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venerdì, Novembre 15, 2024

La nuova direttiva dell’Unione europea per combattere il greenwashing delle imprese

La nuova direttiva dell'Unione europea mette sullo stesso piano le dichiarazioni sulla sostenibilità e le informazioni finanziarie. Dal 2024 sarà richiesta più trasparenza su questioni ambientali e sociali, con strumenti di certificazione a prova di greenwashing

Simone Fant
Simone Fant
Simone Fant è giornalista professionista. Ha lavorato per Sky Sport, Mediaset e AIPS (Association internationale de la presse sportive). Si occupa di economia circolare e ambiente collaborando con Economia Circolare.com, Materia Rinnovabile e Life Gate.

Il 28 novembre il Consiglio europeo ha approvato la Corporate Sustainability Reporting Directive, la direttiva che obbliga le grandi imprese europee a rendere pubblici i dati su come il loro modello di business impatta l’ambiente e le persone.

È una norma che completa in parte il puzzle del Green Deal europeo per quanto riguarda la finanza sostenibile, che fornirà agli investitori gli strumenti migliori per prendere decisioni informate.

Leggi anche: lo Speciale sulla Finanza Sostenibile

Cosa cambia con la nuova direttiva 

I report sulla sostenibilità fino ad ora sono sempre stati volontari e spesso non vengono certificati da terze parti. Con la norma adottata dal Consiglio europeo, le imprese saranno soggette a controlli e certificazioni indipendenti per assicurare che i dati forniti e le dichiarazioni siano affidabili e non imputabili – per quando riguarda i claim ambientali – di greenwashing.  Agli investitori quindi dovrà essere garantito l’accesso digitale alle informazioni sulla sostenibilità aziendale.

I nuovi obblighi di trasparenza sulla sostenibilità introdotti dalla direttiva si applicheranno a tutte le grandi imprese dell’Unione Europea, ma con diverse tempistiche. Dal 2024 toccherà alle aziende multinazionali con più di 500 dipendenti; dal 2025 gli obblighi si estenderanno alle imprese con oltre 250 dipendenti e/o un fatturato di 40 milioni di euro. Si stima che la norma riguarderà oltre 50mila aziende.

Per le società extraeuropee, l’obbligo di fornire una relazione sulla sostenibilità  si applica per le aziende che generano un fatturato netto di 150 milioni di euro all’interno dei confini europei e che hanno almeno una filiale o succursale in Europa che supera determinate soglie.

“Le nuove norme renderanno più imprese responsabili del loro impatto sulla società e le guideranno verso un’economia a vantaggio delle persone e dell’ambiente – ha dichiarato Jozef Síkela, ministro dell’Industria e del Commercio della Repubblica Ceca – I dati sull’impronta ambientale e sociale saranno disponibili pubblicamente a chiunque sia interessato. Allo stesso tempo, i nuovi requisiti sono adattati alle varie dimensioni aziendali e forniscono loro un periodo di transizione sufficiente per prepararsi”.

Le falle della direttiva precedente

L’Unione europea già nel 2014 aveva emanato una direttiva, chiamata Non-Financial Reporting Directive (NFRD), che rendeva questo report obbligatorio per le grandi società di interesse pubblico con più di 500 dipendenti, tra cui banche, società quotate, compagnie di assicurazione e tutte le altre realtà indicate come strategiche dalle autorità nazionali. Un primo passo senza dubbio necessario che però col tempo, a detta delle stesse istituzioni europee, si è rivelato largamente insufficiente.

La direttiva non era chiara e mancava di un quadro di rendicontazione obbligatorio, il che rendeva difficile per gli investitori e il pubblico confrontare le diverse aziende. Nel 2019 la Commissione ha pubblicato linee guida per la rendicontazione sulle informazioni relative al clima, ma non erano obbligatorie. Diversi studi hanno messo in dubbio l’attuazione della legislazione e la qualità dei report. Tuttavia, poiché la conformità e le sanzioni sono lasciate agli Stati membri, dipenderà dai Paesi che applicheranno seriamente le misure ambientali.

Un altro strumento anti-greenwashing

La commissione per gli affari legali del Parlamento europeo che aveva preso parte ai negoziati di giugno aveva affermato che la direttiva mira a porre fine al greenwashing e a gettare le basi per degli standard di rendicontazione della sostenibilità a livello globale.Ma questo non significa che le azienda diventeranno improvvisamente tutte sostenibili .

“Essere conformi o addirittura ambiziosi in materia di rendicontazione ESG (Environmental-Social-Governance) non significa che un’azienda sia sostenibile – ha scritto Rafael Pinto, Sustainability Analyst del partito dei verdi portoghese Pan-. Significa solo trasparenza nei dati che vengono analizzati e riportati. Un’azienda di combustibili fossili che non ha intenzione passare alle rinnovabili potrebbe essere un esempio di buona rendicontazione, mentre un’azienda di pannelli solari potrebbe rendicontare peggio e apparire meno sostenibile. La speranza è che quando si riportano dati dannosi per l’ambiente o per i diritti umani, le aziende siano soggette a pressioni pubbliche e politiche per fare meglio”.

Le informazioni devono essere verificate in modo indipendente e questo apre lo spazio ai nuovi attori di consulenza finanziaria oltre alle cosiddette Big Four della revisione finanziaria come EY, KPMG, Deloitte e PwC, che dominano il settore.

Negli Stati Uniti, anche la US Securities & Exchange Commission ha proposto norme simili con nuove regole di divulgazione riguarda alla sostenibilità. Ma a differenza dell’Europa, non richiede informazioni sull’impatto di un’azienda sull’ambiente.

Leggi anche: lo Speciale sul Greenwashing

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