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venerdì, Novembre 15, 2024

Sulla plastica progressi troppo lenti. Il report della Ellen MacArthur Foundation

A 5 anni dal lancio del Global Commitment, la più grande iniziativa volontaria per ridurre i rifiuti plastici, i risultati delle imprese aderenti sono migliori delle concorrenti ma ancora insufficienti. Per l’EMAF servono anche misure giuridicamente vincolanti. E cresce l’attesa per il Trattato globale in discussione a Nairobi

Silvia Ricci
Silvia Ricci
Collabora dal 2009 con l’Associazione Comuni Virtuosi come referente Economia Circolare nella realizzazione di iniziative attinenti alla prevenzione dei rifiuti da imballaggio rivolti ai diversi pubblici. Scrive per il sito Comuni Virtuosi e altre testate su tematiche attinenti alla progettazione e gestione circolare dei manufatti monouso. Dal 2022 coordina la campagna nazionale “A Buon Rendere - molto più di un vuoto”, per una veloce introduzione di un Sistema Cauzionale per imballaggi monouso per bevande

La Ellen MacArthur Foundation (EMAF) ha pubblicato i  ‘The Global Commitment Five Years In: Perspective On Progress un rapporto sullo stato di avanzamento dei primi cinque anni dell’iniziativa Global Commitment (GC) sulla plastica lanciata nel 2018 per porre un freno all’inquinamento da plastica attraverso un  “Impegno Globale” costruito da una serie di obiettivi e standard progettati per promuovere un’economia circolare. Hanno aderito oltre 1000 firmatari tra i quali oltre 250 aziende (20% della catena del valore degli imballaggi plastici, 55 governi, oltre 200 organizzazioni globali e altre afferenti agli 11 Plastic Pact Globali. (ora scesi a 10 perché l’European Plastic Pact firmato dall’Italia non è mai stato avviato nella pratica è stato concluso un po’ in sordina).   

Gli obiettivi chiave del GC includono l’eliminazione di imballaggi non necessari che si traducono a fine vita problematici da riciclare, la riconversione ove possibile dal packaging monouso al riutilizzabile, la riduzione dell’uso di plastica vergine, l‘aumento del contenuto da riciclo e la garanzia che tutti gli imballaggi siano riciclabili, riutilizzabili o compostabili al 2025.

Il rapporto mostra che, nonostante alcuni progressi su alcune aree di intervento come un maggior impiego di contenuto riciclato e una riduzione nell’utilizzo di plastica vergine i marchi aderenti non sono sulla buona strada per raggiungere la maggior parte degli obiettivi fissati per il 2025. Mancano infatti solamente due anni al 2025, e con molti più dati e conoscenze ora è chiaro – si legge nel rapporto- dove sono stati compiuti notevoli progressi, nonché quali obiettivi verranno mancati e perché.

L’obiettivo di avere imballaggi riutilizzabili, riciclabili o compostabile al 100% non sarà raggiunto in tempo per molte aziende, e qui gli imballaggi in plastica flessibile e la carenza di infrastrutture di trattamento rappresentano i principali ostacoli.

L’altro settore in cui, nonostante i molti progetti pilota, non si registrano progressi su vasta scala è il riutilizzo, come vedremo più avanti, che incide a sua volta negativamente sulla riduzione della plastica vergine.

Nonostante il probabile fallimento nel raggiungimento degli obiettivi secondo l’EMAF negli ultimi cinque anni i membri hanno comunque “superato significativamente i loro pari” nella loro performance.

“Hanno sostanzialmente ridotto l’uso di numerosi articoli di plastica problematici ed evitabili, stabilizzato l’uso di plastica vergine e più che raddoppiato la quota di contenuto riciclato”, afferma l’organizzazione.

“Aumentando l’uso di plastica riciclata di 1,5 milioni di tonnellate all’anno, i firmatari hanno lasciato sottoterra l’equivalente di un barile di petrolio ogni due secondi – oltre ad evitare 2,5 milioni di tonnellate di emissioni di gas serra”.

