Vi è mai capitato di fare il bagno al mare o di camminare sulla battigia in una giornata ondosa? Probabilmente avrete potuto “ammirare” anche voi una nuova “specie” che accomuna ogni sponda del Mediterraneo: i rifiuti. È un dato di fatto: trovare luoghi incontaminati è diventata una mission impossible. Dalla propagazione, alle quantità, fino alla tipologia dei residui trovati, sono tanti gli aspetti sui quali è importante fare luce.
Per comprendere la gravità del problema non basta, infatti, fermarsi alle nostre coste. Un recente report de “The Himalayan Cleanup” (THC), un’iniziativa nata dalla collaborazione tra Zero Waste Himalaya e Integrated Mountain Initiative, lancia un grido d’allarme che risuona fino a noi.
Durante le operazioni di pulizia del 2024, è emerso che oltre il 75% dei rifiuti plastici raccolti nell’area himalayana sarebbe di tipo non riciclabile. Il dito è puntato contro il packaging alimentare che da solo costituisce l’84,2% di tutti i rifiuti rinvenuti, con una quota del 71% composta da plastiche multistrato, tra le più complesse da avviare a un percorso di riciclo virtuoso. A questo si aggiungono le onnipresenti bustine monodose di shampoo e altri articoli da bagno, i pacchetti di caffè e zucchero nonché altri rifiuti ricollegabili all’e-commerce come film plastici e pluriball. Questi materiali, leggeri e voluminosi, si accumulano anche negli angoli più remoti dove la loro rimozione diventa un’impresa titanica. Il problema, come sottolineano gli attivisti, è sistemico: la gestione dei rifiuti in montagna è estremamente costosa a causa della logistica complessa e delle grandi distanze dagli impianti di trattamento che spesso si trovano in pianura.
Dalle montagne al mare: l’istantanea delle spiagge italiane
Se l’Himalaya sembra un luogo lontano, come accennato ad inizio articolo, basta guardare alle nostre spiagge per ritrovare dinamiche simili, seppur con alcune differenze. Secondo l’indagine “Beach Litter 2024″ di Legambiente, ogni 100 metri di spiaggia italiana si trovavano, in media, 705 rifiuti. Vi sembrano tanti? Sappiate che il rapporto 2025 ha aggravato il bilancio facendo censire 892 rifiuti ogni 100 metri di spiaggia! Comprendere quali siano le categorie di rifiuti più frequenti può rivelarsi fondamentale per combattere questa piaga. Nell’analisi condotta da Legambiente, il 61% dei rifiuti raccolti e catalogati è rappresentato da sole 10 tipologie di oggetti (sulle 180 categorie totali).
La plastica la fa da padrona: il 33,2% (7.558 elementi) è rappresentato da bottiglie e contenitori in plastica (inclusi tappi e anelli). Analizzando nel dettaglio, il 13% di quanto raccolto (7.305 su 56.168) è rappresentato da pezzi di plastica compresi tra i 2,5 e i 50 cm di grandezza, rinvenuti in 56 delle 63 spiagge monitorate; seguono tappi e coperchi in plastica (4.612, l’8,2% del totale) ritrovati in 62 transetti, i pezzi di polistirolo compresi tra 2,5 e 50 cm (3.886, il 6,9%) ritrovati in 49 spiagge. Sono state poi censite bottiglie e contenitori per bevande in plastica, rinvenuti in 53 spiagge (2.066, il 3,7% del totale) nonché buste, manici di buste e sacchetti (2.046, il 3,6%) ritrovati su 44 transetti.
Altissimi anche gli esemplari di mozziconi di sigaretta (in terza posizione col 18,6% da mozziconi di sigarette pari a 4.232 ritrovamenti) mentre il 13,8% (3.140) da cotton fioc (in quinta). Questi sono seguiti da reti e gli attrezzi da pesca e acquacultura in plastica pari al 11,9% (2.713) e da stoviglie in plastica (il 12,1% costituito soprattutto da bicchieri, cannucce, posate e piatti, contenitori per cibo, incluso il fast food). Da segnalare anche i dati relativi alle salviette umide (2.619, il 4,7%) raccolte in 25 spiagge e il materiale da costruzione (2.381, il 4,2%) in 47 spiagge. Infine, i pezzi e frammenti di vetro e ceramica, trovati su 21 spiagge (1.821, il 3,2%).
La differenza sostanziale rispetto alle aree montane risiede nella tipologia di alcuni oggetti, legati più direttamente alla fruizione balneare e al fumo, ma la radice del problema per gran parte delle tipologie di rifiuti censiti è la stessa: un consumo massiccio di prodotti confezionati in imballaggi monouso, pensati per la comodità estemporanea ma non per un fine vita sostenibile (e evidentemente l’incapacità di migliaia di persone di rispettare le civili regole di coesistenza con l’ecosistema che ci circonda).
Perché abbandoniamo i rifiuti? Tra cultura dell’usa e getta e carenze strutturali
Le ragioni dietro l’abbandono dei rifiuti in luoghi di pregio naturalistico sono un intreccio di fattori comportamentali e strutturali. Da un lato, c’è una radicata “cultura della convenienza”: il prodotto monouso è facile da trasportare quando è pieno, ma, una volta vuoto e sporco, diventa un fastidio da gestire. A ciò si aggiunge una percezione distorta di responsabilità, la classica mentalità del “qualcun altro pulirà”. Dall’altro lato, le infrastrutture sono spesso inadeguate a gestire i picchi di presenze turistiche.
