di Andrea Ballabio, Donato Berardi e Nicolò Valle
La scelta è obbligata: per arrivare a un’economia che sia realmente circolare è necessario ripensare il modo in cui vengono gestiti gli scarti della produzione e del consumo, quelli che oggi ancora chiamiamo “rifiuti”. E in questa direzione, un contributo fattivo può giungere anche dalla tecnologia, e nella fattispecie, dai cosiddetti trattamenti di riciclo chimico, dei quali alcuni sono ancora in fase sperimentale, mentre altri sono più consolidati.
Un recente studio1 condotto dal Joint Research Centre (JRC), centro di ricerca di riferimento della Commissione Europea per le materie scientifiche, ha contribuito a ravvivare l’attenzione verso il trattamento chimico. L’obiettivo del lavoro del JRC, per mandato della stessa Commissione, è stato comprendere se un processo di riciclo sia preferibile o meno rispetto alle sue alternative tecnologiche. Sebbene sino ad oggi le attività di riciclo chimico abbiano trovato le maggiori applicazioni nel trattamento dei rifiuti in plastica, tali processi possono potenzialmente avere applicazione anche nel trattamento di altre frazioni, come i rifiuti tessili, i rifiuti organici e indifferenziati. Ma partiamo proprio dalla plastica.
La plastica, le tecnologie
Nel caso dei rifiuti in plastica, il JRC sottolinea come il riciclo chimico sia spesso visto come un’alternativa al riciclaggio meccanico: quest’ultimo, infatti, soffre di svantaggi tecnici quali l’impossibilità di trattare flussi contaminati o di bassa qualità, separare gli additivi presenti nella plastica, o ancora il numero di limitato di cicli di riciclaggio per via del degrado della struttura del polimero stesso in seguito al trattamento. Rispetto a questi aspetti, infatti, il riciclo chimico della plastica sembra offrire un chiaro potenziale di miglioramento.
La definizione di riciclo chimico dei rifiuti in plastica appare tuttavia generica, in quanto riferita a una pluralità di tecnologie che possono essere suddivise in tre macrocategorie: depolimerizzazione chimica, depolimerizzazione termica e cracking. Guardando alle prime due, la depolimerizzazione chimica è un processo che fa uso di solventi, in relazione ai quali si possono raggruppare differenti tecnologie di depolimerizzazione: metanolisi, glicolisi, idrolisi, ammonolisi, aminolisi e idrogenazione. Tra queste, la glicolisi è quella a far intravedere maggiori applicazioni su scala industriale.
La depolimerizzazione termica consiste invece nel riscaldamento del polimero in presenza di alcune condizioni specifiche. Tra le principali tecnologie di depolimerizzazione termiche, si segnalano la pirolisi e la gassificazione. La pirolisi è il processo mediante il quale si ottiene una miscela di idrocarburi o un monomero, riscaldando il polimero ad una temperatura tra i 400-600°C in assenza di ossigeno. In linea di principio, la pirolisi può gestire qualsiasi tipo di materia prima plastica; tuttavia, le poliolefine appaiono le più adatte a questa applicazione.
Anche i processi di gassificazione prevedono il riscaldamento del polimero, ma in questo caso a temperature più elevate (700-1500°C) e in presenza di una quantità controllata sia di ossigeno che di acqua. Il principale prodotto della gassificazione è il syngas, più piccole quantità di altri gas come metano e anidride carbonica. Analogamente alla pirolisi, la gassificazione è più flessibile perché può gestire differenti tipi di materiale plastico.
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Performance ambientali
Ma quali sono le performance ambientali del riciclo chimico dei rifiuti in plastica? Il JRC effettua una review della letteratura scientifica anche con riferimento alle analisi di Life Cycle Assessment (LCA), allo scopo di valutare le performance ambientali dei processi di riciclo chimico.
Dall’analisi, emerge un’ampia variabilità di esiti in merito al grado di maturità tecnologica dei trattamenti, probabilmente legata anche al momento e al numero di anni di distanza che separano gli studi più datati a quelli più recenti. Secondo il JRC, in termini di prestazioni ambientali, non esiste una chiara indicazione sul fatto che il riciclaggio chimico sia preferibile alle altre opzioni di gestione dei rifiuti di plastica, come il riciclaggio meccanico o il recupero energetico. La gerarchia delle opzioni di gestione dipende dal tipo di rifiuto trattato, ovvero dalla qualità, dalla purezza, dalla presenza di contaminanti, eccetera.
Lo stesso JRC suggerisce l’opportunità di ulteriori ricerche e approfondimenti, per le singole frazioni di rifiuto, al fine di chiarire come e dove il riciclo chimico è complementare al riciclo meccanico e preferibile ad altre forme di recupero, come quello energetico. La strada da seguire non è quella di affermare la supremazia di un’opzione sull’altra, piuttosto quella di circoscrivere cosa rappresenta la migliore scelta in relazione a ciascun flusso di rifiuto.