Un possibile epilogo negativo che, come ha raccontato Economiacircolare , era evidente nel IV Progress Report del 2022 (riferito al 2021), ma anche dal precedente del 2021( riferito al 2020).

In considerazione dei risultati ottenuti dai partecipanti al GC che, ricordiamo, rappresentano solamente il 20% della catena di fornitura globale degli imballaggi in plastica la pubblicazione di questo rapporto ha lo scopo di attirare maggiormente l’attenzione sui negoziati del Trattato globale sulla plastica delle Nazioni Unite.

Il rapporto arriva infatti pochi giorni prima del terzo Comitato negoziale internazionale (INC-3) per il Trattato globale, che si terrà a Nairobi, in Kenya, dal 13 al 19 novembre.

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“E’ fondamentale portare il riutilizzo degli imballaggi in plastica dalla nicchia alla scala

Nel capitolo dedicato al riuso (pag. 24) si legge che il passaggio dai modelli basati sul monouso a quelli di riuso presenta una delle maggiori opportunità per ridurre il consumo di plastica e l’inquinamento che ne deriva.

Si stima che il passaggio al riutilizzo possa infatti portare ad una riduzione totale di oltre il 20% delle quantità di plastica che finiscono negli oceani entro il 2040.

Se il riutilizzo è fondamentale per ridurre l’uso della plastica vergine lo è altrettanto nel contenimento delle emissioni climalteranti. Si stima che per mantenere il riscaldamento globale al di sotto della soglia di 1,5°sia necessaria una riduzione del 50% nella produzione di plastica. Per quanto riguarda gli imballaggi in plastica il riuso è qui essenziale in quanto tutte le altre strategie  di riduzione del consumo di plastica vergine – riduzione del packaging, sostituzione con altri materiali e riciclo – presentano dei limiti ed effetti collaterali.

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Purtroppo il tasso di riutilizzo già esiguo quando l’iniziativa partì nel 2018 si è ulteriormente ridotto sino a rimanere stazionario al 1,5 % negli ultimi due anni. Questo è il risultato con cui bisogna fare i conti:  nonostante il riutilizzo sia stato riconosciuto avere un ruolo importante nella soluzione della crisi plastica e l’interesse sui sistemi di riuso sia aumentato: con un 61% dei firmatari che hanno avviato dei pilota e costituito gruppi di lavoro sul tema.

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Cosa dicono le ONG dei risultati del Global Commitment sulla plastica

Louise Edge, responsabile internazionale campagne Corporate presso Greenpeace UK, afferma: “La lezione che emerge chiaramente da questa analisi è che le attuali strategie che le aziende stanno utilizzando per affrontare la crisi della plastica stanno fallendo. Nei cinque anni trascorsi dal lancio dell’Impegno Globale, è diventato sempre più evidente quanto la plastica sia dannosa per la salute umana, per la fauna, le comunità e il clima”.

Secondo il rapporto, senza interventi seri l’inquinamento degli oceani è destinato ad aumentare rapidamente nei prossimi decenni.

“Eppure, parallelamente, l’uso collettivo di plastica da parte delle aziende firmatarie ha continuato ad aumentare e la sua produzione è destinata a salire alle stelle”.

Secondo Edge multinazionali come come Unilever, Nestlè e Coca Cola devono ammettere che il riciclaggio non tiene il passo senza una riduzione nel consumo attraverso riuso e ricarica ed un’immediata cessazione nella vendita nel sud del mondo dei cosiddetti sachet, bustine monouso di prodotti altamente inquinanti che stanno contaminando i corsi d’acqua delle comunità.

Sam Pearse, responsabile campagne di Story of Stuff Project che ha in corso una specifica campagna per chiedere a Coca-Cola di rispettare gli impegni presi nel 2022 di aumentare la quota di imballaggi riutilizzabili ( 25% entro il  2030) è intervenuto prontamente  dal sito dell’iniziativa  sulla performance di Coca-Cola emersa dal rapporto.

