*La revisione della normativa sugli imballaggi è diventata l’arena dello scontro tra riuso e riciclo, pratiche entrambe da incoraggiare. I “duellanti” vogliono dimostrare inequivocabilmente il miglior impatto ambientale di una soluzione verso l’altra.
Sotto un profilo generale sia il riciclo sia il riuso sono processi che possono garantire impatti ambientali molto diversi a seconda delle condizioni nei quali vengono attuati: da quelle infrastrutturali (raccolta, selezione, trasporti, ricondizionamento, impianti di lavaggio…), a quelle ambientali (comportamenti degli operatori, comportamenti dei consumatori, processi informativi…), a quelle legate alle specifiche situazioni ove il consumo del prodotto e l’eventuale riciclo o riuso dell’imballaggio vengono effettuati.
Come mai questa contrapposizione?
Le carenze della proposta di regolamento sugli imballaggi
Ad avviso di chi scrive la criticità è data proprio dall’impostazione della proposta di revisione della direttiva imballaggi (PPWR) che avrebbe dovuto promuovere il riuso creando quel quadro giuridico necessario a sviluppare le condizioni infrastrutturali e ambientali utili a renderlo economicamente praticabile ed efficace in termini ambientali.
Su questi aspetti, invece, il PPWR è ampiamente carente. Infatti, non disciplina i numeri di riutilizzi, la distanza massima per il ricondizionamento, la riciclabilità degli imballaggi riutilizzabili, le garanzie di prestazione e, non meno importante, l’igiene e sicurezza. Su questi aspetti essenziali rinvia ad atti delegati.
Introduce, invece, da subito divieti ai prodotti monouso in svariati contesti (con obiettivi molto alti di riuso in svariati settori) e discriminanti (in quanto i divieti e gli obiettivi prescindono da ogni condizione infrastrutturale e ambientale), come se la miglior efficacia ambientale del riuso fosse già garantita ed assodata sempre e comunque. Prescinde dalla natura stessa dei materiali che, ad esempio, possono essere rinnovabili o di origine fossile. La carta è rinnovabile ed è non idonea al riuso. Infine, “quasi” ignora i risultati raggiunti dal riciclo da molte filiere e da alcuni Paesi (tra cui proprio l’Italia) in attuazione delle regole europee in materia di rifiuti e di economia circolare
Tassi di riciclaggio dei rifiuti di imballaggio nell’UE 27 |
imballaggi di carta: 81,5%
imballaggi in legno: 31,9% imballaggio metallico: 75,7% imballaggi in plastica: 37,6% imballaggi in vetro: 75,9% |
Fonte: Eurostat, 2020
Senza considerare che la proposta (una volta approvata) dovrà applicarsi da Rovaniemi a Lampedusa, da Oporto a Nicosia e riguarderà le famiglie da 4 persone come gli scapoli.
Manca cioè quell’approccio che consente di capire qual è la migliore opzione sotto il profilo ambientale. Riusare un bicchiere, un contenitore è un vantaggio sotto il profilo del singolo, ma l’operazione ripetuta migliaia di volte, nelle nostre società, determina un impatto e ci costringe a fabbricare imballaggi più pesanti per “incoraggiare” il riutilizzo, certamente meno riciclabili.
Certo l’insalata si può comprare fresca e i libri si comprano molto bene in libreria, ma imporre la dimensione di una busta o il riuso del bicchiere è davvero un bene per l’ambiente?
Come uscire dalla contrapposizione? Creare un quadro giuridico per promuovere il riuso e il riciclo, affidarsi al principio di gerarchia e seguire meglio l’impostazione delle norme già in vigore. Ad esempio l’art. 181 del Dlgs 152/20006 (“copiato” dalle norme comunitarie) prevede obiettivi globali di riutilizzo e riciclo. Questi ultimi vanno aggiornati. E perché non continuare su questa impostazione e creare una sana concorrenza tra le due modalità basata sulle “performance” ambientali?
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La carta
Sempre con riferimento alla carta, più di qualcuno ha osservato che si riscontrano difficoltà nel riciclare imballaggi compositi a base carta che contengono piccole percentuali di plastica e altri materiali (10% circa).
