Da 22 anni è un appuntamento puntuale e irrinunciabile. Per ogni Legge di Bilancio votata dalle Camere, a fine anno si attende il contraltare della cosiddetta Controfinanziaria, quella stilata e diffusa campagna “Sbilanciamoci!”. Già il titolo dato a questo report, frutto del lavoro collettivo di 49 organizzazioni della società civile aderenti alla campagna, è inequivocabile: Come usare la spesa pubblica per i diritti, la pace, l’ambiente. In 63 pagine viene delineata una “una contromanovra di bilancio a saldo zero, con 111 proposte alternative di spesa pubblica per uscire dall’emergenza Covid-19 con un’Italia in salute, giusta, sostenibile”.
L’anno delle tante finanziarie
Il rapporto, pubblicato lo scorso 7 dicembre, nella sua analisi non può partire dalla straordinaria situazione in cui è stata redatta la Legge di Bilancio 2021, contrassegnata dallo scoppio della pandemia di Covid-19. “Possiamo dire che negli ultimi mesi abbiamo avuto già 3-4 Leggi di Bilancio, per ampiezza finanziaria e portata degli interventi – si legge – Quello che prima dellapandemia sembrava un’eresia per i tecnocrati, l’incubo dei realpolitik, fonte di anatema per i dogmatici dell’economia liberista, è diventato normale in una situazione di così grave emergenza: è stato sospeso il Patto di Stabilità dell’Unione Europea, che ha deciso di fare debito; è stato rivalutato nella sua centralità il ruolo dello Stato e delle politiche pubbliche; sono state messe in campo politiche espansive, ribaltando tutto quello che ci è stato imposto in questi anni. L’emergenza Covid ha messo in evidenza gli errori drammatici dell’Italia negli anni passati: il sottofinanziamento, anzi il definanziamento della sanità pubblica e la grave carenza della sanità territoriale; il sottofinanziamento della scuola con gravissime carenze nell’edilizia scolastica e nell’organico; l’insufficiente finanziamento dei sistemi di cura, di assistenza di un welfare debole e assai diseguale. Si sono alimentate in questi anni non solo le diseguaglianze di reddito, ma anche quelle sanitarie, scolastiche e sociali tra Nord e Sud. La vita cambia se si abita a Reggio Emilia o a Reggio Calabria. La pandemia ha evidenziato le carenze delle politiche di questi anni nella lotta alle diseguaglianze. L’obiettivo della politica dovrebbe essere quello di accrescere il benessere del paese ancor prima della crescita economica e per questo auspichiamo una maggiore attenzione a temi quali l’uguaglianza, la sostenibilità e l’innovazione sociale”.
La lezione di un momento straordinario
Nel nostro piccolo anche noi di EconomiaCircolare.com abbiamo ribadito che la lezione primaria da trarre da questo 2020 – incredibile e sciagurato, certamente straordinario nel senso letterale di fuori dall’ordinario – è che il modello di economia lineare in cui viviamo è insostenibile sotto ogni punto di vista, e che è arrivato il momento di cambiarlo. L’alternativa esiste già, ed è quella dell’economia circolare. Ne è d’accordo anche Giulio Marcon, portavoce della campagna Sbilanciamoci!: già membro della Commissione Bilancio della Camera dei Deputati, ha insegnato nelle Università di Urbino (Progettazione per l’impresa sociale) e Cosenza (Discipline Economiche e Sociale.) Nella sua attività parlamentare Marcon ha fatto approvare l’introduzione degli indicatori di benessere nella riforma della legge di bilancio e il sostegno alla finanza etica e responsabile.
