Il PC lento, il frigorifero che perde, lo smartphone sempre scarico e il frullatore della nonna che non si accende più. Sono solo alcune delle ragioni che spingono i consumatori a disfarsi di elettrodomestici o dispositivi elettronici, perché per decenni buttarli via e comprarne di nuovi è stato più semplice ed economico che aggiustarli o farli riparare. Un approccio che ha generato un flusso di rifiuti elettronici (RAEE) impressionante, pari a oltre 50 milioni di tonnellate annue prodotte nel mondo, equivalenti a circa 4.500 Torre Eiffel, di cui solo il 15-20% viene effettivamente riciclato. Le comunità dei Repair Cafè e dei Restarters stanno cercando di arginare il fenomeno da tempo, creando spazi ed eventi gratuiti comunitari, che incoraggiano dal basso la cultura della riparazione. Una strategia anti-crisi, che oltre a ridurre la produzione di rifiuti elettronici, scoraggia la fabbricazione di nuovi beni, l’estrazione di materie prime, limitando spreco energetico, di risorse ed emissioni di CO2, con vantaggi per la salute del Pianeta. Anima e motore di questi movimenti diffusi ormai su scala planetaria, sono tanti riparatori volontari. Un esercito di sognatori, composta da smanettoni, ingegneri, elettricisti, patiti dell’informatica. Fra tè, birra e tanta buona musica, al grido di “Don’t despair, just repair” (Riparalo, non disperare), insegnano ai cittadini ad allungare la vita degli oggetti. E stanno contribuendo, con le loro campagne, a riscrivere (almeno in Europa) le normative su ecodesign ed economia circolare.
Repair Cafè
A innescare questa spirale virtuosa è stata la giornalista Martine Postma, che nel 2009 ha lanciato in un teatro di Amsterdam il primo evento repair della storia. Neanche un anno dopo è stata creata la “Repair Cafè Foundation”, presso il centro comunitario De Meevaart. “Oggi l’organizzazione coordina 500 Repair Cafè solo nei Paesi Bassi e oltre 2000 in 36 Paesi del mondo – ci spiega Martine Postma – Siamo cittadini preoccupati per l’ambiente. Ma c’è pure chi vuole risparmiare, fare qualcosa per il quartiere o che desidera incontrare gente e divertirsi”. Ospitati stabilmente dentro biblioteche, associazioni o fondazioni, i Caffè di Riparazione si svolgono con cadenza mensile o settimanale. Agli avventori sono messi a disposizione tutor, postazioni di lavoro, ferri del mestiere, manuali e competenze. “Attualmente nessuna normativa sostiene i Repair Cafè – ribadisce Martine Postma – finanziati da donazioni e in alcuni casi da amministrazioni lungimiranti, che riconoscono l’importanza dell’iniziativa”. Punto di riferimento della community è il portale web, che ai neofiti fornisce un kit di inizio attività, disponibile in sette lingue . Al termine di ciascun incontro, sulla piattaforma “RepairMonitor” vengono inseriti i dati relativi agli interventi operati. Un importante strumento, che consente di stilare report annuali, che offrono un osservatorio privilegiato sul settore. “Dal Rapporto 2018 (quello del 2019 è in fase di redazione, ndr), è emerso che nel corso di 20mila eventi sono stati sottratti oltre 350 mila Kg. di rifiuti dalla discarica, pari al peso totale di 58 elefanti, evitando l’emissione di 8,5 milioni di Kg di CO2 nell’atmosfera”, comunica la fondatrice dei Repair Cafè.
