Obiettivi climatici raggiunti. Per ora. La Corte dei Conti europea ha pubblicato una relazione speciale sul clima in cui riscontra che l’UE ha sì raggiunto gli obiettivi per il 2020, ma anche grazie al contributo di fattori esterni (crisi finanziaria del 2008 e Covid in primis). Tuttavia, nota la Corte, la Commissione non ha esaminato in che misura i progressi climatici siano stati il risultato delle politiche adottate piuttosto che di questi fattori. E poi la contabilizzazione delle emissioni europee ai fini dell’obiettivo per il 2020 non includeva i gas climalteranti risultanti dagli scambi commerciali e dal trasporto aereo e marittimo internazionale. “Nel complesso – si legge nel documento della Corte – gli auditor della Corte hanno finora riscontrato scarsi segnali indicanti che gli obiettivi dell’UE per il 2030 si tradurranno in sufficienti azioni. Non vi sono informazioni che consentano di sapere se verranno messi a disposizione finanziamenti sufficienti a conseguire tali obiettivi, in particolare dal settore privato”
Gli obiettivi europei per il clima
Nel tempo, l’UE si è posta obiettivi sempre più ambiziosi in materia di energia e di clima per rispondere alla sfida imposta dalla crisi climatica:
- Riduzione delle emissioni di gas a effetto serra del 20% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2020; e del 55% entro il 2030;
- Portare la quota di energie rinnovabili nel consumo energetico complessivo dell’UE al 42,5% entro il 2030, con un’integrazione indicativa supplementare del 2,5% che consentirebbe di raggiungere il 45 %.
- Efficienza energetica: riduzione dei consumi del 20% rispetto al 1990 entro il 2020. Riduzione di almeno il 40% del consumo finale di energia (quella utilizzata dai consumatori finali, come le famiglie) e del 42,5% del consumo di energia primaria (la domanda totale di energia all’interno di un Paese, ad esempio il carburante bruciato per produrre elettricità). Le osservazioni della Corte sono state pubblicate prima delle nuove misure sull’efficienza recentemente approvate;
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Emissioni, rinnovabili, efficienza
Vediamo nel dettaglio gli obiettivi per i tre pilasti dell’azione climatica: emissioni, rinnovabili, efficienza energetica. Al 2020 l’UE ha ridotto le emissioni di gas a effetto serra del 31,9 % rispetto al 1990, raggiungendo così l’obiettivo di un taglio del 20 %. Ma vediamo come la riduzione è avvenuta negli anni. Con una riduzione pari a 303 milioni di tonnellate di CO2e, le emissioni di gas a effetto serra sono scese dell’8,4 % dal 2019 al 2020, l’anno caratterizzato dal rallentamento della crescita economica causato dalla pandemia di COVID-19 (-5,7 % di PIL dell’UE). Gli auditor della Corte hanno stimato il valore probabile delle emissioni di gas a effetto serra nell’UE per il 2020 in assenza della pandemia: sarebbero state all’incirca -27 % rispetto ai livelli del 1990 (anziché -31,9%), “ossia ancora al di sopra delle riduzioni contemplate nell’obiettivo per il 2020”.
Veniamo alla quota di rinnovabili nei consumi energetici complessivi. Obiettivo raggiunto anche in questo caso: nel 2020 le rinnovabili erano a quota 22,1%. Anche in questo caso la pandemia e il freno a mano tirato sull’economia ha fatto la sua parte: senza gli effetti legati al covi gli auditor della Corte stimano che la quota di energie rinnovabili sarebbe stata di circa il 20,5 % nel 2020, appena al di sopra dell’obiettivo del 20 %.
