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domenica, Dicembre 15, 2024

Che cos’è il riciclo chimico e perché interessa all’industria delle plastiche

Appare ormai assodato che il riciclo meccanico, da solo, non è sufficiente per raggiungere i target posti dalla Commissione europea all’industria delle materie plastiche. Parte della filiera sta iniziando a puntare sulle tecnologie del riciclo chimico. Anche se non se ne conosce l'impatto ambientale

Simone Fant
Simone Fant
Simone Fant è giornalista professionista. Ha lavorato per Sky Sport, Mediaset e AIPS (Association internationale de la presse sportive). Si occupa di economia circolare e ambiente collaborando con Economia Circolare.com, Materia Rinnovabile e Life Gate.

Più che di plastica bisognerebbe parlare di plastiche. Già scegliendo di rendere il termine al plurale si riuscirebbe a dare un’idea più precisa della complessità di materiali che vengono additati, spesso, come una delle fonti principali di inquinamento. Anche se poi le questioni sono sempre più complesse.

Come sanno i lettori e le lettrici di Economiacircolare.com, alle plastiche abbiamo dedicato numerosi approfondimenti. Da oggi scegliamo di dedicare la nostra attenzione alle varie forme di riciclo. E partiamo dalle opportunità e dalle criticità del riciclo chimico.

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Le opportunità del riciclo chimico

Le plastiche sono catene di molecole legate tra loro. Ognuna di queste molecole è un monomero e le catene risultanti sono chiamati polimeri. Questo è il motivo per cui molte materie plastiche recano il prefisso “poli”, come polietilene, polistirene e polipropilene. Il processo di utilizzo della plastica e il riciclo meccanico causano la degradazione del polimero che limita il numero di volte in cui lo stesso polimero può essere efficacemente riciclato.

“Un riciclo di tipo meccanico generalmente porta ad un materiale plastico che perde di proprietà man mano che si ricicla – spiega il professor Davide Moscatelli, professore di ingegneria chimica al Politecnico di Milano –  Il riciclo chimico invece rompe le molecole e le fa tornare ai mattoncini di partenza oppure lo converte per un’altra applicazione. Le rese non sono mai del 100%, tuttavia teoricamente questo processo può ripetersi infinite volte.”

Il riciclo meccanico non è in grado di separare gli additivi e le sostanze presenti nei rifiuti di plastica; questo spiega perché la plastica contaminata non può essere trasformata in plastica di alta qualità. “Dipende dalle plastiche ma tendenzialmente il riciclo meccanico porta a un downcycling delle materie – dice Moscatelli a Economiacircolare.com – Per esempio il Pet riciclato meccanicamente posso utilizzarlo per fare le panchine del parco, ma per gli imballaggi o le bottiglie la qualità non è abbastanza alta“.

Ci sono  tre diverse categorie a seconda del livello di decomposizione a cui saranno soggetti i rifiuti di plastica:

  • Purificazione a base di solventi, che decompone la plastica riportandola allo stadio di polimero.
  • Depolimerizzazione chimica, che trasforma la plastica nei suoi monomeri tramite una reazione chimica.
  • Depolimerizzazione termica (pirolisi e gassificazione), processo ad alta intensità energetica che trasforma i polimeri in molecole più semplici. La tecnologia della depolimerizzazione termica può anche produrre combustibili anche se in tal caso non può più essere considerata una forma di riciclo.

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Riciclo meccanico e chimico complementari, ma c’è una fine per ogni materiale

Un report di Zero Waste sottolinea l’importanza che il riciclo chimico agisca in modo complementare a quello meccanico. “Il riciclo chimico è adatto solo per quei casi in cui i rifiuti di plastica sono troppo degradati, contaminati e complessi per essere riciclati meccanicamente” si legge nel report. Il professor Moscatelli è d’accordo, ma crede che ci siano molti fattori da considerare prima di determinare quali dei due tipi sia più sostenibile e conveniente applicare.

“I polimeri – osserva – hanno tantissime caratteristiche e spesso i prodotti plastici contengono più polimeri o miscele di monomeri differenti. Nel tessile le fibre sono intimamente miscelate una all’altra per cui meccanicamente si riesce a fare poco. Certo, si possono sfilacciare e utilizzare come isolanti termici, ma a un certo punto questo materiale diventa scarto perché il ciclo vita del materiale finisce. Si può rallentare il ciclo di vita del materiale sul mercato ma a un certo punto bisogna fare i conti con il fatto che il materiale sta perdendo le proprietà per cui era stato fatto”.

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Dalla plastica al carburante

Attraverso il processo di depolimerizzazione termica è possibile convertire materie plastiche in combustibili. “Per le poliolefine, che rappresentano il 50% del volume di produzione globale di polimeri (100 milioni di tonnellate all’anno), il riciclo chimico è molto costoso – ci spiega Moscatelli – molto di più che produrle”. Ora c’è un trend che le vede convertite tramite pirolisi in carburante. Il vantaggio è che l’anidride carbonica emessa da questi fuel quantomeno non arriva direttamente dal grezzo ma arriva da un passaggio intermedio (grezzo/plastica). Ha impatto più basso del termovalorizzatore perché non c’è nulla di peggio della produzione derivante dalla combustione”.

Dal punto di vista legislativo tuttavia manca ancora una chiara definizione di riciclo chimico, che sarebbe importante per differenziare il riciclo chimico plastica-plastica da plastica-combustibili, dato la crescente confusione di entrambi i termini promossa al di fuori dei confini dell’Ue. Ad esempio, il consorzio creato dall’American Chemistry Council considera il riciclo chimico come una delle tecnologie in grado di convertire la plastica post-uso in prodotti chimici e combustibile. Una considerazione che è in contrasto con la normativa europea sui rifiuti.

La visione di Zero Waste sulla plastica convertita a carburante non ritiene che la conversione plastica-carburante sia in linea con il processo di decarbonizzazione europeo. Dal report si legge che “dal momento che la plastica è prodotta prevalentemente da combustibili fossili, i combustibili derivati ​​dalla plastica sono una forma di combustibile fossile. Il percorso di decarbonizzazione intrapreso dall’Ue dovrebbe escludere questa soluzione di riciclo chimico”.

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L’impatto ambientale ancora sconosciuto

La filiera del riciclo chimico è molto giovane dato che la maggior parte degli impianti nel mercato è in una fase pilota. Si prevede che lo sviluppo di queste tecnologie su scala industriale inizi nel quinquennio 2025- 2030. Ecco perché è ancora presto per valutare gli impatti ambientali di una filiera che deve ancora sbocciare. “Le informazioni disponibili sono ancora insufficienti, e nel peggiore dei casi scoraggianti per tecnologie come la pirolisi i cui impatti sono ancora sconosciuti”, conclude il report di zero Waste. Considerare l’intero ciclo vita della plastica, calcolare i consumi energetici e le fasi di purificazione; sono tutte valutazioni da inserire nel LCA (Life Cycle Assessment).

“È difficile generalizzare sull’impatto ambientale – specifica Davide Moscatelli – ci sono tanti fattori che dipendono dai diversi tipi di plastica. Ma per chiudere davvero il cerchio  – conclude il professore – abbiamo bisogno anche del riciclo chimico, rappresenta il futuro”.

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