giovedì, Novembre 6, 2025

Le proposte di Rreuse per la revisione della direttiva Raee

Sui RAEE finora l’Unione Europea si è concentrata solo sul riciclo, a discapito del riuso, che invece è da preferire. Con la consultazione pubblica per la revisione della direttiva Raee ha l’occasione di correggere l’errore. A sostenerlo in un paper è Rreuse, il network internazionale che raccoglie le imprese attive nel riuso

Tiziano Rugi
Tiziano Rugi
Giornalista, collaboratore di EconomiaCircolare.com, si è occupato per anni di cronaca locale per il quotidiano Il Tirreno Ha collaborato con La Repubblica, l’agenzia stampa Adnkronos e la rivista musicale Il Mucchio Selvaggio. Attualmente scrive per il blog minima&moralia, dove si occupa di recensioni di libri. Ha collaborato con la casa editrice il Saggiatore e con Round Robin editrice, per la quale ha scritto il libro "Bergamo anno zero"

La direttiva europea sui rifiuti elettronici (Raee) continua a ignorare il riuso e favorisce in maniera esclusiva il riciclo. Si riassume così, in poche parole, il position paper presentato da Rreuse, il network internazionale che raccoglie circa 1200 imprese attive nel riuso in tutta Europa, in concomitanza con l’apertura a breve da parte della Commissione europea di una consultazione pubblica per la revisione della direttiva sui Raee (in inglese WEEE directive), all’interno del più ampio percorso del nuovo Circular Economy Act.

In realtà il position paper di Rreuse contiene una serie di raccomandazioni molto dettagliate per superare i limiti visti finora con la direttiva WEEE: rafforzare l’efficacia dei sistemi di responsabilità estesa del produttore (EPR), allineandoli più strettamente alla gerarchia dei rifiuti, garantire la copertura integrale dei costi per le imprese sociali promuovendo una governance inclusiva e multi-stakeholder, dare priorità alla prevenzione dei rifiuti e al riuso nei finanziamenti EPR, fissare obiettivi ambiziosi nel riuso e rafforzare il diritto alla riparazione.

Tra le altre misure sollecitate da Rreuse dal lato dei produttori, definire obiettivi quantitativi per ridurre l’impronta ambientale delle apparecchiature elettriche ed elettroniche e vietare la distruzione delle quote invendute, introdurre requisiti di ecodesign ed eliminare tutte le sostanze pericolose, stabilire regole moderne per il trattamento, la raccolta, la logistica e la preparazione al riuso dei Raee e facilitare una collaborazione più solida tra produttori e imprese sociali. Anche perché, molto spesso, queste imprese danno opportunità di impiego nella riparazione a persone escluse dal mercato del lavoro.

“Sono passaggi fondamentali per costruire un’economia realmente competitiva e circolare. Invece, da quando è stata approvata nel 2012, la direttiva WEEE ha avuto sempre come unico obiettivo aumentare i tassi di raccolta, smistamento e riciclo dei rifiuti elettronici. Purtroppo si è visto poco o niente per quanto riguarda il riuso, che come è noto è da preferire al riciclo. In ogni caso, i risultati sono stati deludenti su entrambi i fronti”, riassume Simone Cimadomo di Rreuse.

Gli ultimi dati di Eurostat evidenziano ancora una volta la crescente minaccia ambientale rappresentata dall’elettronica, confermando l’aumento costante del numero di dispositivi immessi sul mercato dell’Unione Europea, che contribuisce direttamente alla crescita dei rifiuti elettronici: oltre 14,4 milioni di tonnellate di apparecchiature elettriche ed elettroniche sono state vendute nell’UE nel 2022 – un aumento di oltre il 98% rispetto al 2013, mentre i rifiuti elettronici registrati nello stesso anno sono arrivati a quota 5 milioni di tonnellate. Insomma, si va incontro a una crisi di rifiuti e-waste e le istituzioni europee devono aggiornare la direttiva WEEE per ridurre la dipendenza da apparecchiature elettroniche e mitigarne l’impatto ambientale.