“La lezione da trarre della pandemia è la sconfessione di alcuni dogmi che avevano ispirato le politiche economiche degli ultimi 20 anni – dice Marcon ad EconomiaCircolare.com – In tutta Europa sono state archiviate le politiche di austerità: si è deciso di fare debito per sostenere la ripresa dei Paesi e si è finalmente giunti alle politiche espansive. Si cambia strada, finalmente, ma ovviamente è tutto da vedere e da verificare. Continuano infatti a permanere scelte non condivisibili. In ogni caso c’è una discontinuità, che sarebbe sbagliato non vedere, e che riguarda anche l’Italia. Speriamo soltanto che le scelte vadano nella giusta direzione. Perché un conto è fare debito per finanziare guerre in tutto il mondo, un conto è fare debito per finanziare il Green Deal. Va poi osservato che le politiche di spesa pubblica hanno un effetto moltiplicatore decisamente superiore rispetto agli sgravi fiscali. In questi anni ci è stato raccontato che agevolando le imprese si sarebbe creata crescita economica, cosa che non è successa. Teniamo conto ad esempio che dal 2000 a oggi l’Ires, la tassa sui profitti alle imprese, è scesa dal 37% al 24%”.
Un taglio consistente che però non solo non è servita allo scopo ma, soprattutto, ha in un certo senso deresponsabilizzato le imprese, consapevoli in questi anni che avrebbero ottenuto agevolazioni dallo Stato a prescindere dai risultati e dalle condotte.
L’insostenibile costo dei Sussidi ambientalmente dannosi
Il Green Deal europeo, come ricorda efficacemente lo stesso Marcon, nasce prima del Covid ma proprio con l’arrivo della pandemia viene ulteriormente rafforzato e sarà al centro delle nuove politiche come il Recovery Plan. Il piano per la ripresa verde e sostenibile viene molto spesso citato dal governo come faro da seguire. Ma mancano applicazioni immediate.
“Colpisce l’assenza di alcuna novità sul tema dei Sussidi Ambientalmente Dannosi (Sad) che pure era stato al centro della passata Legge di Bilancio – sostiene il report di Sbilanciamoci! – Si dirà che c’è una Commissione istituita dalla passata legge con questo compito, ma quello che rileva è l’assenza nella legge di novità in termini di riduzione o riconversione dei Sad in Saf (Sussidi ambientalmente favorevoli). Sostanzialmente la mancanza in Legge di Bilancio di una quantificazione della riduzione dei Sad significa un ulteriore rinvio. C’era la promessa di intervenire per almeno un miliardo di euro, ma di questo non c’è traccia. Inoltre, i numerosi ristori per logistica e trasporti avrebbero potuto prevedere un minimo di investimenti nella direzione del Green Deal”. Le buone intenzioni, insomma, non bastano. “C’è un aspetto più strutturale – osserva Marcon – Da qui al 2023 sono previsti nella Legge di Bilancio 24 miliardi di aiuti alle imprese. Senza però individuare delle specificità. Perché ad esempio non fornirne di maggiori a chi mostra di rispettare le indicazioni del Green Deal?”.
Le condizioni per gli aiuti alle imprese
“Aiuti alle imprese senza condizioni, ma senza che, in questa Legge di Bilancio come nei precedenti decreti, si capiscano la regia e le politiche pubbliche conseguenti. Tutto ciò getta un’ombra su come gestiremo gli interventi del Recovery Plan”. L’allarme lanciato da Sbilanciamoci va nella stessa direzione dell’appello che da tempo facciamo presente anche noi di EconomiaCircolare.com, con una richiesta che tra l’altro viene dalle stesse imprese: sì agli aiuti dello Stato ma solo se questi vanno a premiare aziende con minori impatti ambientali, con un alto indice di circolarità e che offrano buone condizioni lavorative ai propri dipendenti. Lo ribadisce anche la campagna Sbilanciamoci, che ricorda come misure del genere siano a costo zero perché si tratta di indirizzare su assi strategici investimenti già previsti. “In questa direzione dovrebbero essere favorite le imprese che investono nell’economia circolare e nella tutela dell’ambiente nei diversi settori dell’economia – si legge nel report – magari utilizzando quella “tassonomia delle attività eco-compatibili” che è stata redatta dal gruppo di esperti sulla Finanza sostenibile della Commissione Europea. Misure specifiche potrebbero essere poi rivolte al rafforzamento della filiera sanitaria, creando un sistema di beni e servizi ad alta tecnologia e conoscenza e migliorando l’autosufficienza del Paese in alcune produzioni che si sono rivelate essenziali durante la crisi (mascherine, ventilatori, eccetera)”.
