Siamo nel pieno di una nuova corsa allo spazio, stavolta condotta e finanziata dai privati. I miliardari Jeff Bezos, Elon Musk e Richard Branson, rendono concreta una ipotesi che, fino a pochi decenni fa, sembrava fantascienza: il turismo tra le stelle. Tutto ciò ha riacceso polemiche e discussioni sulle spese sostenute per uscire dalla superficie terrestre: su testate, blog e social non si contano i commenti di chi ritiene siano soldi sprecati.
In risposta a tutto ciò, il giornalista Marco Gisotti, esperto di comunicazione istituzionale e ambientale presso il MiTE, ha controbattuto come “basterebbero i lunghi elenchi delle applicazioni che oggi derivano dalla ricerca spaziale, a cominciare dai pannelli solari, ma oggi c’è un tema nuovo e per i più ancora sconosciuto: la “space economy”. Significa molte cose a cominciare dal monitoraggio ambientale del nostro Pianeta, ambiti su cui investire in termini, appunto, economici ma anche di visione a lungo termine parlando di ricerca pura e applicata”.
Di che cosa parla? A cosa si riferisce? Prima di provare a rispondere vorremmo richiamare alla mente una scena del film Apollo 13: la CO2 (ironia della sorte) sta per avvelenare gli astronauti e gli scienziati della NASA radunano tutti gli oggetti che i colleghi avevano a disposizione nella navicella spaziale per trovare una soluzione; è ciò che dovremmo fare noi sulla Terra cercando di farci bastare le sole risorse che ogni anno il Pianeta ci dona.
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Perché la space economy è più connessa all’economia circolare di quel che possiamo immaginare
Ambiti apparentemente lontani dalla vita di tutti i giorni, come lo Spazio, hanno contribuito a sviluppare tecnologie ed applicazioni ‘circolari’. La Stazione Spaziale Internazionale è l’esempio più avanzato di eco-sistema sostenibile nel quale nessuna risorsa può essere sprecata e moltissime delle tecnologie studiate per la vita tra le stelle possono avere ricadute pratiche sulla Terra.
Proprio di recente su questi temi, sulle pagine della rivista scientifica Journal of Environmental Management (Volume 289, 1 July 2021, 112511), è stata pubblicata la ricerca dal titolo “Sustainable space for a sustainable Earth? Circular economy insights from the space sector” ovvero “Uno Spazio sostenibile per una Terra sostenibile? Approfondimenti sull’economia circolare dal settore spaziale” condotta da Stefania Paladinia, Krish Sahaa (entrambi dell’università di Birmingham City) e Xavier Pierronb (dell’Edinburgh Napier University).
L’economia circolare delinea sistemi nei quali si massimizza l’uso delle risorse, per loro natura limitate, e si prediligono, tra le diverse scelte possibili, modelli circolari. Questo uso razionale delle risorse è proprio anche dei progetti spaziali. Come evidenziato dalla ricerca citata, tale modello è stato sintetizzato qualche anno fa dallo slogan “Spaceship Earth” coniato dall’economista Henry George addirittura nel 1879. Perché parlare di un’”astronave Terra”? Spesso non ce ne rendiamo conto ma, come su una navicella spaziale – si rileva nell’interessante ricerca – il nostro Pianeta è “un sistema chiuso, finito, dove non si crea nulla di nuovo, ma tutto deve essere riutilizzato e trasformato” come finalmente ci si è resi conto teorizzando modelli di economia circolare.
Come evidenzia l’articolo, il settore spaziale potrebbe essere ritenuto un ambiente ideale per applicare i principi e le regole della circular economy e ciò che avviene nello spazio potrebbe essere preso come caso di studio per sviluppare una vita il più possibile lontana da quella dei consumi lineari.
Un esempio? Sicuramente quello del circuito chiuso delle acque.
Imparare dallo spazio come si ricicla l’acqua
Da sempre sulle stazioni spaziali, riciclare è d’obbligo. Uno dei sistemi più avanzati è quello legato alle risorse idriche.
Come l’astronauta Jessica Meier disse, “il caffè di oggi può divenire quello di domani”. Ebbene sì, una delle caratteristiche dello spazio – e la stazione spaziale internazionale attualmente in orbita non fa eccezione – è rappresentata dal riciclo di ogni forma di liquido, incluso quello recuperato dai servizi igienici. Attualmente a bordo della ISS si riesce a riciclare il 90% di tutti i liquidi a base d’acqua, inclusi urina e sudore che possono diventare acqua potabile e la NASA sta studiando un nuovo sistema che mira ad arrivare al recupero del 98%.
In un Pianeta sempre più sofferente per siccità e desertificazione, queste tecnologie potrebbero un giorno fare la differenza.
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Il progetto ESA MELiSSA: un esempio perfetto di economia circolare
Il progetto MELiSSA (il cui acronimo sta per Alternativa microecologica per il mantenimento della vita) lavora da oltre 30 anni per mettere a punto un sistema ideato per i voli spaziali di lunga durata – come richiederebbe una missione su Marte – in cui si riesca a riciclare praticamente tutto inclusi i rifiuti umani. Costruito come un sistema a circuito chiuso, MELiSSA incarna tutte le sfide e le virtù della filosofia dell’economia circolare, come sottolinea la ricerca “Sustainable space for a sustainable Earth? Circular economy insights from the space sector”.
