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venerdì, Novembre 15, 2024

Una poltrona per tutti, ora anche i mobili possono essere presi in affitto

Si calcola che negli Usa traslochi più di 11 volte nell'arco di un'intera vita. Tanto, specie se consideriamo che le case si somigliano sempre di più per via dei mobili a basso costo. Che fare allora per diminuire il proprio impatto sull'ambiente anche in questo campo? Ci si può affidare alle tante realtà che affittano ciò che serve

Maurita Cardone
Maurita Cardone
Giornalista freelance, pr e organizzatrice culturale, ha lavorato per diverse testate tra cui Il Tempo, Il Sole 24 Ore, La Nuova Ecologia. Abruzzese trapiantata a New York dove è stata vicedirettore di una testata italiana online, attualmente è corrispondente dagli USA per Artribune oltre a collaborare con diversi media italiani e non. Si occupa di temi sociali e culturali con particolare attenzione alle intersezioni tra arte e attivismo.

Una volta si accendevano mutui per arredare casa. Oggi i prezzi dei mobili sono scesi, gli appartamenti sono più piccoli e si arredano e dis-arredano con più disinvoltura. Ma se si vuole evitare l’effetto “casa di studenti” bisogna essere disposti a spendere. Poi però si cambia lavoro, compagno, città o semplicemente cambiano i gusti ed ecco che i mobili che avevano reso speciale il nostro ambiente diventano rifiuti.

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Case in discarica

In America, dove si stima che una persona traslochi oltre 11 volte nel corso della vita (la media europea è 4) e dove un trasloco può voler dire spostarsi in un altro fuso orario, è pratica comune liberarsi di tutto quando si cambia casa. Spesso portarsi dietro il vecchio arredamento finirebbe per costare di più che ricomprarlo da capo, soprattutto quando si tratta di appartamenti piccoli, come spesso è il caso nelle metropoli. E se molti vendono o regalano quello che riescono sugli scalini davanti casa o su uno dei tanti gruppi online, sui marciapiedi delle città è frequente trovare l’arredamento completo di interi appartamenti, con tanto di lampade e stoviglie.

Secondo dati dell’Environmental Protection Agency, nel 2018 gli statunitensi hanno mandato in discarica 9.7 milioni di tonnellate di mobili, una quantità equivalente all’80 per cento del totale prodotto nello stesso anno. Appena vent’anni fa, quelle tonnellate erano la metà. A contribuire al cambiamento non è solamente il fatto che i millennial sono più nomadi delle generazioni precedenti, ma anche la diffusione su larga scala di colossi come Ikea e Wayfair che hanno popolarizzato l’idea del fast furniture, arredamento a basso costo, con stili che cambiano continuamente seguendo le mode del momento, col risultato che le case si somigliano tutte e che non ci si pensa due volte a disfarsi dei vari tavolini lack o scaffali billie quando (di solito presto) si danneggiano o quando, per un motivo o per l’altro, non servono più.

Ad aggravare la situazione c’è che questi mobili a basso costo sono spesso realizzati con materiali e componenti che non consentono il riciclo, rendendo così inevitabile la strada verso la discarica. E non è solo un problema di rifiuti: come il fast fashion, anche questo è un business che danneggia l’ambiente in tutte le fasi, dalla materia prima, al processo produttivo, fino alla fine vita.

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C’era una volta il leasing

E tuttavia è vero che questi non sono più i tempi quando un divano era per sempre. E a chi non piace avere qualcosa di nuovo in casa… Ma perché questo non pesi sull’ambiente, si può pensare all’arredamento in un’ottica di service economy: chi ha detto che dobbiamo possedere i nostri mobili? Perché acquistare quando si può prendere in prestito? E quando l’armadio o il tavolino da salotto non ci serve più o ci ha stancato, restituirlo o sostituirlo con qualcosa che, seppure non nuovo di fabbrica, è una novità nel nostro spazio. Perché fare la fatica di andare di persona in un negozio per acquistare un arredamento anonimo e identico a quello della casa precedente e magari dover anche pagare per la consegna, quando online posso scegliere tra decine di prodotti che, semmai mi dovessero stancare, posso sempre restituire?

