Il faro del PNRR non illumina le schede elettroniche dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE). Col risultato che le cosiddette “miniere urbane” non vengono adeguatamente sfruttate per recuperare metalli critici strategici per l’industria. S’intende, il PNRR non si è “dimenticato” dei RAEE.
Secondo il monitoraggio OpenPNRR di Fondazione Openpolis aggiornato a dicembre 2024, tra i 173 “progetti faro di economia circolare” finanziati con 600 milioni di euro previsti dall’investimento 1.2 nell’ambito della Missione 2 “Rivoluzione Verde e transizione ecologica” sono infatti 24 quelli relativi al potenziamento della rete di raccolta e degli impianti di trattamento di rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche.
Progetti finanziati complessivamente con circa 60 milioni di euro, anche se sono solo una decina quelli che sinora sono riusciti a spenderne almeno il 20%, rispetto a un valore totale di investimenti previsti di quasi 150 milioni di euro.
Leggi anche: Poca e ancor meno finanziata: il triste destino dell’economia circolare nel PNRR
Estrarre i metalli “speciali” dalle schede elettroniche non conviene
Nell’elenco non c’è però traccia di progetti riguardanti tecnologie per lavorare schede elettroniche. Perché, di fatto, i “giacimenti” di metalli critici strategici in esse contenuti e riutilizzabili come materie prime seconde sono troppo limitati. Manca la massa critica da cui aspettarsi un ritorno economico. E quindi pochissimi operatori privati ci stanno investendo.
Oggi in Italia gli impianti di trattamento di schede RAEE sono rari. E piccoli. Gran parte delle poche schede che si estraggono vengono pertanto spedite in pochi siti specializzati gestiti da grandi gruppi industriali in altri Paesi europei. In primis dalla svedese Boliden e dalla tedesca Aurubis, che hanno economie di scala tali da poter sostenere gli investimenti nelle tecnologie di estrazione e raffinazione anche dei metalli a bassissima concentrazione.
La raccolta stimata e potenziale di schede RAEE in Italia
Ma che volumi di schede si ricavano oggi dai RAEE in Italia? E a quanto si potrebbe arrivare se il tasso di riciclo nazionale dei rifiuti elettrici ed elettronici raddoppiasse e raggiungesse il target Ue del 65% rispetto all’attuale 30%?
Cioè, a che tonnellaggio di schede si sarebbe giunti se nel 2023 in Italia si fossero gestite 1,1 milioni di tonnellate di rifiuti di questo tipo anziché 510mila (367mila domestici e 143mila professionali – dati Report 2023 del Centro di Coordinamento RAEE)?
Numeri ufficiali non ce ne sono, perché i dati sulle quantità di materiali di vario tipo estratti dagli oltre 1000 impianti di trattamento dichiaranti iscritti al registro del CdC RAEE non sono pubblici. Innanzitutto, è bene precisare che solo alcune apparecchiature contengono schede elettroniche. E la ricchezza di metalli in esse presenti dipende dal tipo di dispositivo. Le schede infatti si concentrano nei dispositivi di categoria R3 (Tv e monitor) ed R4 (IT, Consumer Electronics e PED) dei RAEE domestici, di cui nel 2023 sono state processate 176.000 tonnellate.
La stima condivisa da operatori di settore associati a Assoraee e Assorecuperi è che rappresentino intorno al 2% di questo peso. Quindi, 3500 tonnellate. A cui vanno aggiunti quelli professionali, per i quali quantificare i volumi di schede elettroniche è però più difficile. Applicando la stessa incidenza del 2% sul peso dei raggruppamenti pertinenti, verosimilmente non si va oltre le 5mila tonnellate complessive recuperate nel 2023. Che raddoppierebbero se il tasso di riciclo dei RAEE (e in particolare di quelli delle categorie R3 ed R4) fosse stato del 65% anziché del 30%.

