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venerdì, Novembre 15, 2024

Che impatto ha il riciclo chimico? Il greenwashing si annida nei dettagli

Per la plastica il riciclo meccanico è la tecnica migliore perché ha un minore impatto ed è più semplice la tracciabilità: ma in futuro dovrà essere affiancato dal riciclo chimico, dove però è più semplice fare greenwashing. Per questo servono da subito regole precise: da ciò nasce l'appello di Zero Waste Europe

Tiziano Rugi
Tiziano Rugi
Giornalista, collaboratore di EconomiaCircolare.com, si è occupato per anni di cronaca locale per il quotidiano Il Tirreno Ha collaborato con La Repubblica, l’agenzia stampa Adnkronos e la rivista musicale Il Mucchio Selvaggio. Attualmente scrive per il blog minima&moralia, dove si occupa di recensioni di libri. Ha collaborato con la casa editrice il Saggiatore e con Round Robin editrice, per la quale ha scritto il libro "Bergamo anno zero"

Il miglior rifiuto è quello mai prodotto, certo, ma la crescita della quantità di rifiuti nei prossimi anni è un dato di fatto e quindi il riciclo, sebbene non nelle prime posizioni della gerarchia di gestione dei rifiuti, resta uno strumento fondamentale per tenere sotto controllo la situazione a livello globale e aumentare la circolarità degli imballaggi. Il riciclo, tuttavia, deve essere efficiente e avere impatti ambientali ridotti.

Per favorire l’impiego di materiali riciclati, le istituzioni europee hanno introdotto obiettivi di contenuto minimo riciclato in diverse proposte legislative come la direttiva sulla plastica monouso (Sup) e il regolamento sugli imballaggi e i rifiuti da imballaggio (Ppw), recentemente pubblicati. La direttiva Sup stabilisce, ad esempio, che il 30% del contenuto delle bottiglie deve essere riciclato entro il 2030.

La fase successiva sarà quindi adottare una definizione precisa di “contenuto riciclato” e una metodologia per il calcolo, che è particolarmente complesso quando il riciclo della plastica viene fatto attraverso processi chimici. Quale sia il metodo più affidabile per fare questo calcolo, oltre che valutare i pro e i contro e gli impatti delle tecnologie attualmente utilizzate nel riciclo della plastica, sono stati l’argomento di un webinar organizzato da Zero Waste Europe. E ciò che è emerso, sostanzialmente, è la necessità di definire regole più precise per evitare il greenwashing e utilizzare il riciclo chimico solo in determinate situazioni.

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Riciclo meccanico e riciclo chimico

“Al giorno d’oggi – premette Lauriane Veillard dell’associazione Zero Waste Europe – la maggior parte delle tecnologie di riciclo ha una metodologia contabile consolidata e affidabile che garantisce un elevato livello di trasparenza e tracciabilità lungo tutta la catena del valore”. Si tratta del riciclo meccanico, in cui c’è una lavorazione meccanica dei rifiuti in plastica, che diventano così materia prima seconda per la produzione di nuovi oggetti. “Con questa tecnica la plastica è sminuzzata in piccolissimi granelli che poi vengono usati per produrre nuovi prodotti in plastica”, spiega nel dettaglio Geert Warringa, esperto ambientale della società di consulenza CE Delft. Tutti i rifiuti di plastica, quindi, sono usati per produrre nuovi oggetti in plastica.

Più controverso, invece, è il discorso con le altre tecnologie di riciclo chimico come pirolisi e gassificazione, definite “multi-output” perché dal riciclo non si ottengono solo polimeri della plastica ma, attraverso reazioni chimiche, le molecole più semplici che li compongono (i monomeri), una miscela composita di idrocarburi o addirittura dei combustibili. Non solo: la materia prima seconda che esce dal processo è troppo contaminata per essere integrata direttamente in nuovi prodotti in plastica e quindi viene diluita o mescolata con materiale fossile vergine per avere un livello di qualità sufficiente. “È evidente come sia difficile, dopo questi complessi procedimenti, stabilire quale sia l’output riciclato rispetto all’input immesso”, sottolinea Warringa.

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Il mass balance approach e regole di allocazione

In presenza di un certo livello di incertezza, il rischio greenwashing è superiore per ragioni puramente tecniche. Quando c’è da stabilire se il prodotto in plastica rispetti il contenuto minimo riciclato previsto dalle norme europee come la direttiva Sup, nel caso del riciclo meccanico non ci sono problemi perché il processo input-output è lineare e quindi è facile individuare la percentuale di materia prima seconda impiegata.

Data, invece, la varietà di output del riciclo chimico le cose sono molto più complicate, perché è impossibile tracciare tutte le molecole di partenza e l’output finale è un mix di materiali riciclati (plastica, prodotti chimici, combustibili) e altri materiali fossili vergini. Come individuare, allora, la percentuale esatta di contenuto riciclato? È impossibile e, quindi, la soluzione adottata è il cosiddetto mass balance approach, una metodologia in cui si stima il contenuto di materiale riciclato in uscita al processo rispetto a quello immesso.