Efficienza energetica: l’obiettivo che l’Europa si è posta per il 2020 (-20% rispetto al 1990) è stato raggiunto, arrivando a tagliare i consumi del 24,6 % rispetto a uno scenario in cui non fossero state intraprese azioni aggiuntive. In questo caso, però, senza il rallentamento legato al covid il target sarebbe stato mancato. La Corte stima infatti che, senza pandemia, il consumo di energia sarebbe diminuito del 17,8 % rispetto allo scenario di riferimento: “Senza la pandemia di COVID-19, è molto probabile che l’UE-27 non avrebbe raggiunto l’obiettivo di efficienza energetica per il 2020”, afferma la Corte.
Gli investimenti e gli effetti sul clima
L’UE si è impegnata a destinare all’azione per il clima almeno il 20 % della dotazione di bilancio per il 2014-2020. Nel giugno 2021, la Commissione ha comunicato che l’UE aveva speso il 20,1 % della dotazione per il periodo 2014-2020, pari a 216 miliardi di euro, per la lotta ai cambiamenti climatici.
La Corte ha riscontrato però che la Commissione ha sovrastimato la spesa per il clima di almeno 72 miliardi di euro, il che significa che “per l’azione per il clima era stato speso circa il 13 % del bilancio dell’UE per il periodo 2014-2020”.
Il conseguimento dell’obiettivo di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra del 55 % entro il 2030 richiederebbe, secondo le stime della Commissione, investimenti aggiuntivi nel solo sistema energetico per circa 392 miliardi di euro all’anno rispetto alla media del periodo 2011-2020. Per azzerare le emissioni nette entro il 2050 nell’UE-27 sarebbe necessario un investimento totale di circa 1 000 miliardi di euro all’anno nel periodo 2021-2050.
Per il periodo 2021-2027, l’UE si è prefissa un obiettivo di spesa generale per l’azione per il clima pari al 30 % del bilancio, vale a dire un totale di 610 miliardi di euro per l’intero periodo o 87 miliardi di euro all’anno. Una spesa inferiore al 10 % degli investimenti totali stimati necessari per raggiungere gli obiettivi per il 2030: una quota rilevante degli investimenti dovrà provenire dai fonti private e nazionali.
E non è solo questione di quantità, bensì di efficacia. Nota la Corte dei conti Ue che la Commissione non sa valutare gli effetti sul clima dei singoli investimenti: infatti “dispone solo di una panoramica parziale delle azioni che si sono rivelate efficaci per il raggiungimento degli obiettivi per il 2020”. Se il panorama è abbastanza chiaro per i settori (come quello energetico o come i grandi emettitori, vedi ad esempio le acciaierie) che rientravano nel sistema di scambio di quote di emissione (emissions trading system – ETS: settori industriali ad alta intensità energetica come raffinerie, acciaierie, cemento, calce, vetro, aviazione civile), lo è meno per le tutto quello che resta fuori (in primis trasporti ed edilizia, ad esempio). In generale, Commissione “non dispone di informazioni sul contributo dei singoli programmi di spesa dell’UE al conseguimento degli obiettivi dell’UE in materia di energia e di clima”. Anche perché i piani nazionali per l’energia e il clima (Pniec) forniscono dati sul fabbisogno di investimenti e sulle fonti di finanziamento, “che consentano di valutare se tali piani costituiscano una base valida per conseguire gli obiettivi per il 2030”
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Il paradosso dei trasporti internazionali
La riduzione globale delle emissioni di gas a effetto serra dell’UE, come abbiamo detto, “è stata principalmente trainata dai settori che rientrano nell’ETS, ossia approvvigionamento energetico e industria. Gli altri settori che non rientrano nell’ETS hanno contribuito in misura minore alla riduzione complessiva delle emissioni di gas a effetto serra, o hanno addirittura aumentato le proprie emissioni. In particolare, tra il 1990 e il 2019, le emissioni di gas a effetto serra sono aumentate in misura considerevole nei settori del trasporto (24 %), del trasporto marittimo internazionale (34 %) e del trasporto aereo internazionale (146 %)”, scrive la Corte. Eppure, paradossalmente, “l’attuale rendicontazione a livello mondiale non tiene conto delle emissioni prodotte dal trasporto aereo e marittimo internazionale, in attesa che venga approvato un accordo su una soluzione mondiale sotto l’egida dell’Organizzazione internazionale dell’aviazione civile”. Nell’UE, nel 2019, proprio questi settori hanno prodotto rispettivamente il 3,4 % e 3,6 % delle emissioni totali di gas a effetto serra. Si tratta dei due settori in cui hanno registrato l’incremento più marcato nel periodo 1990-2019.
