fbpx
venerdì, Dicembre 13, 2024

Mass balance, il nuovo approccio del riciclo chimico a rischio greenwashing

Rendere circolare il settore della plastica sta diventando una competizione. Oltre alla ricerca di nuove tecnologie come il riciclo chimico e a politiche di riutilizzo delle materie plastiche, è stato lanciato il mass balance approach and allocation, un nuovo metodo contabile che però ha bisogno di regole definite

Simone Fant
Simone Fant
Simone Fant è giornalista professionista. Ha lavorato per Sky Sport, Mediaset e AIPS (Association internationale de la presse sportive). Si occupa di economia circolare e ambiente collaborando con Economia Circolare.com, Materia Rinnovabile e Life Gate.

Il mass balance approach and allocation è una sorta di metodo contabile utilizzato nel riciclo chimico che permette di allocare a un determinato prodotto un contenuto di materiale riciclato o bio-based, indipendentemente dal fatto che il prodotto finito contenga o meno il medesimo contenuto. Il tutto si basa su un concetto allocazione di crediti di contenuto riciclato o bio-based.

Mattia Comotto, project manager di Aquafil, ci aiuta a capire meglio questo concetto attraverso una similitudine: “è come se nell’acqua che viene utilizzata per fermentare la birra aggiungessimo un bicchiere di vino. E a fine processo pretendessimo di spillare dalla cisterna un bicchiere di vino. Le aziende potrebbero utilizzare l’approccio del mass balance per etichettare il proprio prodotto come riciclato al 100% quando magari di contenuto riciclato ce n’è davvero pochissimo”. Dietro ci sono ovvie logiche di mercato che ingannerebbero il cliente e il mercato stesso. “Decidere arbitrariamente a quali prodotti attribuire il materiale riciclato e quindi aggiungere ulteriore valore (quello della sostenibilità) al prodotto, forse va un po’ oltre la chimica e la scienza”, commenta Comotto.

Leggi anche: Che cos’è il riciclo chimico e perché interessa all’industria delle plastiche

Il flusso di materia non tracciabile

Il concetto del mass balance approach nel contesto del riciclo chimico è stato reso noto da un discusso paper della Ellen MacArthur Foundation. “Ha creato un certo scalpore – continua Mattia Comotto – perché sostanzialmente dice che il bilanciamento di massa avviene tra ciò che entra in un sistema e ciò che esce. E quello che si verifica tra l’inizio e la fine non è importante (paragrafo 2.2 ndr)”.  Verificare i flussi di materie è quindi la vera incognita. “Mi è capito di partecipare a un workshop sul bilanciamento di massa nel quale una delle aziende chimiche più importanti al mondo ha affermato che all’interno dell’impianto ci sono forse 10 persone che conoscono esattamente quali sono i flussi di materia. Per cui il messaggio sottointeso è stato: non potete fare altro che fidarvi. Un certificatore esterno che dovesse certificare la tracciabilità del materiale riciclato fino a un determinato prodotto, non conoscendo l’impianto, non avrebbe gli strumenti per giudicare”.

Il report di Aquafil, al contrario del paper della Ellen MacArthur Foundation, è invece molto più critico sul fatto che, senza garantire la tracciabilità di tale materia prima bio-based o riciclata, l’approccio del bilancio di massa costituisce una potenziale minaccia per l’intera industria chimica e per la sua credibilità, in particolare per quegli attori che negli ultimi 15 anni (anche con il sostegno di istituzioni pubbliche e programmi nazionali e comunitari di ricerca e sviluppo) hanno investito in modo significativo per rendere il settore della plastica più sostenibile, bio-based e circolare.

 Leggi anche: FAQ e facsimile, il Ministero della Transizione chiarisce come partecipare ai bandi per l’economia circolare

Impatti climatici

“Le aziende che in questo momento stanno utilizzando questo approccio fanno un calcolo della LCA (Life Cycle Assessment) un po’ edulcorato – dice Comotto a Economiacircolare.com – . Partono dal concetto che se io ho alimentato il mio reattore di pirolisi o gassificazione con un chilogrammo di rifiuti, ho evitato che questi rifiuti vadano all’inceneritore quindi mi prendo un credito per il mancato incenerimento. Ma chi mi dice che questi rifiuti sarebbero andati all’inceneritore?”.

Poi ci sono criticità ambientali ancora non ben definite per quanto riguarda le tecnologie. Il punto di partenza dell’approccio del bilancio di massa è rappresentato dai processi di pirolisi o gassificazione. “Nel sistema del mass balance approach, attraverso pirolisi, si riproduce petrolio che deve subire alcuni processi tipici delle raffinerie e poi tutte le varie conversioni chimiche per essere trasformato in polimero. Ogni step ha il suo impatto in termini di emissioni. Se consideriamo la somma delle emissioni relative alla pirolisi e alla riconversione in plastica del petrolio, la riduzione dell’impatto ambientale di questo processo rispetto all’estrazione del grezzo rischia di esser non molto significativa”.

I dubbi su tale approccio sono anche confermati dal fatto che il sistema internazionale EPD (Environmental Product Declaration), che rilascia la certificazione ambientale più importante per i prodotti, non ammette il bilancio di massa nel calcolo delle LCA.

Leggi anche: Nuovi inceneritori? “L’Italia piuttosto deve iniziare a disfarsi di quelli vecchi”

Ci vogliono regole più rigorose

Il febbraio scorso, in una lettera congiunta, Zero Waste Europe, ECOS e altri undici firmatari chiedono alla Commissione europea di evitare un metodo flessibile di “bilancio di massa” nella determinazione del contenuto riciclato nei prodotti in plastica. “Questo metodo potrebbe consentire l’allocazione libera di materie prime riciclate al prodotto finale di loro scelta, indipendentemente dal suo vero contenuto”, si legge nella lettera. Il documento propone dieci criteri specifici per evitare pratiche di greenwashing e regolamentare le modalità di determinazione del contenuto riciclato, garantendo una catena di custodia circolare.

Tra i più importanti c’è l’ambizione di mirare alla quantità più elevata possibile di contenuto riciclato e separare le materie prime riciclate dalle materie prime vergini nella catena di approvvigionamento; non consentire il commercio di contenuto riciclato come parte di un sistema di crediti e assegnare uniformemente il contenuto riciclato ai prodotti in uscita.

Anche il report di Aquafil presenta delle proposte di regole più rigorose: in primo luogo, si chiede che i collegamenti fisici (tramite condutture o mezzi di trasporto) rappresentino un requisito obbligatorio per i materiali riciclati o bio-based, che difficilmente può essere sostituibile dal trasferimento di crediti tra siti differenti. In secondo luogo, la possibilità di avere una linea produttiva (dalla materia prima al prodotto finale) che processi solamente materie prime riciclate o bio-based, poiché solo in questo caso è possibile garantire la tracciabilità. “Tanti dicono che il mass balance è un ottimo strumento per favorire l’economia circolare. Ma dal mio punto di vista per ora è solo un mezzo che ti permette di ottenere tutto senza fare nulla”, chiosa Mattia Comotto. Quello che manca principalmente, secondo Zero Waste e Comotto, è lo stimolo a continuare ad investire per aumentare la quantità di materia prima alternativa in ingresso. Ovvero una progressiva ambizione a fare meglio.

Leggi anche: Macchine mangiaplastica, così i Comuni possono accedere ai fondi per installarle

© Riproduzione riservata

spot_img

POTREBBE INTERESSARTI