In uno dei precedenti decreti, quello noto come Rilancio, il governo ha scelto di tagliare l’Irap (l’imposta regionale sulle attività produttive) fino a Natale. Anche qui, però, senza effettuare distinzione alcuna. “Ci sono imprese che con la pandemia si sono enormemente arricchite – fa notare il portavoce di Sbilanciamoci! – Penso per esempio ad Amazon. Eppure l’Irap è stata tagliata anche a una multinazionale del genere, che non mi pare azienda granché sostenibile o circolare”.
Le proposte circolari di Sbilanciamoci!
Interessante anche il ventaglio delle proposte. Si parte dalla rimozione progressiva dei Sussidi Ambientalmente Dannosi (Sad) che secondo gli studi porterebbe allo Stato maggiori entrate per 4 miliardi di euro. “Una misura – scrive Sbilanciamoci – che rappresenterebbe un segnale importante verso la transizione ecologica. Entro il 2025, come previsto dagli accordi presi al G7 di Ise-Shima nel 2016, si chiede di trasformare i 19,8 miliardi di Sad in Sussidi Ambientalmente Favorevoli, elaborando un piano sulla fiscalità ambientale di cui non si trova traccia nel Ddl di Bilancio 2021, nonostante la revisione dei sussidi promessa dal ministero dell’Ambiente nello scorso luglio. La graduale rimozione dei Sad dovrebbe essere accompagnata, dove possibile, da meccanismi di compensazione che rendano più equa la distribuzione dei costi della loro rimozione, proteggendo le categorie più vulnerabili e le aree e le imprese più dipendenti dalle fonti fossili. Si potrebbe in questo modo favorire la transizione del sistema produttivo verso sistemi più sostenibili e al contempo destinare parte delle risorse al sostegno alle energie rinnovabili e alle medie e piccole opere utili al Paese”.
Un’altra segnalazione interessante è quella della rendicontazione dei cambiamenti climatici nelle politiche di investimento. Per esempio: quando si stilano le valutazioni in merito alla realizzazione delle grandi opere, non si calcolano mai gli impatti che queste avranno sull’aumento della temperatura (emissioni di anidride carbonica e così via). Ecco perché, secondo il report, “l’asse della de-carbonizzazione dovrebbe essere un metro di giudizio da applicare a tutte le misure contenute nella Legge di Bilancio 2021 per avviare quella riconversione ecologica dell’economia, attesa da tempo, che calibri gli incentivi e le altre leve fiscali (defiscalizzazione) al fine di favorire le tecnologie zero carbon e l’efficienza energetica, escludendo ogni sussidio alle tecnologie alimentate da combustibili fossili. A tal fine si propone che, a decorrere dal bilancio del 2021, gli investitori istituzionali siano tenuti annualmente a rendicontare su come il tema del cambiamento climatico sia tenuto in considerazione all’interno della politica di investimento. Nello specifico si chiede che la composizione degli investimenti sia allineata a scenari compatibili alla traiettoria di de-carbonizzazione necessaria al rispetto dell’Accordo di Parigi, in modo da recepire nell’ordinamento nazionale i principi dell’articolo 2, comma c, dell’Accordo, dove si prevede che i flussi finanziari siano coerenti con uno scenario di contenimento del riscaldamento globale ben al di sotto dei 2°C”.
Una misura, dunque, non solo prevista dagli accordi firmati dall’Italia ma anche a costo zero. Inoltre “al fine di sostenere la transizione ecologica è necessario finanziare specifici programmi di ricerca pubblici nel campo dello sviluppo delle tecnologie rinnovabili, nell’individuazione di soluzioni tecnologiche all’economia circolare, nell’efficienza energetica dei diversi comparti dell’economia, nello studio del rischio idrogeologico, nella mobilità integrata sostenibile, aumentando i fondi a disposizione dell’università e dei centri di ricerca pubblica. Tali aree di investimento dovrebbero delineare una traiettoria di ricerca su cui potranno convergere anche le strategie delle imprese e degli enti di ricerca privati”.
© Riproduzione riservata