Si tratta di un approccio orientato alla complementarietà delle forme di gestione, che appare il naturale portato di un contesto nel quale la gestione dei rifiuti è chiamata ad intercettare e valorizzare flussi eterogenei.
Le altre tipologie di rifiuti
Lo studio del JRC riferisce anche di applicazioni del riciclo chimico nella gestione di altre tipologie di rifiuti, tra cui i rifiuti organici e in legno. Nell’ambito delle ulteriori applicazioni del riciclo chimico è, tuttavia, lo stesso JRC a portare alcuni elementi chiarificatori, nell’ambito dell’analisi dello stato dell’arte dei processi di riciclo delle diverse frazioni di rifiuto.
In primo luogo, il riciclo chimico può rappresentare una alternativa di trattamento per i rifiuti tessili di materiale misto (es. poliestere-cotone), laddove il riciclo meccanico, che rimane la tecnologia di riferimento per i rifiuti tessili con fibre naturali, sembra provocare il deterioramento di quelle sintetiche. Come nel caso dei rifiuti in plastica, anche per i rifiuti tessili due delle principali opzioni tecnologiche sono rappresentate dalla pirolisi e dalla gassificazione.
Per quanto riguarda la pirolisi, gli output di processo sono il syngas, un prodotto liquido – la cui composizione dipende dalla temperatura di esercizio – e un prodotto solido, ovvero un materiale carbonioso che può essere impiegato come riempitivo primario o in applicazioni di calcestruzzo. Tuttavia, va sottolineato come tale tecnologia richieda alte temperature e, conseguentemente, un elevato assorbimento di energia.
Nel caso della gassificazione, l’output di processo è rappresentato dal syngas, mentre come sottoprodotti possono originarsi etilene e cenere. Analogamente alla pirolisi, anche la gassificazione implica temperature elevate e, pertanto, un alto consumo di energia.
Tra le applicazioni potenziali del riciclo chimico, il JRC riferisce la presenza di tecnologie avanzate in fase di sviluppo per il caso dei rifiuti organici, ad esempio per la produzione di mangimi da rifiuti organici, bioplastiche e altre piattaforme chimiche come acido lattico, acido succinico, ecc. Tuttavia, tali tecnologie non risultano ancora essere affermate a livello commerciale e di mercato.
Parimenti, nello studio si sottolinea come il riciclo chimico rappresenti un’opzione anche per il trattamento dei rifiuti di plastica biodegradabile, in particolare per i materiali che non possono essere riciclati meccanicamente, sebbene quest’opzione dipenda dall’economicità dei processi e dall’efficienza dei catalizzatori. Si tratta di un’opzione che non è ancora stata implementata su larga scala.
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Quali prospettive di sviluppo?
Le prospettive di diffusione del riciclo chimico in Europa non dipendono esclusivamente dall’efficacia e dalla maturità delle tecnologie, ma anche dalle decisioni che verranno prese a livello comunitario sul contributo che il riciclo chimico potrà offrire ai target stabiliti dalle Direttive del cosiddetto “Pacchetto Economia Circolare”. A queste, si aggiungano le valutazioni che l’UE sta compiendo nell’ambito dell’inclusione delle diverse tecnologie nella Tassonomia UE delle attività eco-sostenibili.
A questo proposito, ulteriori spunti di riflessione emergono dall’indagine che il JRC ha condotto tra gli stakeholders coinvolti nei processi nascenti di riciclo. Da essa, emerge come il riciclo chimico necessiti di essere incluso nei calcoli del tasso di riciclaggio, laddove l’output del processo è coerente con quanto definito dalla direttiva quadro sui rifiuti. Da un lato, ciò porterebbe ad un aumento dei tassi di riciclaggio in Europa e, dall’altro, favorirebbe anche la diffusione di tale tecnologia. Al contempo, a fronte di una richiesta degli stakeholders di impiegare l’approccio del “bilancio di massa” per il calcolo della quota di riciclo nei processi di riciclo chimico, JRC evidenzia come, ad oggi, manchino ancora regole chiare su come tale bilancio di massa debba essere computato. Pertanto, occorre innanzitutto chiarire come ciò debba avvenire e, in senso più ampio, codificare le regole di calcolo del riciclaggio. A tale scopo, l’industria e gli Stati membri stanno chiedendo alla Commissione di rivedere la definizione di riciclo, così che possa essere riconosciuto un ruolo anche alle tecnologie innovative, garantendo al contempo maggiore certezza agli investimenti.
Ai fini della misurazione degli obiettivi, occorrere distinguere tra i processi di “riciclo chimico” e quelli di “recupero chimico”, ove quest’ultimo si riferisce al trattamento chimico con cui si generano in toto o in parte dei carburanti come output, secondo quanto delineato dall’Eurostat. Pertanto, non rientrerebbe nella definizione di riciclo chimico, “qualsiasi processo volto al recupero dell’energia come l’incenerimento o la produzione di output che vengono utilizzati come combustibili”. Sempre per l’Eurostat, l’utilizzo del “bilancio di massa” può aiutare a categorizzare correttamente il processo.
