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venerdì, Novembre 15, 2024

Ricambi per gli elettromedicali, il progetto “anti-Covid” ignorato dalle istituzioni

L’azienda bolognese Dismeco da mesi propone a ospedali ed enti locali il progetto sperimentale MDRe – Medical Device Regeneration, per recuperare e riutilizzare i ricambi da apparecchiature elettromedicali inutilizzate o dismesse. Senza però ottenere risposte

Andrea Turco
Andrea Turco
Giornalista freelance. Ha collaborato per anni con diverse testate giornalistiche siciliane - I Quaderni de L’Ora, radio100passi, Palermo Repubblica, MeridioNews - e nazionali. Nel 2014 ha pubblicato il libro inchiesta “Fate il loro gioco, la Sicilia dell’azzardo” e nel 2018 l'ibrido narrativo “La città a sei zampe”, che racconta la chiusura della raffineria di Gela da parte dell’Eni. Si occupa prevalentemente di ambiente e temi sociali.

“Occupandoci di rifiuti tecnologici ci siamo resi conto che stranamente non arrivavano apparecchiature elettromedicali”. Claudio Tedeschi è l’amministratore delegato di Dismeco srl, azienda specializzata nello smaltimento e trattamento dei Raee, i Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche. A inizio anno, quando si cominciava a parlare in maniera estesa di Covid-19, promuove un progetto per il recupero delle apparecchiature elettromedicali e per un successivo riutilizzo, da queste, dei pezzi di ricambio. Un esempio di economia circolare al servizio della collettività: in questo modo gli ospedali avrebbero potuto sopperire alla cronica carenza di strumenti come ventilatori e respiratori polmonari – essenziali, come abbiamo imparato con l’arrivo della pandemia, soprattutto nei reparti di terapia intensiva.

Eppure, nonostante la collaborazione con l’università di Bologna e l’adesione della Croce Rossa, il progetto non è stato recepito dalle istituzioni. “Paradossalmente abbiamo gli strumenti per risolvere un problema – commenta amareggiato il manager di Dismeco – e abbiamo un insieme di soggetti che a monte non vogliono risolvere il problema”.

Un progetto da premio

Il punto di partenza del progetto è l’individuazione di un problema. “Essendo abituati a lavorare con progetti innovativi, abbiamo deciso di dedicare le nostre attenzioni a questo tema – dice Tedeschi – Ai tempi della prima ondata di Covid ci sono stati ospedali lombardi, come per esempio quello di Brescia, che avevano necessità di ventilatori e non trovavano i necessari ricambi”. Mentre Dismeco comincia a premere sulle unità sanitarie locali, l’azienda, anche in relazione alla proposta di recupero delle apparecchiature elettromedicali , viene indicata come miglior progetto industriale in campo ambientale dall’International Waste Group e caso di studio per il 2020.

Al progetto aveva dato voce anche Confindustria, sul portale dedicato all’economia circolare. “L’azienda bolognese Dismeco srl, insieme a Zero Waste Italy, sta sviluppando un progetto sperimentale denominato MDRe – Medical Device Regeneration, volto al recupero per il riutilizzo, di ricambi da apparecchiature elettromedicali inutilizzate o dismesse, utili per sopperire alle carenze durante le emergenze sanitarie, come appunto quella attuale legata all’epidemia da Covid  – si legge -.  L’azienda Dismeco, premiata da Confindustria nel 2019 nell’ambito del concorso come Best Performer dell’Economia Circolare, gestisce un innovativo impianto industriale di recupero Raee (rifiuti elettrici ed elettronici) a Marzabotto (BO) con un elevato standard di recupero di componenti e materiali. Zero waste Italy, presieduta da Rossano Ercolini, insignito del Goldman Environmental Prize nel 2013, per la sua attività di informazione sul tema zero rifiuti, è un’associazione no profit che promuove le buone pratiche di riduzione, riparazione e recupero di prodotti e materiali”.

Dove finiscono gli apparecchi dismessi? 