Cestini insufficienti o stracolmi diventano un alibi per l’abbandono soprattutto nelle aree remote, nelle piccole isole e nei parchi naturali, dove la raccolta e il trasporto dei rifiuti rappresentano una sfida logistica ed economica enorme, a volte sproporzionati alle risorse dei gestori locali. Durante l’alta stagione quindi, la produzione di rifiuti in queste località può aumentare in modo esponenziale, mettendo in crisi sistemi di gestione già fragili. Si rischia quindi che il costo per la collettività e per l’ambiente superi di gran lunga il beneficio della comodità individuale, facendo anche nascere interrogativi sulle possibili tipologie di limiti da inserire.
Leggi anche: La differenziata non va in vacanza: l’impatto del turismo sulla raccolta dei rifiuti in estate
Tra la complessa gestione in aree fragili e il ruolo mancato della Responsabilità del Produttore
Anche in assenza di un effettivo abbandono di rifiuti, gestire i rifiuti in una località turistica può rivelarsi in ogni caso un’impresa complessa e costosa, in particolare in alcune situazioni non così infrequenti nel panorama vacanziero. Pensiamo alle difficoltà che si possono riscontrare in località come un’isola minore che vede moltiplicarsi le presenze sul proprio territorio d’estate o in un rifugio alpino. Il trasporto a valle o sulla terraferma, spesso effettuato con elicotteri o traghetti, ha costi proibitivi ed un impatto ambientale non trascurabile. Questo rende economicamente insostenibile il riciclo di materiali a basso valore, come le plastiche miste o multistrato. Diviene quindi fondamentale stringere un’alleanza coi turisti affinché comprendano il ruolo chiave della riduzione del volume dei rifiuti. Tutto ciò, però, potrebbe non bastare.
In questo ambito potrebbe, quindi, entrare in gioco un concetto chiave dell’economia circolare: la Responsabilità Estesa del Produttore (EPR). Questo principio prevede che chi produce ed immette sul mercato un imballaggio debba farsi carico anche del suo fine vita, finanziandone la raccolta e il riciclo.
Tuttavia, come denuncia l’associazione The Himalayan Cleanup per l’India e come si riscontra purtroppo anche in molte aree fragili europee, l’applicazione dell’EPR è ancora debole e inefficace. Il report 2024 “Extended producer responsibility, Una panoramica della normativa vigente nei paesi dell’Unione Europea” dell’Italian Trade Agency ha analizzato la situazione in Europa e dalle conclusioni tratte emerge come sebbene l’EPR in Europa sia frutto di evoluzioni legislative trentennali, tale regolamentazione oggi sia lontana dal produrre gli effetti desiderati anche se rimane la normativa più avanzata a livello globale in materia. Altro problema riguarda l’eterogeneità delle disposizioni all’interno della UE.
Al di là, quindi, di norme più stringenti previste da alcuni Paesi del vecchio continente, bisogna rilevare che, in generale, il mercato di packaging risulti ad oggi problematico con soluzioni non sufficientemente adeguate a garantire riduzione e riciclo e di come, troppo spesso, non si riesca a realizzare un sistema che possa consentire a redistribuire in modo equo i costi che la gestione dei rifiuti genera, soprattutto in contesti territoriali svantaggiati.
Leggi anche: Rifiuti d’estate: dove buttare coppette, cucchiaini e cannucce di gelati e granite
Cosa serve per un turismo circolare: le azioni concrete per un cambiamento reale
Che fare? La domanda è semplice, la risposta meno. La soluzione non risiede solo nel multare chi abbandona i rifiuti (attività francamente poco praticabile su larga scala), ma nel provare a ripensare l’intero sistema turistico in chiave circolare. Le condotte corrette non devono, però, essere ipotizzate solo per alcuni anelli della catena, ma è importante che coinvolgano tutti gli attori della filiera.
I turisti devono abbracciare la filosofia del leave no trace (non lasciare tracce), dotandosi di kit riutilizzabili (borracce, contenitori per cibo, posate) e preferendo prodotti con imballaggi minimi o assenti, ma anche cercando di farsi parti attive quando possibile raccogliendo ciò che possono trovare sul proprio cammino. Le strutture ricettive e la ristorazione hanno poi un ruolo cruciale: possono installare erogatori d’acqua per eliminare le bottigliette di plastica, offrire dispenser per saponi e shampoo al posto delle bustine monodose, adottare sistemi di vuoto a rendere per le bevande, attivare oggettoteche e stoviglioteche locali per i propri ospiti soprattutto per quei beni solitamente scelti in modalità monouso. Infine, le istituzioni devono creare le condizioni per questo cambiamento: rafforzare e far rispettare la normativa EPR, incentivare la nascita di filiere locali di riuso e riciclo, promuovere destinazioni “plastic-free” come modello virtuoso ma anche comprendere quali limitazioni introdurre per evitare devastazioni irreparabili.
Solo così il turismo potrà forse smettere di essere parte del problema e diventare un motore di rigenerazione economica e ambientale.
Leggi anche: Quali sono le principali certificazioni per il turismo sostenibile?
© Riproduzione riservata