Rame e metalli preziosi nelle schede RAEE: l’esempio dell’impianto Iren
La questione è: quanti metalli si possono recuperare da 5mila o 10mila tonnellate di schede elettroniche? Qui il metallo più presente è il rame. Applicando tecnologie avanzate già industrializzate, come l’innovativo processo idro metallurgico dell’impianto Iren di Valdarno inaugurato a fine 2024, il tasso di recupero del rame dichiarato è del 20%. L’azienda toscana lavorerà oltre 300 tonnellate di schede elettroniche all’anno, da cui prevede di ricavare 26 tonnellate di rame metallico puro e 34 tonnellate di rame in polvere. Se esistessero in Italia altri quindici o sedici impianti come quello Iren, sarebbe possibile lavorare 5mila tonnellate di schede l’anno e ottenere 1000 tonnellate di rame. Numeri che non fanno comunque la differenza rispetto al fabbisogno industriale di un metallo di così diffuso impiego.
La struttura di Valdarno è in grado di recuperare anche metalli preziosi. Ma in percentuali molto più basse. Anche perché, per una questione di costi, l’oro e il platino tendono a essere presenti in quantità sempre più ridotte nelle schede di recente fabbricazione installate nei dispositivi di elettronica di consumo di massa. Iren dichiara che da 300 tonnellate l’anno di schede ricaverà 52 kg di oro (17 parti per mille), 104 kg di argento (35 parti per mille) e 26 kg di palladio (9 parti per mille).
Proiettando la percentuale di recupero dell’oro sulle 5mila tonnellate di schede effettive annuali che si ricavano dai RAEE, non si arriva a una tonnellata. Praticamente l’1% della quantità di oro riciclato in Italia (che da dieci anni si aggira stabilmente oltre le 80 tonnellate annue, in gran parte provenienti da scarti di lavorazione industriali del settore orafo (dati Metal Focus – Federorafi). Se si arrivasse a 10mila tonnellate di schede nell’ipotesi migliore, sarebbe massimo il 2%. Non si fa la differenza, quindi. Idem per argento e platino.

E le materie prime critiche per l’industria del CRM Act?
Per quanto riguarda poi gli altri metalli presenti in quantità ridottissime e spesso non facilmente separabili dagli altri materiali, nulla è all’orizzonte come investimenti in Italia. Neanche appunto con il contributo del PNRR.
Eppure le materie prime critiche sono cruciali per la doppia transizione ecologica e digitale. Elementi con nomi sconosciuti al grande pubblico come per esempio il gallio, l’indio, il tungsteno e il niobio (per i quali il Critical Raw Material Act dell’Unione Europea fissa un target di riciclo del 25% entro il 2030) sono infatti utilizzati in settori industriali ad alto valore aggiunto quali l’aerospazio, la robotica, i semiconduttori e l’elettromedicale. Secondo un recente studio di Teha – Ambrosetti, le importazioni italiane di questi quattro metalli valgono complessivamente meno di 100 milioni di euro l’anno. Tuttavia, eventuali blocchi o forti rincari delle relative linee di fornitura internazionali avrebbero un impatto negativo su oltre 35 miliardi di euro di produzione industriale nazionale.
Gli impianti che li possono potenzialmente recuperare dalle schede RAEE rimangono però esclusiva di pochi grandi operatori internazionali che sul mercato hanno quote di mercato, know-how e capitale finanziario adeguati per sostenere gli investimenti tecnologici necessari.
Leggi anche: I numeri e le proposte della filiera degli elettrodomestici
© Riproduzione riservata
Questo articolo è uno degli elaborati pratici conclusivi della nona edizione del corso online di giornalismo d’inchiesta ambientale organizzato da A Sud, CDCA – Centro di Documentazione sui Conflitti Ambientali ed EconomiaCircolare.com in collaborazione con il Goethe Institut di Roma, il Centro di Giornalismo Permanente e il Constructive Network