I nemici dei riparatori
Il report ha inoltre evidenziato che la maggior parte degli articoli portati nei Repair Cafè appartiene a grandi brand (Philips, Sony, Bosch, Tefal, Samsung, Miele, HP, Nespresso, Gazelle e Braun). E che il 65% di questi dispositivi necessitava di semplice manutenzione (pulizia, decalcificazione, lubrificazione). “Una prassi ordinaria poco conosciuta dai cittadini – aggiunge Postma – indispensabile per limitare la produzione di nuovi rifiuti”. Resta invece l’obsolescenza programmata il nemico numero uno degli apparecchi elettronici: fili e ingranaggi usurati, interruttori e pulsanti rotti, capacità della batteria ridotta. Componenti, spesso irreperibili sul mercato dei pezzi di ricambio, che segnano così la fine della vita dei prodotti. “La fase più critica? E’ l’apertura degli oggetti – aggiunge la giornalista – Su una riparazione di 45 minuti, 30 sono dedicati alla ricerca delle viti, del meccanismo a scatto. Si prova di tutto per non rompere l’involucro. Purtroppo a mancare sono i manuali ufficiali redatti dai produttori”.
Restart Party
A elaborare dati preziosi è anche il “Fixometro”, un’app sviluppata per creare un database sulle operazioni effettuate da un’altra comunità di ripartatori, quella dei Restarters. Nata in Gran Bretagna, questa promuove incontri “on demand”, estemporanei e itineranti, ribattezzati “Restart Party” (Feste del Riavvio). A organizzarli sono locali, spazi sociali e fiere, che invitano i volontari a condividere attrezzi, know how e abilità. “L’obiettivo è trasmettere il valore della riparazione” racconta Ugo Vallauri, fondatore di Restart Project che, nel 2012, insieme alla collega anglo-americana Janet Gunter, ha lanciato il primo meeting in un pub di Candem Town (Londra). “Dopo anni di esperienza con l’Ong Computer Aid, nell’ambito della cooperazione, ci siamo resi conto che in Africa si cerca di aggiustare di tutto. Mentre le aziende in Occidente si disfano ogni anno di migliaia di PC. Abbiamo cercato, quindi, di cambiare le cose”. Nel tempo i Restart Party si sono diffusi in Italia, Spagna, Norvegia, Canada, Stati Uniti. ”Dal 2013 al 2017, a fronte di oltre 33.400 ore di volontariato svolte in 12 paesi del mondo, sono stati riparati circa 8.000 dispositivi, evitando in questo modo la produzione di circa 21.700 Kg di e-waste e le emissioni di 332.640 Kg di CO2 nell’atmosfera”, rende noto Sergio Almerares di Restarters Milano.
Open Repair Alliance
La comunità ha istituito pure la Giornata Mondiale della Riparazione (3° sabato di ottobre) e festival internazionali come i “Fixfest”, che permettono ai vari gruppi di conoscersi e fare rete. Il primo raduno, che si è svolto a Londra nel 2017, ha coinvolto oltre 200 collettivi, fra cui la società statunitense iFixit, celebre per la fornitura di attrezzi e video-tutorial su smontaggio e manutenzione. L’edizione 2019, invece, ha raccolto a Berlino anche tutta la comunità di Repair Cafè e di Fixer collective. “Siamo diventati parte di un movimento più vasto, che ha definito standard come la Open Repair Alliance, per la condivisione di open data utili a costruire istanze per reclamare normative più attente alla riparazione”, riporta Vallauri. Fra queste c’è la campagna Right to Repair, che raccoglie circa 30 organizzazioni di 12 paesi, per chiedere all’UE di obbligare le industrie a produrre dispositivi aggiustabili in caso di rottura. “Lo scorso ottobre è stato varato il pacchetto ecodesign, che garantisce i requisiti minimi di riparabilità a diverse categorie di elettrodomestici. Mentre con il Piano di azione dell’economia circolare, approvato lo scorso marzo, la Commissione europea si è impegnata a estendere in futuro tali misure anche a tablet, laptop e telefoni cellulari. E questo grazie anche alla pressione della nostra campagna – ha commentato il founder di “Restart Project”, che conclude – Quello che al principio era un fenomeno spontaneo, è cresciuto e diventato più complesso e unisce riparatori comunitari e professionali, chi disegna prodotti e chi si occupa di cambiare le regole del gioco. Siamo consci del nostro ruolo di cittadinanza attiva e siamo decisi a impegnarci per l’incremento sistemico del diritto universale alla riparazione”.
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