E se fosse l’incenerimento dei rifiuti la soluzione per sopperire all’assenza del gas russo? Ultimamente sono tanti i settori che si offrono come alternative a basso costo e a basso impatto per sostituire le forniture di petrolio e gas provenienti dalla Russia. Tra queste c’è anche l’industria della gestione dei rifiuti che, bruciando i suddetti, mira a recuperare energia. Ma quanto vale questo apporto? E che prezzo, ambientale ed economico, comporta? A queste domande prova a rispondere il report Incineration: What’s the effect on gas consumption”, realizzato da Zero Waste Europe.
“A 30 anni dall’entrata in vigore della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici – si legge nel report – l’Unione europea continua a dipendere ostinatamente dai combustibili fossili per il suo approvvigionamento energetico. Il gas è stato spesso percepito come parte di un percorso di transizione attraverso il quale gli Stati membri potrebbero passare a un futuro a basse emissioni di carbonio. L’esperienza, già negli anni ’90, del progressivo passaggio del Regno Unito dal carbone al gas e la significativa (in termini percentuali) riduzione delle emissioni di gas a effetto serra che ne è derivata, ha fatto emergere la prospettiva di un percorso seducente e semplice per l’abbandono del carbone, con la sostituzione di una forma di generazione centralizzata basata sui combustibili fossili con un’alternativa a più basso contenuto di carbonio. Allo stesso modo, a livello domestico, il passaggio dai combustibili fossili solidi alle caldaie a gas ha offerto una via per la riduzione delle emissioni di gas serra legate al riscaldamento delle abitazioni nei Paesi in cui i combustibili fossili hanno dominato”.
Questo è il quadro generale che ha condotto i 27 Stati membri dell’Ue ad affidarsi al gas, in primis quello russo. Ora che quest’ultimo scarseggia, resta la domanda: al posto del gas dovremo bruciare più rifiuti?
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Neppure il 2%: ecco quanto vale l’incenerimento dei rifiuti
Il report di Zero Waste ricorda che è la stessa industria della gestione dei rifiuti a sostenere che “l’incenerimento e il coincenerimento potrebbero essere utilizzati più ampiamente di quanto non avvenga attualmente, con presunti benefici per il cambiamento climatico e il consumo di combustibili fossili”. Secondo il settore, infatti, “l’elettricità e il calore prodotti dai rifiuti attraverso l’incenerimento e la digestione anaerobica sono generati da una fonte locale, affidabile e sicura, che consente di diversificare l’approvvigionamento energetico, in particolare per quanto riguarda le reti di teleriscaldamento e raffreddamento, e di accelerare la diffusione delle energie rinnovabili”.
Zero Waste fa notare che “non è credibile” indicare l’incenerimento dei rifiuti come energia rinnovabile e che al vertice della gerarchia della gestione dei rifiuti c’è la prevenzione. “Nessuna industria parte con l’obiettivo di generare rifiuti – si legge – I materiali sprecati rappresentano energia ed emissioni sprecate. Finché ci saranno rifiuti, questi andranno ovviamente gestiti, ma nel contesto di un quadro di riferimento volto a ridurne la produzione”. D’altra parte, si ricorda ancora, “l’incenerimento produce già elettricità e calore. Gli impianti esistenti non contribuiscono ulteriormente a ridurre il consumo di gas, a meno che non producano più energia. Il livello di consumo di gas tiene già conto della produzione esistente”.
A voler dare comunque per buona l’ipotesi, difficile da realizzare, che tutta l’elettricità e tutto il calore avuto in Europa grazie ai combustibili fossili dalla Russia possano essere sostituiti soltanto dall’incenerimento dei rifiuti, quanto sarebbe questa quota? Utilizzando i dati Eurostat relativi al 2020, secondo Zero Waste Europe “la quantità totale di gas sostituita dalla produzione di energia elettrica equivarrebbe a circa l’1,9% della domanda totale attuale di gas. Il calore derivato prodotto dai rifiuti equivale a un ulteriore 1,8%”. Un po’ poco per giustificare una pratica dannosa dal punto di vista climatico. E una lezione da tenere a bada anche per il nascente inceneritore di Roma.
