potrebbero causare stress cellulare, danni al DNA e modificare il metabolismo o la funzione cellulare”.
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I costi sanitari legati alle sostanze chimiche nella plastica
Motivi di preoccupazione, dunque, ce ne sono, nonostante l’incertezza. Lo studio coordinato da Landrigan ha valutato anche i costi economici legati ai danni della plastica (tutta la plastica, non solo le microparticelle) alla salute umana: ”Secondo le nostre stime – si legge – nel 2015 i costi sanitari della produzione di plastica hanno superato i 250 miliardi di dollari a livello globale”.
Un’altra recente ricerca pubblicata sul Journal of the Endocrine Society ha quantificato in oltre 249 miliardi di dollari nel solo 2018 i costi a carico del sistema sanitario degli Stati Uniti legati a malattie e disabilità che hanno come concause le sostanze chimiche utilizzate nelle materie plastiche. Scrivono i ricercatori: “La plastica contribuisce in modo sostanziale alle malattie e ai costi sociali associati negli Stati Uniti, rappresentando l’1,22% del prodotto interno lordo. I costi dell’inquinamento da plastica continueranno ad accumularsi finché l’esposizione continuerà ai livelli attuali. Le azioni intraprese attraverso il Trattato globale sulla plastica e altre iniziative politiche ridurranno questi costi in proporzione alle effettive riduzioni delle esposizioni chimiche ottenute”. L’autore principale dello studio, il dottor Leonardo Trasande, professore di pediatria e salute della popolazione presso la NYU Langone Health di New York (quello che in Italia potremmo definire un policlinico universitario) ha detto alla CNN: “Il vero contributo di questo lavoro è aiutare il pubblico a capire quanta parte della minaccia per la salute umana rappresentata dalle sostanze chimiche che alterano il sistema endocrino sia dovuta alla plastica. Stiamo parlando di cancro. Stiamo parlando di danni cerebrali nei bambini piccoli. Parliamo di obesità e diabete, di malattie cardiache e di morti precoci negli adulti”. E ha aggiunto: “In questo momento, gli Stati Uniti non stanno considerando i costi per la propria popolazione delle industrie che continuano a produrre e consumare plastica negli Stati Uniti”.
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