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lunedì, Dicembre 16, 2024

“Non se ne perde una goccia ma va ampliato l’uso”: la raccolta degli oli secondo il consorzio RenOils

Da quattro anni il consorzio RenOils contribuisce al recupero di questa tipologia di rifiuto. Con risultati immediati, grazie anche all'ausilio di una banca dati che traccia il percorso dell'olio dalla sua diffusione fino al riutilizzo. Ecco la nostra intervista al presidente di RenOils Ennio Fano

Andrea Turco
Andrea Turco
Giornalista freelance. Ha collaborato per anni con diverse testate giornalistiche siciliane - I Quaderni de L’Ora, radio100passi, Palermo Repubblica, MeridioNews - e nazionali. Nel 2014 ha pubblicato il libro inchiesta “Fate il loro gioco, la Sicilia dell’azzardo” e nel 2018 l'ibrido narrativo “La città a sei zampe”, che racconta la chiusura della raffineria di Gela da parte dell’Eni. Si occupa prevalentemente di ambiente e temi sociali.

È l’ultimo arrivato ma si è fatto già notare: il consorzio RenOils, nato nel 2018, è già diventato un imprescindibile punto di riferimento per gli operatori e i cittadini che intendono raccogliere e riciclare correttamente gli oli e grassi vegetali ed animali alimentari esausti. Secondo gli ultimi dati disponibili, a livello nazionale nel 2021 il consorzio ha raccolto poco più di 49mila tonnellate di oli e grassi vegetali e alimentari esausti, che in quattro anni (dal 2018 al 2021) diventano complessivamente 162.702 tonnellate. RenOils può far affidamento su una capillare rete di partner operativi costituita da 15 aziende di raccolta e trasporto e 27 impianti di trattamento e recupero, rispettivamente operative con 19 e 37 unità locali.

In più in questi quattro anni di attività RenOils ha coinvolto oltre 84mila aziende e serviti circa 4mila Comuni. Come si legge sul sito, “RenOils in qualità di consorzio non svolge direttamente la raccolta ma coordina e agevola le attività dei consorziati per far sì che tutti i soggetti della filiera (produttori di oli esausti, raccoglitori e trasportatori, riciclatori) possano contribuire in modo efficiente al recupero di questa tipologia di rifiuto. Inoltre RenOils sviluppa partnership e accordi con soggetti esterni (ad esempio gli enti locali) per favorire la raccolta degli oli esausti laddove vengono prodotti, come ad esempio presso le famiglie”.

Tuttavia il fiore all’occhiello del consorzio è il cosiddetto R_O_S (RenOils Recycling Oils System), un sistema informatico di supporto unico in Italia nel settore che consente la tracciabilità degli oli esausti e la contabilizzazione effettiva del flusso dei rifiuti gestiti dalla filiera. Di questo e di molto altro abbiamo parlato con il presidente di RenOils Ennio Fano.

Leggi anche: “Scusa, mi ricicli l’olio?”, il dossier sugli oli alimentari esausti

I due consorzi, RenOils e Conoe, raccolgono annualmente circa 80mila tonnellate di oli esausti. Ma le quantità riutilizzate nel nostro Paese superano le 200mila tonnellate annue. Più della metà degli oli esausti provengono dunque dall’estero. Cosa si potrebbe fare per aumentare la raccolta nell’immediato?

Innanzitutto serve precisare che i dati corretti a cui lei fa riferimento vanno contestualizzati: nel 2021 c’è stato un recupero importante rispetto al 2020, che con l’arrivo della pandemia ha significato lockdown e chiusure generalizzate, nonostante il Covid abbia comportato anche l’anno scorso altre chiusure e una diminuzione del flusso dei turisti. È utile poi specificare che sia RenOils sia Conoe riescono a riciclare il 100% degli oli esausti e che questi oli comunque raccolti non vengono utilizzati nello stesso anno della raccolta, perché magari vengono stoccati e differiti nell’utilizzo. Il concetto principale comunque è che non se ne perde una goccia: tutto l’olio che viene raccolto viene recuperato e riutilizzato.

Pare di capire che comunque è necessario ricorrere alle importazioni, o sbaglio?

Diciamola così: l’olio vegetale esausto in Italia è pochissimo. Solo l’Eni ne avrebbe bisogno, per mischiarlo al diesel e ottenere i biocarburanti, un milione di tonnellate nel 2022. Da poco l’azienda ci ha comunicato che dal 2025 questo bisogno raddoppierà, e dunque per Eni saranno necessarie due milioni di tonnellate, e solo per un’industria. Le nostre stime indicano che al massimo delle potenzialità, e dunque se gli oli venissero raccolti da tutte le famiglie e tutti i ristoranti, in Italia potremmo raccogliere al massimo tra le 230 e le 240mila tonnellate annue. Ogni anno gli importatori di olio immettono nel mercato italiano un milione e mezzo di tonnellate di oli: una grossa parte va all’industria alimentare per realizzare tutti gli alimenti; una parte se ne va nelle scatolette, dal tonno allo sgombro; un’altra parte diventa soprattutto olio di semi e viene appunto utilizzato nella frittura. C’è infine una parte notevole di questi oli che viene ingerita.