Nell’obiettivo dell’UE per il 2020 relativo per le emissioni, erano incluse prodotte dal trasporto aereo interno (voli all’interno di uno Stato membro) mentre quelle generate dal trasporto aereo internazionale (sia i voli all’interno dell’UE sia i voli extra-UE “che rappresentano quasi il 90 % delle emissioni di gas a effetto serra prodotte dal settore”) erano invece escluse. Nel 2021 l’UE ha compiuto un primo passo nella contabilizzazione delle emissioni prodotte dal trasporto aereo e marittimo intra UE, includendo nell’obiettivo dell’UE per il 2030: se questo rende più realistico e meno fittizio il calcolo, rende anche più arduo raggiungere il target. Le emissioni dei viaggi extra-UE (che nel settore del trasporto aereo rappresentano il 56 % del totale) non sono ancora contabilizzate ai fini dell’obiettivo.
Produzione o consumo? L’esempio della Svezia
“Tra il 1990 e il 2019 l’UE ha decarbonizzato la propria economia più velocemente rispetto ad altre grandi economie”. Tuttavia, avverte la Corte di conti europea, “la rendicontazione a livello mondiale applica attualmente un approccio ‘basato sulla produzione’, secondo il quale le emissioni sono contabilizzate dove sono fabbricati i prodotti e vengono generate le emissioni”.
Questo non è il solo approccio possibile: come il nostro magazine ha raccontato oltre alla cosiddetta Domestic Footprint (l’impronta ecologica legata alla produzione) si può calcolare anche la Consumption Footprint, legata invece ai consumi, che rispetto alla prima ha il vantaggio (e l’onestà intellettuale) di misurare e attribuire gli impatti ambientali di ciascun prodotto alla nazione dove lo stesso viene consumato: tiene perciò conto non solo di quanto prodotto da un Paese, ma anche delle importazioni e delle esportazioni. Un approccio di questo tipo tiene quindi conto anche della “rilocalizzazione delle emissioni di carbonio”, quando le imprese trasferiscono la produzione in altri paesi, in cui vigono, ad esempio, requisiti meno rigorosi in termini di emissioni.
Se l’UE utilizzasse un approccio “basato sul consumo”, la Corte stima che le emissioni europee risulterebbero più elevate dell’8 % rispetto ai livelli attualmente indicati: 300 milioni di tonnellate aggiuntive di CO2 visto che l’UE è un importatore netto di merci provenienti dal resto del mondo. Ciò è imputabile al fatto che. Un esempio su questo fronte arriva dalla Svezia. Nell’aprile 2022, il governo svedese ha proposto di includere le emissioni prodotte all’estero per le merci importate nell’obiettivo nazionale relativo alle emissioni di gas a effetto serra. Secondo l’Agenzia svedese per la protezione dell’ambiente, circa il 60 % delle emissioni totali di gas serra riconducibili alla Svezia è originato all’estero.
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Le raccomandazioni della Corte
Alla luce di quanto descritto finora, la Corte raccomanda alla Commissione di:
- assicurare una maggiore trasparenza sulla performance dell’UE e degli Stati membri sull’azione per il clima e l’energia;
- tenere conto di tutte le emissioni di gas a effetto serra prodotte dall’UE, comprese le emissioni associate agli scambi commerciali e quelle causate dal trasporto aereo e marittimo internazionale;
- sostenere l’impegno degli Stati membri per il raggiungimento degli obiettivi per il 2030.
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