“L’industria italiana dei riciclo della plastica non è più in condizione di proseguire le attività”. La lettera recapitata al ministro dell’ambiente Gilberto Pichetto Fratin è ultimativa. L’Associazione nazionale riciclatori e rigeneratori di materie plastiche (Assorimap, aderente a Confimi Industria) sottolinea la mancanza di sostegno in un periodo prolungato di crisi, “a differenza di quello che accade in altre Paesi – come Francia e Spagna”. Una crisi che riguarda non solo i riciclatori, ma tutta la filiera europea della plastica. Mentre il consumo continentale di polimeri non conosce sosta, “tra il 2018 e il 2022, la produzione di materie plastiche in Europa è diminuita del 13,3%, seguita da un ulteriore calo dell’8,3% nel 2023”. E per tornare al riciclo, “preoccupante è il fatto che nel 2023 si sia registrata la crescita più lenta degli ultimi anni della capacità di riciclaggio e un‘impennata di chiusure di impianti negli Stati membri”. Così, in un documento datato 4 settembre e indirizzato alla Commissione europea, scrivevano 28 associazioni che rappresentano le imprese della filiera, dalla produzione di polimeri alla trasformazione al riciclo (da Plastics Europe a Fead a EuRIC a Vynil plus da Amaplast ad Assorimap). Che hanno annunciato uno scenario molto cupo: “Entro la fine dell’anno, si prevede la chiusura di impianti di riciclo per una capacità di quasi 1 milione di tonnellate” (che equivale a più della metà della capacità italiana).
La colpa? Le associazioni europee additano “l’impennata dei costi energetici, l’incertezza giuridica, la frammentazione normativa e l’intensificarsi della concorrenza globale”. Col rischio sempre più realistico della “deindustrializzazione” e “chiusure effettive e spesso irreversibili di siti e altre gravi implicazioni per la leadership europea nella circolarità e la creazione di posti di lavoro verdi”.
Per sopravvivere, le imprese invocano “con urgenza misure strategiche per evitare un collasso che avrebbe ripercussioni sull’intera economia europea”. In Italia Walter Regis, presidente di Assorimap (che riunisce le imprese di una filiera che complessivamente conta oltre 350 imprese, impiega più di 10mila addetti per una capacità installata di riciclo di 1,8 milioni di tonnellate) chiede a Pichetto Fratin “di avviare tempestivamente le azioni necessarie per evitare la chiusura delle attività”.
L’occasione potrebbe essere il tavolo sulle plastiche convocato al Ministero dell’ambiente per l’8 ottobre.

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La competizione ‘scorretta’ delle plastiche vergini (e di quelle low cost)
I costi energetici sono solo un pezzo del problema. Per i materiali riciclati vale il discorso di sempre, quello che governa le transazioni economiche: i valori di mercato. Che però non tengono conto degli impatti ambientali. “Purtroppo i costi per fare un prodotto riciclato oggi sono superiori rispetto al vergine, sia nazionale che globale”, racconta Regis a EconomiaCircolare.com. E fa un esempio: il “PET clear”, Polietilene Tereftalato caratterizzato da elevata trasparenza, usato per imballaggi alimentari, applicazioni industriali e altri articoli. “Oggi il pet clear, che è un materiale che va per la maggiore, lo troviamo in Italia a un costo di 7-800 euro a tonnellata. Anche 500 se lo importi dall’Asia. Il PET riciclato ne costa invece 1.400-1.500. Questo è forse il caso più clamoroso, ma lo stesso vale per tutti i polimeri”. A fronte di valori del genere, affermano le imprese, non ci sono alternative a mettere in campo iniziative di sostengo. “Non solo per le industrie che rappresento – precisa Regis – visto che l’Unione Europea ha spinto molto sul riciclo: col pacchetto legislativo sull’Economia Circolare, con al direttiva SUP, con il regolamento imballaggi. Se i numeri sono quelli che dicevo, ci aspetteremmo iniziative che sostengano il settore e rendano praticabili gli obiettivi delle normative. Ma così non è. E mentre altri paesi si muovono, in Italia non sta facendo nulla. Per questo ho scritto al ministro dell’ambiente”.
Incentivi e plastic tax: cosa fanno Francia e Spagna
Abbiamo visto come nella lettera inviata al MASE vengono citate le misure di Francia e Spagna.
Con una norma pubblicata sul Journal Officiel all’inizio di settembre, la Francia (come spiega Polimerica) ha garantito incentivi a partire del primo gennaio del prossimo anno per i produttori nazionali che per i propri prodotti impiegheranno anche plastica riciclata post-consumo: da 450 euro a tonnellata fino a 1000, favorendo il riciclo chiuso (da bottiglia a bottiglia, ad esempio) e i materiali più complessi. Mentre in Spagna la “Ley 7/2022 de residuos y suelos contaminados para una economía circular” ha introdotto la plastic tax a partire dal 1° gennaio 2023: 0,45 euro per chilogrammo di plastica non riciclata a carico di chi produce, importa e acquisto imballaggi in plastica monouso non riciclata (anche semilavorati).
Proprio una plastic tax nazionale potrebbe essere d’aiuto, secondo Regis. Introdotta con la Legge di Bilancio 2020 dal governo Conte II, nessun esecutivo ha voluto renderla operativa, anche se avrebbe bilanciato il pagamento della plastic tax europea: 800 milioni di euro l’anno calcolati in base al peso della plastica da imballaggi non riciclata prodotta annualmente. “Sarebbe uno strumento importante – sottolinea il presidente di Assorimap – perché andrebbe a orientare il mercato e a far recuperare marginalità economica ai prodotti riciclati, penalizzati dai bassi costi di produzione del vergine che non ne incorporano gli impatti ambientali e sul clima. Con la Plastic Tax si darebbe un giusto incentivo al mercato del riciclato”.