In realtà gli imballaggi compositi a base carta oppure gli imballaggi a base carta con barriere/rivestimenti vengono riciclati in impianti di riciclaggio standard o specializzati (vedere pagine 19-21 della linea guida 4evergreen “Circularity by Design”).
In Italia è già in uso la norma Aticelca 501 sulla riciclabilità dei prodotti in carta che viene utilizzata per differenziare il contributo ambientale.
Quando le proprietà funzionali attese dall’imballaggio per raggiungere il suo scopo richiedono che sia rivestito, laminato o trattato in altri modi per soddisfare le diverse barriere o requisiti funzionali (ad esempio resistenza al grasso e/o all’umidità per il contatto eccessivo), l’industria della carta applica sempre questa combinazione in modo da non ostacolare il riciclo.
In pratica, gli imballaggi a base carta con tali barriere o requisiti funzionali (ovvero prodotti di carta con adesivi o rivestiti con prodotti con adesivi o rivestiti con plastica) possono ancora essere riciclati in impianti di riciclaggio standard o in impianti di riciclaggio specializzati, nei flussi identificati dalla norma EN 643. In ogni caso, la raccolta e la differenziazione della carta come flusso di rifiuti separato è un requisito essenziale per sostenere questo processo.
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Il lavoro del Joint Research Centre della Commissione UE
Nel cercare però di capire se ci può essere un’ultima “stoccata” del riuso verso il riciclo è utile la lettura del documento “Supporting the co-decision process of the PPWR: Environmental analysis of Reuse scenarios” predisposto dal Joint Research Centre (JRC) Sustainable Resource Directorate – Unit D.3 prodotto durante l’esame della proposta a livello di parlamento europeo.
Nella slide 3, si elencano i numerosi parametri rilevanti (numero di riutilizzi, distanze di trasporto, numero di articoli trasportati, condizioni di lavaggio – energia, detersivo e consumo di acqua, risciacquo, rilavaggio, mix energetico, gestione dei rifiuti a fine vita, contenuti di materiale riciclato) sui quali è necessario fare delle assunzioni, delle ipotesi, per poter produrre dei risultati di impatto.
Sempre nella slide n. 3, si indica che tali assunzioni derivano da una letteratura scientifica di riferimento (senza peraltro indicarla) o addirittura da dati raccolti/verificati in loco (visitando il “JRC canteen”, cioè la mensa del centro di ricerca).
A commento di ogni scenario (slide nn. 9, 13, 17), lo studio chiarisce che le assunzioni fatte (sul comportamento dei consumatori, sulle pratiche di lavaggio, sui trasporti, sul numero di riusi…) inevitabilmente condizionano in modo cruciale i risultati.
Rispetto ai limiti dello stesso studio (slide n. 22) si evidenziano proprio le tante “ipotesi chiave” utilizzate (che richiedono attenta valutazione/interpretazione), ovvero quelle sulla massa degli articoli, la logistica, le pratiche e i tipi di lavaggio, il numero di riutilizzi.
Infine, nel trarre le conclusioni più rilevanti (slide n. 23) si evidenzia come sia importante ottimizzare i parametri che guidano le prestazioni ambientali affinché il riuso sia più vantaggioso, che il comportamento degli utenti gioca un ruolo chiave nelle prestazioni ambientali (il consumatore è ben lungi dall’essere stato educato al riuso), che il numero previsto di riutilizzi e il numero di lavaggi sono tra i parametri più rilevanti nell’influenzare i risultati (che il PPWR non disciplina), che le pratiche di lavaggio e risciacquo (ad esempio, acqua calda/fredda durante il risciacquo)) possono influenzare in larga misura alcuni impatti del riuso.
Resta solo una chiara e unica evidenza. Non si possono più basare obiettivi e divieti stringenti sulla base di un quadro conoscitivo così incerto. Una lezione da tener presente in generale e non solo per la revisione della direttiva imballaggi.
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*Questo intervento è stato scritto prima del voto in commissione Ambiente del Parlamento europeo ed è stato pubblicato nel Quaderno di EconomiaCicolare.com “Istruzioni per il riuso”, presentato ad Ecomondo 2023