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Schermi EPR: coprire anche i costi del riuso

Raee

La prima strategia – giudicata estremamente efficace da chi si occupa di gestione dei rifiuti – è potenziare gli schemi di responsabilità estesa del produttore: “Le disposizioni attuali dell’articolo 23 della direttiva Raee – si legge nel position paper di Rreuse – non sono sufficienti a evitare l’elusione delle responsabilità da parte dei produttori. È fondamentale che i produttori si assumano una maggiore responsabilità finanziaria per la raccolta dei rifiuti elettronici, partecipando obbligatoriamente a reti nazionali per la restituzione dei Raee, per le quali gli obiettivi di raccolta e (preparazione per il) riutilizzo dovrebbero diventare giuridicamente vincolanti”.

Un tema particolarmente delicato – e centrale – per le apparecchiature elettroniche riguarda il commercio online: “In particolare, le piattaforme online come Amazon o Wish – sostengono da Rreuse – hanno finora eluso gli obblighi legali relativi alla restituzione dei Raee da parte di venditori di Paesi terzi, e dovrebbero essere anch’esse soggette a piena responsabilità per tali venditori, soprattutto considerando il fatto che svolgono un ruolo di primo piano nell’immissione sul mercato di apparecchiature elettroniche non conformi.

Per Rreuse il modello a cui ispirarsi è quello francese

Le tariffe EPR dovrebbero coprire integralmente i costi della gestione dei rifiuti da parte delle imprese sociali, inclusi raccolta, selezione e preparazione per il riutilizzo. Alcuni esempi nazionali sono delle buone pratiche a cui ispirarsi. Un modello che a Rreuse piace particolarmente è quello francese: “In Francia esiste un fondo nazionale, finanziato attraverso le tariffe EPR pagate dai produttori – spiega Cimadomo – che destina una percentuale specifica di questi fondi direttamente alle imprese sociali attive nella prevenzione dei rifiuti, ponendosi sulla cima della gerarchia dei rifiuti”.

Un’altra misura interessante sono i cosiddetti “bonus riparazione”: “Anche questi sono finanziati dai produttori tramite le stesse tariffe, e servono a ridurre il costo della riparazione per i consumatori. In pratica, grazie a questo incentivo, i cittadini possono ottenere uno sconto diretto sulla riparazione dei propri prodotti, il che li aiuta a mantenerli in uso più a lungo, invece di sostituirli con nuovi acquisti”, spiega il rappresentante di Rreuse.

Secondo Rreuse l’istituzione di un fondo sociale per il riuso all’interno dei sistemi EPR dovrebbe essere accompagnata da un obiettivo di creazione di posti di lavoro sociali, per stimolare l’occupazione locale, e da ulteriori misure a sostegno della creazione di centri di riuso e riparazione regionali o locali gestiti da imprese sociali. Un modo per riconoscere i benefici sociali delle imprese sociali attive nel riuso e sostenere ulteriormente le attività circolari consiste nel destinare loro una parte delle tariffe EPR.

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Più risorse per gli EPR: l’idea dell’Eco-modulation

smartphone economia circolare
Foto: Canva

Questi sistemi hanno bisogno però di risorse sufficienti, cosa finora che è mancata: “La soluzione migliore per ottenere più risorse sarebbe modulare le tariffe pagate dai produttori in base alle caratteristiche del prodotto immesso sul mercato”, spiega Cimadomo. Il meccanismo in teoria è semplice ed efficace: “Se il prodotto immesso sul mercato rispetta o addirittura supera dei requisiti minimi di ecodesign e, ad esempio, è facilmente riparabile, modulare o molto longevo, il contributo da pagare sarà più basso, rispetto a un bene che a li rispetta malapena rispetta e che probabilmente costringerà il consumatore a cambiarlo in fretta e acquistarne uno nuovo perché difficilmente riparabile”.