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Cosa accade in Italia
Lo scorso giugno, il MiTE ha completato l’adozione del pacchetto di riforme dedicate al settore dei rifiuti all’interno del PNRR. Per quanto riguarda la Strategia Nazionale per l’Economia Circolare, si stabilisce che nell’ambito della proposta di Strategia Nazionale sulle plastiche, dovranno essere approfondite le diverse tecnologie di riciclo della plastica, inclusi il riciclo chimico e quello meccanico. Ora si tratta di definire dei requisiti minimi con cui calcolare il materiale riciclato contenuto nei prodotti; circa il riciclo chimico, la metodologia che appare più indicata è quella del “bilancio di massa”.
Il secondo pilastro del pacchetto di riforme per i rifiuti è rappresentato dal Programma Nazionale per la Gestione dei Rifiuti (PNGR), nell’ambito del quale il riciclo chimico è menzionato unicamente in riferimento alla gestione degli scarti di selezione dei rifiuti in plastica – il cosiddetto “plasmix” – che attualmente vengono destinate alla termovalorizzazione o allo smaltimento in discarica, non essendo riciclabili meccanicamente (si vedano i Position Paper n. 208 e 204).
Più nello specifico, il PNGR – tra le azioni regionali per risolvere il gap impiantistico nazionale – indica lo sviluppo e la realizzazione di impianti con nuove tecnologie di riciclaggio per le frazioni di scarto. Nell’ambito delle tecnologie per la valorizzazione di queste frazioni, viene indicato il riciclo chimico, al fine di trasformare il plasmix in nuovi materiali impiegabili per sintetizzare numerosi composti o come vettori ad elevato contenuto energetico.
Tuttavia, (come meglio approfondito nella long form del presente Position Paper), l’impostazione adottata dal PNGR sembra al momento tenere in secondo piano l’opzione del riciclo chimico, escludendolo dalle opzioni di trattamento della frazione secca dei rifiuti urbani indifferenziati e dei rifiuti speciali derivanti dalle attività di trattamento intermedio, ovverosia il Combustibile Solido Secondario o CSS (come analizzato nel Position Paper n. 135).
A fronte della legittima scelta del MiTE di puntare in questa fase su altre forme di gestione dei rifiuti, alcune Regioni sembrano avere preso strade diverse. È il caso della Liguria, che nel Piano Regionale di Gestione dei Rifiuti (PRGR) fornisce un indirizzo circa la realizzazione di un nuovo impianto d’ambito regionale di riciclo chimico. Per altre Regioni, invece, il riciclo chimico rappresenta un’ipotesi anche in una fase più avanzata di progettualità, essendo già entrato, nel caso della Toscana, nelle manifestazioni di interesse per la realizzazione di nuovi impianti e nel caso della Sicilia nella procedura di realizzazione in project financing di un impianto da 400mila ton/anno.
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In una fase dove sembrano esserci delle divergenze tra le valutazioni effettuate a livello centrale e da alcune amministrazioni regionali a livello locale, per fare un po’ di chiarezza occorre partire dalle indicazioni provenienti dalla letteratura scientifica e dalle esperienze a livello europeo e mondiale.
Ciò che emerge sono le importanti potenzialità di sviluppo dei processi di riciclo chimico, ma nell’ambito di un processo di consolidamento tecnologico che traguarderà i prossimi anni e che partirà necessariamente da sperimentazioni anche su impianti di piccola taglia. In termini di contesto, le situazioni ideali dove innovare e sperimentare l’impiego di nuove tecnologie sono certamente i territori che non si trovano in una fase emergenziale nella gestione dei rifiuti, cioè quei contesti avanzati dove la ricerca di soluzioni alternative, ambientalmente più sostenibili delle attuali, non rischia di porsi in concorrenza con le tecnologie già consolidate che svolgono il ruolo di assicurare l’autosufficienza nel trattamento dei rifiuti urbani indifferenziati e degli scarti delle raccolte differenziate. Lo svolgimento di analisi di LCA avrà comunque un ruolo fondamentale nel valutare la soluzione impiantistica preferibile.
Si tratta di una strada che sembra avere intrapreso la Lombardia, una regione virtuosa nella gestione dei rifiuti, che nel suo PRGR considera le prospettive del riciclo chimico a partire dall’esito che avrà un progetto pilota sviluppato a Mantova, potendosi permettere di guardare al futuro nel tentativo di efficientare i processi di trattamento. Gli indirizzi che si attendono dalla programmazione nazionale, dovrebbero andare proprio in questa in direzione, almeno in una prima fase di assestamento tecnologico.
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