Sul sito si legge che la multinazionale ha aumentato di 228.000 tonnellate il consumo di plastica vergine per le sue confezioni e ridotto allo stesso tempo, l’uso di bottiglie di plastica riutilizzabili (PET) dal 4% all’1,3%.

Guardando invece alla sua quota di mercato complessiva di bevande vendute in contenitori riutilizzabili (bottiglie di plastica e di vetro e bevande alla spina) si è verificata una riduzione di due punti: dal 16% al 14%.

“L’anno scorso la Coca-Cola ha preso un impegno da leader nel settore ” – afferma Pearse – “ma la prova decisiva sta nel rispetto dell’impegno e il rapporto di oggi della Ellen MacArthur Foundation mostra che l’azienda sta fallendo”.  Se Coca-Cola è seriamente intenzionata ad un maggior riutilizzo, continua, “deve riportare in auge la bottiglia di vetro ricaricabile, tanto pubblicizzata negli Stati Uniti. Ci sono 10 Stati USA con un sistema di deposito cauzionale basati su legislazioni che creano gran parte dell’infrastruttura necessaria per ospitare sistemi di riutilizzo e ricarica ad alte prestazioni, in grado di ridurre le devastanti emissioni di gas a effetto serra. Coca-Cola è stata un tempo un pioniere del riutilizzo e può esserlo di nuovo sostenendo e partecipando ai sistemi di deposito che integrano bottiglie riutilizzabili”.

Cosa dicono le multinazionali firmatarie

Alcune aziende, come PepsiCo, Mars Inc. e Coca-Cola, hanno registrato aumenti nell’uso di plastica vergine, rispettivamente del 10%, 14% e 8%. Le stesse aziende hanno aumentato i livelli di riciclo post-consumo dell’1-6%.

Tuttavia, Jodie Roussell, responsabile delle relazioni pubbliche globali e responsabile Packaging & Sustainability di Nestlé, dice a Packaging Insights che i risultati del rapporto “non sono una sorpresa” e che negli ultimi cinque anni, la FEM abbia posto le basi per i negoziati sui trattati e le EPR: “Siamo consapevoli che, nonostante i buoni risultati complessivi, probabilmente il gruppo di firmatari non raggiungerà l’obiettivo del 100% riciclabile o riutilizzabile”.

Le previsioni della fondazione 

Tuttavia, poiché gran parte dell’industria non ha ancora preso provvedimenti e le imprese firmatarie probabilmente mancheranno gli obiettivi chiave del 2025, la FEM prevede che 20 trilioni di imballaggi in plastica flessibile finiranno nell’oceano entro il 2040, a meno che non vengano adottati obiettivi più ambiziosi misure politiche e normative vincolanti combinate con una maggiore azione imprenditoriale.  Attualmente, circa 25.000 imballaggi di questa tipologia finiscono ogni giorno nell’oceano.

Questi imballaggi sotto forma di involucri, buste e bustine, sono il tipo di plastica in più rapida crescita che viene commercializzato proprio nei mercati caratterizzati da alti livelli di dispersione.

In queste regioni, dove spesso mancano anche adeguati servizi di raccolta e infrastrutture per il trattamento dei rifiuti, numerosi prodotti vengono infatti venduti in sachet: confezioni monoporzione destinate ai consumatori a basso reddito.

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Sander Defruyt, responsabile dell’iniziativa sulla plastica presso l’EMAF, afferma: “Gli insegnamenti tratti dall’Impegno Globale negli ultimi cinque anni hanno dimostrato che è possibile compiere progressi significativi verso la conservazione delle risorse fossili nel suolo e della plastica fuori dall’oceano”.

“Quando abbiamo mosso i primi passi su questo percorso, le azioni su questo argomento erano limitate. Gli sforzi compiuti negli ultimi cinque anni ci hanno permesso di fare un importante passo avanti. Ora sappiamo che i progressi nella lotta ai rifiuti di plastica su scala globale sono possibili e sappiamo quali sono gli ostacoli principali che impediscono ulteriori cambiamenti”.