Insomma: ci sono tutte le potenzialità per un progetto di eccellenza in grado di rispondere a una necessità effettiva e immediata. Ma qualcosa comincia ad andare storto. Dismeco avvia un’indagine per capire innanzitutto perché al sito bolognese che raccoglie i Raee non arrivi molto dagli ospedali. “Abbiamo scoperto una zona grigia, molto grigia, che impedisce che gli elettromedicali vadano a finire nei posti giusti. La stragrande maggioranza di queste apparecchiature finisce nei rottamai”. Dagli ospedali alla demolizione, dunque, dal pubblico al privato senza filiere che ne consentano riciclo, recupero e riuso. Intendiamoci: spedire i Raee ai rottamai è una facoltà degli ospedali che è prevista per legge. Come per tutti i rifiuti, ai Raee viene abbinato un codice CER che li definisce in base al loro processo produttivo e alla loro pericolosità, stabilendone le modalità di smaltimento. La pratica più utilizzata nei rottamai è però quella della triturazione, che consente di ricavare metalli. Col progetto MDRe, invece, si intende dare priorità ai pezzi di ricambio

All’economia circolare, in questo caso, non è stata dunque la possibilità di salvare vite umane e dare un fondamentale contributo all’assistenza territoriale di base in fortissima difficoltà. Anche perché Dismeco avrebbe ritirato gratuitamente il materiale sanitario. ”Recuperando materia prima riusciamo infatti a individuare un valore per quella merce, cosa che i rottamai non fanno. Abbiamo poi scoperto – aggiunge l’ad di Dismeco – che ci sono ospedali con magazzini pieni di elettromedicali, magari con pochissimi anni di vita e però inutilizzati perché manca un pezzo di ricambio semplicissimo come può essere una manopola o una scheda video, comunque ricambi funzionali e nemmeno sanitari che costano pochissimo. Così finisce che queste apparecchiature si deperiscono, con un danno non solo economico per le aziende ospedaliere ma soprattutto sanitario per l’intera popolazione”.

Fuga dai ricambi

C’è inoltre un ulteriore aspetto di cui tenere conto, noto a chi si occupa di economia circolare e che costituisce uno dei pilastri dell’economia lineare. “Si fa di tutto per fare in modo che non si producano ricambi – dice ancora Tedeschi – Questo perché l’interesse è quello di vendere macchine nuove. E si capisce il motivo se si pensa che una singola apparecchiatura costa almeno 20mila euro. Quindi si aggrava il debito delle unità sanitarie locali. Ecco perché noi abbiamo rivolto un invito a tutti gli ospedali dell’Emilia Romagna, cioè partendo dalla zona dove operiamo: se avete i magazzini pieni, se avete elettromedicali dismessi o che non utilizzate, dateli a noi che siamo autorizzati al trattamento dei rifiuti tecnologici per cominciare un percorso, insieme ai produttori, e individuare quali ricambi servono”. Un appello al quale sarebbe seguita un’altra fase, rimasta finora in stand-by.

“La nostra intenzione – spiega il manager – era quella di mettere su un sito internet dove inserire la disponibilità dei ricambi e darli gratuitamente alle unità sanitarie locali, affinché da Gorizia a Siracusa chi avesse bisogno di un semplice pezzo potesse provvedere immediatamente. Tutta la filiera ne avrebbe tratto beneficio: la sanità, pubblica e privata, avrebbe risparmiato soldi; i produttori avrebbero attivato un percorso etico”. La scelta dei verbi al condizionale lascia già intravedere l’esito del progetto. “La pubblica amministrazione si è fatta completamente sorda – ammette sconsolato Tedeschi – Ricordo che abbiamo presentato il progetto sei mesi fa, abbiamo scritto a chiunque, fino al presidente della Regione Stefano Bonaccini. Dagli uffici acquisti degli ospedali ai direttori generali, tutti si dicevano interessati. Poi però c’è stato il silenzio”.

C’è ancora tempo per rimediare, specie in previsione di una possibile terza ondata del coronavirus. Allora, per parafrasare una nota canzone di John Lennon e di Yoko Ono, date una chance all’economia circolare.

© Riproduzione riservata

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