Ci sono varie regole di allocazione per attribuire il contenuto riciclato ai prodotti in uscita da un lotto specifico attualmente in discussione a livello europeo: allocazione proporzionale, solo polimeri ed esenzione per i carburanti. “L’allocazione proporzionale, l’opzione con la minore libertà di allocazione – spiega ZWE nello studio – ha anche il minor impatto e i maggiori potenziali benefici ambientali. Inoltre, con l’allocazione proporzionale c’è meno ambiguità sul contenuto riciclato negli output di plastica, il che aumenta la trasparenza nel mercato del riciclo della plastica”.

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Perché c’è rischio greenwashing

Negli altri casi, invece, è più probabile che si annidino forme di greenwashing. Trattandosi di stime fatte sul contenuto in entrata (in questo caso i rifiuti in plastica), alcune aziende, infatti, “interpretano” a piacimento i dati per attribuire un contenuto riciclato superiore a quello reale ai prodotti con maggior valore commerciale o dove il marketing lo ritiene più opportuno, in modo da accrescere i benefici economici, denuncia Zero Waste Europe.

Il trucco con cui le aziende ci riescono è dovuto al fatto che c’è sempre una diluzione nel processo di riciclo chimico, come spiega Mathilde Crêpy dell’associazione ambientalista Ecos. Questa miscelazione di input riduce anche significativamente il livello di contenuto riciclato che alla fine esce dal processo ed è complicatissimo risalire alle percentuali esatte di contenuto riciclato nel prodotto finale perché le regole di allocazione resta una stima.

Non solo: a volte il greenwashing arriva a livelli impensabili, mette in guardia Zero Waste Europe. Le materie prime riciclate spesso sono trasferite o scambiate tra più siti in cui avvengono i processi di riciclo o addirittura nazioni, diminuendo ulteriormente la trasparenza. In questa maniera è ancora più difficile verificare i livelli di contenuto riciclato: se conta la media complessiva, il contenuto riciclato di un lotto può essere attribuito a un altro e così finisce che lotti in cui c’è solo plastica vergine vengono venduti come se avessero una parte di contenuto riciclato.

riciclo chimico
Fonte: https://zerowasteeurope.eu/wp-content/uploads/2021/05/rpa_2021_mass_balance_booklet-2.pdf

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L’appello di Zero Waste Europe all’Unione europea

Per tutte queste ragioni, l’attenzione deve essere massima quando si parla di riciclo chimico. Gli autori dello studio di Zero Waste Europe hanno elaborato alcune proposte per ovviare, o quantomeno contrastare, il greenwashing. “Se la Commissione deciderà di attuare opzioni con una maggiore libertà di allocazione (solo polimeri o esenzione per carburante), si potrebbe considerare di introdurre un limite massimo al riciclo chimico compreso tra il 12,5% e il 25% per evitare che superi il riciclo meccanico. Oppure individuare categorie di prodotti che possono raggiungere gli obiettivi di contenuto minimo riciclato solo con il riciclo meccanico”.

Invece, conclude lo studio, “le attuali proposte per il contenuto riciclato obbligatorio negli imballaggi danno un incentivo a dirigere i rifiuti di plastica verso il riciclaggio chimico”. Invece, “sebbene il riciclo chimico sia auspicabile in alcuni casi (in particolare per i rifiuti che non possono essere riciclati meccanicamente) – si legge nello studio – dal punto di vista ambientale va assolutamente evitato che il riciclo chimico diventi predominante e utilizzi rifiuti che potrebbero essere riciclati meccanicamente”.

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Vantaggi e svantaggi delle due tecnologie di riciclo e impatti ambientali

Questo non vuol dire che il riciclo chimico vada abolito, perché entrambe le tecnologie hanno dei pro e dei contro, sottolinea Julia Röttgerding della Direzione generale Ambiente della Commissione europea. “Il principale vantaggio del riciclo chimico è di ottenere alla fine del processo un materiale riciclato di qualità simile al materiale vergine e questo è particolarmente importante in certi settori come quello alimentare, dell’automotive e delle protesi mediche, per fare alcuni esempi”, spiega la funzionaria. “L’altro punto a favore è che può essere utilizzato quando il rifiuto in plastica è particolarmente degradato e sarebbe impossibile riciclarlo con le tecniche meccaniche”.

Di contro, quando guardiamo al riciclo chimico, sorgono dei dubbi sull’impatto ambientale. “Sebbene sia inferiore, ad esempio, rispetto a bruciare la plastica nell’inceneritore – continua Röttgerding – queste tecnologie sono ad alto consumo energetico, generano elevate emissioni di gas serra e hanno una resa minore rispetto al riciclo meccanico”. A livello ambientale, concordano tutti i relatori del webinar, il riciclo meccanico è da preferire. Secondo uno studio di Zero Waste Europe, i benefici massimi di CO2 del riciclo della plastica nel 2040 sono superiori di 9 milioni di tonnellate rispetto a uno scenario in cui predomina il riciclo chimico.

Insomma, tira le somme la funzionaria della Commissione europea, “il riciclo chimico dovrebbe essere utilizzato come soluzione complementare e non sostitutiva del riciclo meccanico, ma entrambe le tecnologie devono essere sviluppate e migliorate per raggiungere gli obiettivi di circolarità che si è posta l’Unione europea, perché da solo il riciclo meccanico non sarà sufficiente per gestire tutta la mole di rifiuti prodotti”.

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