Sheila Aggarwal-Khan, direttrice della Divisione Industria ed Economia dell’UNEP, accoglie con favore i progressi compiuti dai firmatari dell’EMF negli ultimi cinque anni e afferma che i fallimenti evidenziati nel recente rapporto dovrebbero orientare l’azione nei prossimi negoziati INC-3. “Negli ultimi cinque anni, l’Impegno Globale ha dimostrato come è possibile frenare l’inquinamento da plastica, facendo luce sui ‘punti critici’ che devono essere affrontati per ottenere una corretta riprogettazione del sistema”, afferma.

“Il negoziato in corso per uno strumento internazionale giuridicamente vincolante è un’opportunità per concordare regole, misure e incentivi per un ambiente favorevole alla fine dell’inquinamento da plastica. I governi, le imprese e tutte le parti interessate devono unirsi per garantire di non perdere questa opportunità storica”.

Conclusioni

La via che EMAF indica come la più rapida da percorrere è quella di un “ciclo dell’ambizione” in cui la politica governativa e l’azione delle imprese si rafforzano e alimentano reciprocamente.

Le conoscenze acquisite negli ultimi cinque anni rendono evidente la necessità di un duplice approccio: misure politiche più ambiziose e giuridicamente vincolanti e un’accelerazione dell’azione volontaria delle imprese. Non si tratta di una scelta obbligata: entrambe sono fondamentali per sbloccare i progressi che vogliamo vedere.

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In aggiunta ai meriti che vengono riconosciti alla fondazione EMAF per tutto il lavoro fatto nel corso di oltre 7 anni per rendere l’utilizzo della plastica più circolare, ci sono state alcune scelte fatte sul ruolo che la stessa avrebbe dovuto giocare che ne hanno condizionato i risultati.

Mi riferisco alla scelta compiuta dalla Fondazione di assumere un ruolo da agente catalizzatore del cambiamento che non si esprime su strumenti politici e legislazioni e che, coerentemente con questa posizione, promuove iniziative volontarie mirate ad influenzare altre aziende e i decisori politici.

Un’altra possibile scelta avrebbe potuto essere quella di supportare parallelamente politiche europee di rafforzamento della responsabilità estesa del produttore (EPR: a questo proposito vedasi un recente documento di Recycling Netwerk Benelux e Minderoo Foundation) sul fine vita dei propri prodotti e i sistemi di Deposito Cauzionali. Politiche e strumenti che offrono benefici proprio nel perseguimento degli obiettivi del GC, influenzando, anche qui, la politica europea e le stesse aziende ad attivarsi.

Ad ogni modo torniamo ai blocchi di partenza con l’esperienza maturata sul campo – come dice la EMAF –  e guardiamo al futuro tenendo presente le difficoltà che incontrano i Trattati Globali e le legislazioni europee e nazionali che devono recepirne gli indirizzi.

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Un ostacolo sul fronte delle aziende è insito nel modello di business attuale improntato alla crescita continua, e anche del fatturato che porta i decisori industriali a non intraprendere azioni che possono richiedere investimenti consistenti e riconversioni importanti con ripercussioni sulla performance economica sul breve termine. Un esempio attuale in cui il “ciclo virtuoso di ambizione” ha avuto la peggio lo abbiamo vissuto in questo anno di acceso dibattito sulle proposte nel regolamento sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio (PPWR). In pratica sono state le intense attività di lobbying delle associazioni industriali che   – come  uno studio di InfluenceMap  racconta –  sono riuscite ad indebolire notevolmente alcune misure presenti nella prima bozza.

Anche se a leggere lo studio non sono state le multinazionali ad intervenire direttamente, se non in rare eccezioni e modalità, viene qui da chiedersi se in futuro spingeranno (nei fatti) per una “politica ambiziosa”, o lasceranno salire sulle barricate le loro associazione di categoria, come è avvenuto con il PPWR.

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