Da queste stime, dunque, i due consorzi riescono a catturare un terzo degli oli che è possibile raccogliere. Allora cosa potrebbe essere utile per ampliare la raccolta?

Sin dalla nostra nascita abbiamo continuamente organizzato incontri, aperti agli specialisti o generali, per informare sui vantaggi ambientali ed economici della raccolta. Abbiamo da poco firmato un accordo con Eni e il ministero dell’Istruzione per andare nelle scuole elementari e medie, sia dal vivo che in streaming, per una formazione rivolta direttamente agli studenti, spiegando tutto il ciclo dell’olio, dall’albero al riutilizzo. Un altro accordo già attivo è quello con i parchi naturali, dove abbiamo inserito dei raccoglitori, mentre stiamo tentando di chiuderne un altro con i supermercati e la grande distribuzione organizzata, in modo da facilitare la raccolta direttamente quando si fa la spesa. Magari partecipando a una premialità, e dunque a sconti sugli acquisti.

Oggi lo sbocco industriale degli oli vegetali esausti è quello dei biocarburanti, con unico grande soggetto interessato che è Eni. Come vede lei altre possibili filiere per il riutilizzo degli oli? 

Le ricerche per creare altre filiere vanno avanti. Noi come RenOils abbiamo avviato dei progetti con l’università di Milano, penso ad esempio al settore della cosmetica.

Alla scorsa edizione di Ecomondo lei aveva parlato anche della possibilità di alimentare gli impianti elettrici di cogenerazione con gli oli esausti. A che punto siamo su questo versante?

Si tratta di un utilizzo tradizionale degli oli esausti, che verrebbero usati come combustibile per creare energia elettrica. In questo senso la normativa italiana preferisce l’uso degli oli esausti come biocarburante. Noi invece riteniamo che al di là dell’utilizzo finale è bene che ci sia un mercato in cui siano i produttori, siano essi di energia elettrica o di biocarburanti, a dover scegliere su cosa puntare.

Cosa potrebbe servire a livello legislativo per aumentare dunque la raccolta degli oli?

Il ministero della Transizione Ecologica non ha ancora riconosciuto la possibilità per gli oli esausti di essere usati negli impianti di cogenerazione elettrica. Questo a nostro avviso servirebbe ad ampliare gli utilizzi degli oli. Già tre anni fa noi avevamo presentato una domanda in tal senso al Ministero dello Sviluppo Economico.

Nel frattempo è nato un nuovo ministero e le competenze sono passate al MiTe …

A volte si ha la sensazione di restare invischiati nelle lungaggini burocratiche, invece che allargare gli sbocchi.

In questi anni di attività il consorzio RenOils si è contraddistinto, tra le altre cose, per aver creato una banca dati che segue il rifiuto passo dopo passo. Ma ciò è molto più difficile con gli oli usati nelle case. 

Il nostro consorzio è l’unico del settore che si è dotato di una banca dati che traccia il percorso dell’olio raccolta dal punto di raccolta, vale a dire il singolo ristorante, fino al suo riutilizzo finale. A questa banca dati abbiamo dato il nome di ROS, che sta per Recycling Oil System, e la aggiorniamo mensilmente. Anche Ispra ha certificato i nostri dati. Questo è importante perché impedisce gli sprechi.

Questo tracciamento però è impossibile da fare nelle singole case, o sbaglio?

Non sbaglia, ecco perché in questo caso servono campagne di sensibilizzazione e di comunicazione presso le persone, dato che la ristorazione è già obbligata per legge a fare la raccolta. Si possono avviare accordi con le aziende municipalizzate che si occupano della raccolta dei rifiuti nelle città e nei paesi, soprattutto quelli con meno di 5mila abitanti dove i ristoranti sono pochi e si può puntare a ottimi risultati. Oppure si potrebbero dotare le famiglie di semplici recipienti in cui versare gli oli, in modo poi che il conferimento sia ancora più immediato. Le opzioni in campo sono tante. Le faccio un ultimo esempio: noi abbiamo avviato un accordo con i porticcioli, attraverso una convenzione con l’associazione ambientalista Marevivo e la Guardia Costiera. Si dirà: ma lì si raccoglie poco olio. Sensibilizzare però il diportista, che magari ha la barca con la quale va in mare il sabato e la domenica, può essere importante. Perché a quel punto basterà mettere un contenitore nella zona e si evita la dispersione dell’olio in mare.

Ampliare la raccolta, perciò, è ancora possibile? Ma fino a dove si può arrivare? Siamo vicini al massimo consentito?

Rifacendoci alle cifre precedentemente enunciate, in questo modo si potrebbe arrivare a circa 120mila tonnellate di oli raccolti. Un’altra metà va comunque considerata impossibile da raccogliere. Un po’ di olio, ad esempio, se ne va quando si lava il piatto o la padella, determinate dispersioni sono inevitabili perché comunque l’olio è difficile da raccogliere.

In questo scenario è possibile immaginare una raccolta differenziata degli oli – quello delle scatolette, quello proprio di frittura, quello delle conserve?

Il messaggio di RenOils è di mettere tutto insieme, perché quel che conta è evitare la dispersione inutile nel lavandino. I vari tipi di oli vengono poi filtrati  e mescolati al biodiesel per ottenere i biocarburanti.

© Riproduzione riservata

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