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CAM, certificati bianchi, crediti di carbonio
Ma oltre alle iniziative fiscali che penalizzano le plastiche fossili, Regis ci parla anche di un meccanismo premiante per i prodotti che presentano vantaggi “carbonici”, che giovano alla riduzione di emissioni climalteranti: “Pensiamo ai crediti di carbonio o ai certificati bianchi, a seconda che siano riduzioni di emissioni di CO2 o riduzioni dell’energia consumata, a vantaggio delle imprese del riciclo. Queste potrebbero poi venderli sul mercato per chi invece rappresenta ancora la old economy o non ha saputo rinnovarsi. È una questione alla quale lavoriamo da un anno e mezzo. E recentemente è stato pubblicato il nuovo decreto del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica che aggiorna la disciplina dei certificati bianchi e ne prevede l’emissione anche per le imprese che utilizzano materiali sostenibili dal punto di vista dei consumi di energia”.
Altro meccanismo premiante per il mercato dei materiali riciclati sono le indicazioni per gli acquisti della pubblica amministrazione: i criteri ambientali minimi (CAM). “L’Italia è la prima della classe nelle strategie, e i CAM e sono in esempio – riflette Regis -. Però poi queste norme bellissime faticano ad atterrare nella pratica. Lo dico da 15 anni: per i CAM mancano i controlli. Quelli sulle stazioni appaltanti: se non si verifica che il criterio ambientale sia stato rispettato, non cambia niente e la norma resta solo sulla carta. E poi servirebbero controlli sulle dichiarazioni di chi partecipa ai bandi, per evitare affermazioni lontane della realtà”.

Le proposte delle associazioni europee per superare la crisi
Per invertire la rotta e limitare i danni di “una crisi che minaccia la competitività industriale e la transizione ambientale”, nella lettera firmata dalle 28 associazioni europee vengono avanza diverse raccomandazioni: “Non c’è più tempo da perdere, tutti gli Stati membri devono poter agire coesi per garantire all’Europa di perseguire gli obiettivi di green economy e non mettere a rischio l’intero tessuto industriale”, mi dice Regis.
Vediamo allora le misure proposte nella lettera alla Commissione europea:
Ridurre i costi dell’energia. Tutte le attività industriali che partecipano al riciclo “dovrebbero essere ammessi a beneficiare delle misure di sostegno previste industrie ad alta intensità energetica”.
Armonizzare le norme. È essenziale “un’attuazione e un’applicazione coerente e armonizzata della normativa UE in tutti gli Stati membri”. Ad esempio sugli obiettivi di contenuto riciclato, che andrebbe “sostenuta da certificazioni di terzi e da sanzioni chiare”. Sottolineano le imprese: “La chiarezza giuridica e l’interpretazione coerente delle norme sono necessarie per aumentare la fiducia negli investimenti, oltre a ridurre la burocrazia attraverso lo snellimento dei processi di autorizzazione e rendicontazione”. Per diffondere le soluzioni circolari in tutto il mercato unico sono necessari “controlli di conformità armonizzati e criteri di End-of-Waste a livello europeo”. E poi: “Una maggiore armonizzazione delle regole sulla responsabilità estesa del produttore (EPR), delle definizioni e delle tariffe eco-modulate dell’EPR a livello europeo è essenziale per evitare la frammentazione del mercato e garantire una concorrenza equa”.
Eliminare le lacune nella verifica e nell’applicazione delle norme. Le associazioni europee sottolineano che “una forte applicazione delle norme inizia con autorità dotate di personale adeguato e ben equipaggiate, comprese le autorità doganali, norme armonizzate e una sorveglianza coerente del mercato”. Le autorità nazionali dovrebbero beneficiare di una formazione strutturata e di strumenti di tracciabilità digitale, afferma la lettera.
Ripristinare la concorrenza leale, agevolare e sostenere il riciclo. È necessario promuovere le plastiche circolari prodotte nell’UE applicando meccanismi per “ripristinare condizioni di parità tra prodotti europei ed esteri”. Anche attraverso incentivi alle infrastrutture per la raccolta e lo smistamento; la promozione degli investimenti nel riciclaggio; regimi di iva agevolate (IVA verde). Sono poi necessarie, continuano le 28 associazioni, garanzie di standard di alta qualità, la definizione di criteri uniformi di progettazione per il riciclaggio e la riforma degli appalti pubblici per favorire i riciclati dell’UE. È poi “è essenziale ridurre l’incenerimento e lo smaltimento in discarica dei rifiuti di plastica”.
Aiuti di stato legati alle emissioni. L’industria della plastica dovrebbe beneficiare di programmi energetici a prezzi accessibili, sgravi fiscali e finanziamenti basati sulle emissioni. Gli aiuti di Stato, “urgentemente necessari”, dovrebbero concretizzarsi “sul risparmio di CO₂, sull’efficienza delle risorse e sulla circolarità”. La circolarità della plastica – grazie ad “un fondo dedicato all’interno del Fondo per la competitività” – dovrebbe essere sostenuta anche con le entrate legate ad esempio alla Plastic Tax.
Codici doganali separati. Tra le misure che possono contribuire a mitigare la crisi e a rendere più trasparenti i mercati, l’introduzione di “codici doganali separati per le materie prime e i prodotti a base fossile e per quelli a base non fossile (biobased, riciclati e con cattura di carbonio)”.
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