Pensate che il fabbisogno giornaliero di un astronauta è pari a 1 kg di ossigeno, 1 kg di cibo e 3 di acqua.
Per questo la ricerca MELiSSA, oltre a purificare acqua e aria, come avviene già oggi, punta anche a riciclare i rifiuti organici per poter coltivare alimenti. Ipotizzare, infatti, missioni interplanetarie e basi spaziali su altri pianeti richiede innanzitutto lo sviluppo di sistemi che consentano uno spreco talmente minimo da poter garantire una autonomia che trae origine dalla continua rigenerazione, considerata l’enorme difficoltà di approvvigionamento.
Ad esempio le stesse componenti di scarto degli astronauti (come l’urina e le feci) potrebbero diventare fonte di nutrienti per le colture spaziali necessarie a garantire il consumo di frutta e verdura fresca.
Quel che oggi sappiamo è che dagli studi di MELiSSA sono diverse le applicazioni pratiche di economia circolare che potranno trovare concretizzazione anche sulla Terra, confermando quanto la connessione tra circular e space economy oggi sia forte.
Quali sono le connessioni tra space economy e circular economy nel PNRR
Secondo i piani del Governo italiano, la ripresa economica passa anche dal comparto aerospaziale, come si evince dagli stanziamenti previsti dal PNRR. La space economy oggi è quella dei servizi satellitari delle comunicazioni (telefoniche e internet), dell’osservazione della Terra, di tutte le infrastrutture necessarie connesse e correlate (come i GPS che abbiamo in auto o sugli smartphone).
Su questo il Belpaese può dirsi all’avanguardia avendo affrontato, negli scorsi decenni, importanti investimenti in infrastrutture e sistemi spaziali. Le risorse finanziarie oggi stanziate dal Recovery Plan e dal fondo complementare ammontano a circa 2,3 miliardi di euro.
Alla space economy si riconosce infatti un ruolo strategico per lo sviluppo economico e per il progresso tecnologico ma non solo: come si legge nel Piano, “analizzando il contesto di mercato globale e le caratteristiche dell’industria spaziale italiana è stato prodotto un Piano nazionale volto a potenziare i sistemi di osservazione della Terra per il monitoraggio dei territori e dello spazio extra-atmosferico e a rafforzare le competenze nazionali nella space economy”. A ciò si aggiungono riferimenti ancor più espliciti al binomio che affrontiamo in questo articolo come quelli previsti nel “Investimento 1.2: Progetti “faro” di economia circolare”, che prevede la possibilità di adottare sistemi di monitoraggio anti scarichi illegali anche attraverso satelliti, droni e tecnologie di intelligenza artificiale.
Altro aspetto fondamentale è quello relativo al monitoraggio ambientale e alla possibilità di raccogliere elementi ulteriori per migliorare la capacità previsionale degli effetti del cambiamento climatico. Grazie ad avanzati sistemi di osservazione satellitare, droni, sensoristica da remoto ed integrazione di sistemi informativi esistenti si può stimare lo stato di salute delle foreste, dei corsi d’acqua, il dissesto idrogeologico, i ghiacciai e tutti quei patrimoni mondiali che rischiano di sparire o che comunque sono già fortemente danneggiati dall’azione dell’uomo.
L’esempio delle rinnovabili: quando lo spazio diede un’accelerazione ai pannelli fotovoltaici
Senza guardare al futuro, ci si potrebbe chiedere quali siano ad oggi esempi di space economy che hanno influito sulla vita di tutti i giorni. Emblematica a riguardo è la storia dei pannelli solari (accennata dallo stesso Marco Gisotti). Quanti conoscono la connessione tra energia solare e le stelle?
Il pannello fotovoltaico ha una storia lunga secoli: prima di arrivare sui nostri tetti, ha infatti dovuto fare di strada, in tutti i sensi. Per la prima cella solare fotovoltaica a base di silicio bisognerà attendere la metà del XX secolo, con una efficienza di conversione di circa il 4%. Come riporta il dossier ENEA Fotovoltaico, il processo evolutivo e le nuove frontiere “l’efficienza è passata rapidamente da circa il 4% del 1953 ad oltre il 10% nel 1955 fino a raggiungere il 15% negli anni 60. La spinta a migliorare questo parametro era determinata in quegli anni dal fatto che le celle erano destinate alle applicazioni spaziali, dove efficienza più alta significa disponibilità di maggiore potenza a parità di peso e d’ingombro, mentre il costo di fabbricazione aveva un’importanza minore”.
Nel 1958 venne lanciato nello spazio il satellite Vanguard I: per la prima volta un veicolo spaziale era alimentato solamente da energia solare. L’esperimento andò meglio di ogni più rosea aspettativa: l’alimentazione funzionò talmente bene da far prolungare la missione, che terminò nel 1964, con risultati non confrontabili con le batterie elettrochimiche usate fino a quel momento. Nasceva così, si sottolinea nel documento ENEA, “il primo mercato per le celle fotovoltaiche come generatori di potenza elettrica”.
Uno sprint… spaziale che vale anche per altre tecnologie. Un po’ come, in un altro ambito, è stato fatto dalla Formula E con le auto elettriche.
Chissà che un giorno l’alimentazione sostenibile dell’aviazione non possa avvenire proprio grazie ai ritrovati delle ricerche condotte nello spazio.
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