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Le conclusioni del rapporto di Zero Waste
Davvero vale la pena affidarsi agli inceneritori per ricavare energia (così poca, poi)? “L’opportunità di costruire nuove strutture deve essere collocata sullo sfondo di un’urgente necessità, accresciuta dall’attuale crisi legata all’invasione della Russia. di decarbonizzare l’energia e i rifiuti – sostiene il report di Zero Waste Europe – Dato l’effetto del primo sulla capacità degli inceneritori di trattare i rifiuti, la necessità di capacità aggiuntiva è ridotta al minimo, mentre diventa sempre meno desiderabile, dato che la fonte di energia sostituita per la nuova capacità diminuisce in termini di intensità di carbonio a fronte dei rinnovati impegni per affrontare le emissioni di gas a effetto serra dalla generazione di energia. Va inoltre considerato che è improbabile che i tempi di sviluppo di nuovi impianti di incenerimento siano brevi, laddove non siano già stati pianificati. A breve termine, quindi, sembra altamente improbabile un contributo aggiuntivo da parte dell’incenerimento, mentre a lungo termine gli argomenti a favore di una capacità aggiuntiva rimangono deboli”.
È la solita storia degli ultimi anni: nel nome dell’emergenza si assumono decisioni che poi si rivelano a lungo termine, sacrificando la sostenibilità. A livello energetico lo abbiamo visto in Italia con la riapertura delle centrali a carbone e lo stiamo vedendo con il ricorso forsennato al Gas Naturale Liquefatto. “Forse la raccomandazione più importante che ne deriva è che, sebbene sia necessario prendere alcune decisioni sgradevoli a breve termine (in quanto implicano un temporaneo allentamento degli impegni verso gli obiettivi di cambiamento climatico), non ha senso permettere che perturbazioni a breve termine, per quanto grandi, facciano deragliare i piani di decarbonizzazione dell’energia – afferma ancora il report – Al contrario, questo shock potrebbe persino fornire una verifica della realtà sul ritmo con cui il cambiamento deve essere realizzato in molti Stati membri. Nonostante i progressi compiuti nell’aumentare la produzione di energia rinnovabile e a basse emissioni di carbonio, l’approvvigionamento energetico dell’Ue è ancora fortemente dipendente da forniture ad alta intensità di carbonio basate su combustibili fossili. Le campagne per la cessazione dell’uso o degli investimenti nel carbone non sono affatto sufficienti e potrebbero persino aver tentato alcuni politici di immaginare che l’aumento delle forniture di gas, come passo intermedio durante la graduale eliminazione del carbone, sia sufficiente per raggiungere gli obiettivi del cambiamento climatico. Non è così”.
Per il network europeo la strada invece è un’altra: non ha senso sostituire una fonte di energia ad alta intensità di carbonio con un’altra. “Queste fonti – si legge ancora – devono essere emarginate a tal punto da garantirne l’eliminazione graduale, in modo che le fonti sostituite non siano quelle la cui scomparsa è assicurata da normative e incentivi, ma le altre fonti che altrimenti sarebbero state incluse nel mix per raggiungere gli obiettivi desiderati. Il tempo non è dalla nostra parte. Piuttosto che prendere in considerazione un’espansione di impianti che, senza CCUS (la cattura e lo stoccaggio di carbonio, nda), sono emettitori significativi di CO2, e che non diventeranno operativi nel breve termine, né saranno facilmente spegnibili, l’obiettivo dovrebbe essere quello di concentrarsi sulla riduzione dei consumi (e dei rifiuti) e sulla massimizzazione del riciclo dei materiali a fine vita, anche attraverso l’uso della selezione dei rifiuti misti prima dell’incenerimento. Quest’ultima misura avrebbe in realtà l’effetto di aumentare la capacità degli impianti esistenti di trattare i rifiuti, qualora fosse necessario”.
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