In America il concetto non è nuovo: i negozi in cui i mobili non si vendono ma si affittano esistono da tempo, ma finora erano basati prevalentemente su un modello di leasing che, dopo un certo numero di rinnovi, consente all’utente di scegliere di restituire il prodotto o continuare a pagare le rate fino a coprirne l’intero costo e diventarne così proprietari. Questi sono veri e propri negozi fisici dove il consumatore può vedere e provare i mobili. Con questo modello è nata, oltre 45 anni fa, Cort che negli anni è diventata un colosso con decine di negozi in tutti gli Stati Uniti e che oggi offre anche servizi online, tra cui pacchetti preconfezionati di stanze arredate per studenti e militari.

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L’affitto è cool

Cort è un’azienda storica, ma negli ultimi anni stanno nascendo tante nuove realtà che emergono dal mondo del digitale, dell’e-commerce e della sharing economy. Servizi completamente online e basati su una logica di membership che non necessariamente deve prevedere un riscatto del prodotto. Pagando una quota d’iscrizione, l’utente può scegliere di affittare periodicamente singoli pezzi o intere composizioni, con un alto livello di personalizzazione, un’esperienza d’acquisto comoda, navigazione facile, una presentazione accattivante e una dichiarata vocazione ambientale.

Gli esempi sono tanti. Sulla West Coast c’è Fernish che, con un abbonamento che parte da 99 dollari al mese, consente di ordinare dalla piattaforma online singoli mobili e combinazioni a pacchetto-stanza che poi vengono consegnati e montati gratuitamente. L’azienda propone pezzi d’arredamento di alcuni dei marchi più noti e di moda sul mercato americano. Terminato il periodo di affitto, Fernish ritira gli oggetti a domicilio e li sottopone a un rigoroso processo di pulizia e controllo per poi rimetterli in circolo per il prossimo cliente. I mobili che, dopo l’utilizzo, non soddisfano lo standard Fernish vengono donati ad associazioni partner.

Nata anche questa sulla West Coast ma oggi in espansione su tutto il territorio nazionale, Feather produce in proprio i mobili che affitta, con grande attenzione ai materiali utilizzati, garantendo la sostenibilità della materia prima e la durevolezza dell’arredamento. I prodotti sono progettati in modo modulare, così da favorire la sostituzione di singole parti. Uno style quiz aiuta l’utente a costruire il proprio ambiente e trovare i prodotti più di suo gusto. L’azienda offre consegne a domicilio carbon-neutral e supporta la piantumazione di nuovi alberi in aree che producono legno certificato FSC.

Conjure nasce con in mente New York, una città i cui marciapiedi si riempiono di divani e scaffali ogni fine mese. L’utente può scegliere tra diverse collezioni intitolate a quartieri della città, su un ricco catalogo di oggetti e pacchetti-stanza disegnati da architetti di interni. La quota di iscrizione dà diritto a scegliere di volta in volta se rinnovare l’affitto ogni mese, pagare la differenza e tenersi il prodotto, scambiarlo con qualcos’altro o semplicemente restituirlo. Il sistema dei Conjure Coins permette di acquisire credito verso l’acquisto dei prodotti, consentendo al tempo stesso di provarne di nuovi. In partnership con noti designer e artigiani, Conjure produce anche una sua linea di mobili e accessori a edizione limitata.

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Un buon business per l’ambiente

In un anno in cui ci siamo sentiti tutti un po’ precari e la pandemia ha costretto tanti americani a lasciare le grandi città e riorganizzarsi in nuovi spazi o sistemazioni provvisorie, il business dei mobili in affitto è esploso. Alcune delle aziende appena citate hanno registrato aumenti fino al 300 e 400 per cento delle vendite in certe categorie di prodotti, tra cui accessori e arredi per l’ufficio domestico. Un business redditizio e che sembra avere ancora un alto potenziale, a giudicare dai fondi che alcune di queste aziende stanno attirando in finanziamenti e investimenti. Se questo modello sarà redditizio anche per l’ambiente sul lungo periodo, dipenderà molto, come è spesso il caso nei fenomeni di sharing e service economy, dalla qualità e durata di vita dei prodotti.

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