Queste risorse andrebbero però utilizzate in maniera oculata. Da un lato, naturalmente a sostegno dei processi di riciclo e riutilizzo. Ma “soprattutto a sostegno dell’informazione e dell’educazione dei cittadini-consumatori – prosegue Cimadomo – perché per aumentare la raccolta di Raee e incentivare la riparazione un passaggio altrettanto fondamentale è investire in campagne di comunicazione e di sensibilizzazione”. Un po’ quello che ha cercato di fare EconomiaCircolare.com con la campagna “Fai la tua mossa” lanciata insieme a Erion WEEE, Junker App e A Sud su come smaltire correttamente i Raee.

È il momento di fissare target per il riuso

C’è un urgente bisogno, inoltre, di aumentare il tasso di raccolta dei Raee e fissare dei target per il riuso, così come è stato fatto per il riciclo. “Utilizzare target combinati riciclo-riuso non serve a molto – spiega Cimadomo – perché il riciclo è più economico e richiede meno lavoro e le attività di riparazione sono penalizzate e i fondi vengono investiti sempre nel riciclo: un processo più redditizio, ma anche con un’intensità energetica maggiore. Per prima cosa, dunque, questi due target andrebbero separati”, conclude.

I benefici di avere dei target quantitativi secondo Rreuse sono notevoli: “Obiettivi quantitativi possono stimolare investimenti e cooperazione tra i diversi stakeholder. Possono massimizzare i benefici ambientali e sociali, poiché le attività di prevenzione e riutilizzo dei rifiuti possono sostituire il consumo di nuovi articoli, creando al contempo posti di lavoro locali e inclusivi per i disoccupati di lunga durata e per coloro che incontrano barriere nel mercato del lavoro”.

Mentre per promuovere ulteriormente la raccolta e il riciclo dei Raee, “sono necessarie quote di riciclo separate per le plastiche, così come per le materie prime critiche (ad esempio tantalio, indio e germanio) e altri metalli contenuti nelle AEE. Infine, per incentivare l’infrastruttura europea per il riciclo – in particolare per quei materiali che attualmente non sono riciclabili in modo economicamente conveniente – dovrebbero essere introdotti obiettivi obbligatori di contenuto riciclato proveniente da Raee post-consumo, soprattutto per le materie prime critiche, come già previsto nel Regolamento UE sulle batterie“, si legge nel position paper.

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Rreuse: le imprese sociali vanno coinvolte di più

rreuse network riuso

Il problema, però, è che dietro il riciclo ci sono numerosi interessi. “Nei vari consorzi troviamo quasi sempre rappresentanti dei produttori nei consigli di amministrazione: e i produttori, comprensibilmente, hanno l’interesse a massimizzare il riciclo: più si ricicla e meno si riutilizza e più prodotti nuovi sono venduti sul mercato”. Perciò, secondo Rreuse, sarebbe il momento di riconoscere le imprese sociali come attori chiave nei sistemi EPR: “Dovrebbero essere consultate e incluse nei consigli di amministrazione dei consorzi, dove si prendono decisioni cruciali sull’allocazione dei fondi, sulla progettazione dello schema nazionale di EPR, su come incentivare certe pratiche rispetto ad altre”, sostiene Cimadomo.

Eppure oggi, denuncia Rreuse, gli attori che promuovono il riuso non hanno nemmeno accesso ai rifiuti: “Spesso non possono operare nei punti di raccolta ufficiali. E in alcuni Paesi europei succede qualcosa di ancora più assurdo: anche quando le imprese sociali raccolgono volontariamente prodotti tramite donazioni, esistono obblighi legali che le costringono a cedere questi beni ai consorzi. Una norma paradossale perché in questo modo i prodotti finiscono comunque nel circuito del riciclo, invece che nel riutilizzo, che è preferibile dal punto di vista ambientale e della gerarchia dei rifiuti”.

Perciò Rreuse chiede “clausole vincolanti che garantiscano l’accesso effettivo alle imprese sociali al flusso dei rifiuti: o meglio a prodotti che in molti casi possono essere riparati, riutilizzati e rimessi sul mercato, oppure donati a scuole o impiegati in altri usi socialmente utili, come hanno dimostrato alcuni casi virtuosi di Green Public Procurement come in Irlanda, dove negli uffici pubblici sono stati acquistati computer ricondizionati”.

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