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domenica, Dicembre 15, 2024

Cosa sappiamo sulle nanoplastiche e perché dobbiamo preoccuparcene

Una nuova ricerca europea fa il punto sulle conoscenze in tema di nanoparticelle plastiche e il loro effetto sulla salute e sull’ambiente. Il report lancia l’allarme: “quando comprenderemo l’entità del pericolo potrebbe essere troppo tardi”

Nicoletta Fascetti Leon
Nicoletta Fascetti Leon
Giornalista pubblicista, allevata nella carta stampata. Formata in comunicazione alla Sapienza, in giornalismo alla Scuola Lelio Basso, in diritti umani all’E.ma (European Master’s Programme in Human Rights and Democratisation) di Venezia. Ha lavorato a Ginevra e New York nella delegazione UE alle Nazioni Unite. Vive a Roma e da nove anni si occupa di comunicazione ambientale e progetti di sostenibilità

Cosa sappiamo sulle nanoplastiche e il loro effetto sull’uomo e sull’ambiente? La recente pubblicazione della serie “Future Brief”, numero 27, promossa dalla DG Ambiente della Commissione europea, prova a fare il punto sullo stato della ricerca e delle conoscenze in materia di nanoparticelle plastiche, quale crescente preoccupazione per l’ambiente e per l’uomo.

Per tirare in estrema sintesi le somme, il report Nanoplastics: state of knowledge and environmental and human health impacts risponde alla domanda come segue: conosciamo così poco le nanoplastiche da non poterne prevedere una regolamentazione specifica, ma ne sappiamo abbastanza da poter provare che esistono e che l’uomo le sta ingerendo e inalando a concentrazioni incalcolabili. E non è una buona notizia.

Plastica onnipresente anche dentro di noi

Un dato è ormai certo. La plastica è onnipresente nell’ambiente. E il suo impatto sta crescendo a tal punto che i rifiuti plastici sono considerati da alcuni un’emergente minaccia al funzionamento e alla stabilità stessa del nostro pianeta su scala globale. Quanto alle nanoplastiche, è emersa la prova che esse siano abbastanza piccole da attraversare le membrane biologiche ed entrare nel sangue e nel cervello e questo potrebbe avere implicazioni per la salute umana, tuttora sconosciute. Per dare evidenza della portata del problema, il report spiega che, in media, una persona adulta ne consuma tra le 39.000 alle 52.000 particelle all’anno, ossia 5 grammi di plastica ogni settimana: l’equivalente di una carta di credito.

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Cosa intendiamo per “nano”

Secondo l’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA) e l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), le microplastiche sono piccole particelle di plastica in genere non più larghe di 5 millimetri. In maniera generica, sono considerate nanoplastiche le particelle di dimensioni più piccole. Una definizione più accurata e ampiamente accettata descrive “una nanoplastica come particella che misura non più di 1 μm (0,001 mm) di diametro in qualsiasi dimensione”. È importante notare che sono considerate nanoparticelle plastiche sia quelle derivate da plastiche convenzionali, che anche quelle biodegradabili e a base biologica. Come le microplastiche, si distinguono in primarie (fabbricate intenzionalmente) e secondarie (che si formano quando le plastiche più grandi si degradano). Sebbene le nanoplastiche condividano molte caratteristiche con le microplastiche, sono un tipo comportamentale distinto di contaminante ambientale. Come spiegano Brewer, Dror e Berkowitz (2020), esse sono: “abbastanza piccole da penetrare più e diverse barriere biologiche, il che a sua volta aumenta il loro potenziale di tossicità e trasporto di altre tossine assorbite all’interno degli organismi, compresi gli esseri umani”.

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Consumiamo plastica anche all’ora del the

Proprio a causa della loro dimensione ridotta, dunque, aumenta la preoccupazione per i potenziali impatti sull’ambiente, sulla catena alimentare e sulla salute umana. Si sottolinea il rischio che queste minuscole particelle possano essere più efficienti nell’attraversare le membrane biologiche rispetto alle microplastiche, già rilevate da alcuni studi addirittura nella placenta umana. Le nanoplastiche possono entrare nel corpo umano attraverso l’ingestione di cibo e acqua contaminati, l’inalazione di particelle sospese nell’aria da tessuti o aria esterna inquinata, oppure la penetrazione tramite ferite o barriere cutanee indebolite. La ricerca ha indicato che le nanoplastiche possono essere ingerite dall’uomo attraverso animali marini contaminati, alimenti, dentifricio, birra, miele, sale, zucchero e persino bustine del the e acqua potabile. Studi in vitro e in vivo hanno dimostrato che aumentandone le concentrazioni, aumentano le risposte genotossiche, infiammatorie e citotossiche. Tuttavia il rischio per la salute umana deve essere ancora indagato.

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Restrizioni europee in arrivo

Come abbiamo visto, le particelle di plastica entrano nell’ambiente e nell’uomo in svariati modi. Le macro e le nanoplastiche “primarie” – ossia fabbricate intenzionalmente – si trovano in una vasta gamma di prodotti per vari scopi, tra cui quelli per la cura della persona, i cosmetici, i prodotti per applicazioni biomediche e i tessuti. Il 30 agosto 2022, la Commissione europea ha pubblicato una bozza di proposta normativa che prevede delle restrizioni sull’immissione nel mercato delle microplastiche, laddove il loro uso comporti inevitabilmente il rilascio nell’ambiente. La norma dovrebbe riguardare, dunque, cosmetici, prodotti per la pulizia e il bucato, fertilizzanti, fitosanitari e rivestimenti per semi. Nel testo non si parla di un limite inferiore per le dimensioni delle particelle, dunque dovrebbe riguardare anche quelle più piccole come le nanoplastiche, sempre che possano essere determinate con gli attuali metodi analitici.

Tempi lunghi per la ricerca vs rischi a breve termine

Le nanoparticelle sono state rilevate ai poli nord e sud, in laghi remoti nell’emisfero settentrionale e nella neve delle Alpi austriache. Possono essere rintracciate all’interno di cellule biologiche e misurate in organismi microscopici. In studi di laboratorio sono state rilevate su alimenti, piante coltivate, molluschi e pesci. Tuttavia, le tecniche per rilevare le nanoplastiche nei campioni ambientali e biologici sono agli inizi, insieme ai modi per valutarne il destino e gli effetti su ecosistemi e su esseri umani. La ricerca sulle (micro e) nanoplastiche è recente e, quindi, ha molte questioni irrisolte di terminologia, definizione, campionamento, caratterizzazione e valutazione del pericolo e dell’esposizione che rendono difficile, se non impossibile, valutare e regolamentare i potenziali rischi.

Da questa ricerca emerge chiaramente, tuttavia, che l’intero ciclo di vita della plastica non si completa quando essa non è più visibile: la plastica continua ad avere effetti ambientali incalcolabili anche quando sembra scomparire. Il mancato controllo di tali invisibili inquinanti, che stanno già permeando gli ambienti terrestri, atmosferici, acquatici e biologici, costituisce un pericolo crescente, le cui proporzioni potrebbero essere comprese appieno, forse solo quando sarà troppo tardi.

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