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venerdì, Novembre 15, 2024

Cosa ci insegna il vertice di Parigi sul clima? Per A Sud “servono misure di controllo stringenti”

Il 22 e 23 giugno si è tenuto il vertice di Parigi sul clima, fortemente voluto dal presidente francese Emmanuel Macron. Ma si sono registrati solo timidi passi in avanti sulla necessità di riformare la finanza climatica. Per Laura Greco, presidente di A Sud, “le promesse creano frustrazione, servono impegni collettivi“

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Redazione EconomiaCircolare.com

Quando le ambizioni sono alte qualsiasi risultato che non sia portentoso non risulta soddisfacente: è una delle lezioni che si può trarre dal summit di Parigi su crisi climatica e povertà. L’incontro è stato fortemente voluto dal presidente francese Emmanuel Macron e in realtà, come si evince dal nome scelto, aveva aspirazioni persino più alte. Nelle intenzioni di Macron il Summit for a New Global Financing Pact, che si è dipanato nelle giornate del 22 e del 23 giugno e ha visto più di 40 leader partecipare, avrebbe addirittura dovuto stabilire una tabella di marcia per la riforma della finanza climatica e delle istituzioni finanziarie multilaterali, come la Banca Mondiale.

“Ovviamente siamo molto concentrati sulla guerra (in Ucraina), che struttura la nostra agenda e ci mobilita, ma non deve limitare il nostro impegno condiviso verso i beni comuni che sono al centro dell’agenda internazionale: il clima, la biodiversità, la lotta alle disuguaglianze, in primo luogo, ma anche istruzione, salute e altri temi – ha detto Macron nel suo intervento finale del summit – Questo è stato un vertice molto rilevante e penso che possiamo affrontare tutte queste questioni solo come comunità internazionale”.

Al di là delle buone intenzioni, però, cosa rimane? Un punto di partenza per capirne di più sono le domande poste dal sito Focus2030: come si inserisce questo vertice in un contesto internazionale segnato dalle conseguenze a cascata delle crisi climatiche, energetiche, sanitarie ed economiche concomitanti, in particolare nei Paesi più vulnerabili? Cosa possono aspettarsi da essa la comunità internazionale e gli attori della solidarietà internazionale? Come vedremo, su quesiti così importanti non sono arrivate risposte all’altezza. Anche se non tutto è da buttare.

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La strategia della Francia sul clima

A organizzare il summit di Parigi è stato, come già detto, il presidente francese Emmanuel Macron. Lo stesso che, a ridosso del vertice, ha firmato lo scioglimento del movimento Soulèvements de la Terre, una rete di oltre 200 organizzazioni ambientaliste ed ecologiste che ha organizzato numerose manifestazioni a tutela dell’ambiente (come quelle contro i mega bacini che lo Stato francese intende costruire per rispondere alla crisi idrica). Lo stesso che a maggio ha chiesto all’Unione europea “una pausa normativa” per quanto riguarda le norme ambientali: secondo Macron, infatti, “noi abbiamo già adottato molte norme a livello europeo, più dei nostri vicini, ora dobbiamo metterle in pratica, non cambiare di nuovo le regole”.

Alle analiste e agli analisti della politica non è sfuggito che da tempo il presidente francese sta cercando di posizione il proprio Paese alla guida di quelli che un tempo si sarebbero definiti Paesi non allineati: dalla Cina al Brasile (e infatti il presidente Lula ha giocato un ruolo da protagonista al vertice di Parigi) fino all’India. Pur mantenendo salda l’alleanza occidentale e con gli Stati Uniti, infatti, le questioni climatiche diventano per Macron l’occasione per puntellare gli accordi a livello globale, provando a ritargliarsi per sé il ruolo di mediatore tra il Nord e il Sud del mondo. Gli esiti finora, però, non sono stati dei migliori.

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I risultati del vertice di Parigi sul clima

Il vertice di Parigi nasce idealmente alla fine della Cop27, la conferenza internazionale sul clima che si tiene ogni anno in un Paese diverso (quella passata è stata in Egitto, la prossima, tra novembre e dicembre, si terrà negli Emirati Arabi). Pur senza avere potere decisionale, l’incontro nella capitale transalpina ha avuto parecchi ospiti: dal presidente brasiliano Lula al cancelliere tedesco Olaf Scholz, dal segretario generale dell’Onu Antonio Guterres alla segretaria Usa al Tesoro Janet Yellen, passando per il principe saudita Mohammed bin Salman, il presidente del Kenya William Ruto, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e l’attivista ugandese Vanessa Nakate.

Se è vero, come ha affermato lo stesso Macron nel comunicato conclusivo del vertice, che c’è stato “completo consenso” sulla necessità di una “profonda riforma” del sistema finanziario mondiale, è mancata però l’indicazione sul come raggiungere un obiettivo di tale portata. Si potrebbe obiettare che aver registrato l’unanimità su un tema così preponderante è comunque un punto di partenza. Ma basta poco per rovesciare l’ottimismo, perché in teoria il consenso è unanime anche sulla necessità di risolvere la crisi climatica, anche se poi in concreto nessuno Stato vuole fare la propria parte se non la fanno anche gli altri.

Al centro del dibattito c’è stata poi l’idea di una tassa globale sulle emissioni di gas serra prodotte dal trasporto marittimo, in modo da ottenere i fondi necessari per sostenere i Paesi più colpiti dalla crisi climatica. “Questo è un settore esente da tasse. E non c’è motivo per cui non sia tassato”, ha detto Macron.  Eppure un accordo non è stato raggiunto, soprattutto (pare) per via della contrarietà di Cina e Stati Uniti.

Tuttavia il fallimento maggiore si registra sul versante del fondo Loss & Damage, definito dalla Cop27 ma che finora è rimasto soltanto una buona intenzione. Prova ne sia il fatto che al vertice di Parigi se ne è discusso, così come si è discusso della promessa di 100 miliardi di dollari all’anno da parte dei Paesi ricchi verso i Paesi più poveri, senza che però si sia giunti a conclusioni definitive. Per esempio si è parlato di Diritti speciali di prelievo (Dsp), cioè fondi a disposizione di tutti i membri del Fondo monetario internazionale: i Paesi potranno accedere a tali fondi in caso di catastrofe naturali, senza che ciò comporti un peggioramento del loro debito. Ma la rete internazionale di ong  Climate Action Network (CAN) ha fatto notare che si è parlato di una possibile sospensione dei rimborsi ma non di “un completo annullamento”. Insomma: qualcosa di positivo c’è ma di fronte all’enormità della sfida che ci attende è ancora ben poco. Meglio di niente, si potrebbe obiettare. Solo che il tempo a nostra disposizione per fronteggiare la crisi climatica sta drammaticamente esaurendosi.

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Quale può essere il ruolo dell’Italia sul clima?

“Nessuno dovrebbe mai essere messo in condizione di scegliere tra la povertà e la protezione del clima” ha detto il presidente Macron a conclusione del vertice di Parigi. Quella che in apparenza è una banalità lascia intravedere in filigrana una visione occidentalista, da Nord benestante del mondo: perché i Paesi più poveri sono quelli più colpiti dalla crisi climatica, come ha accertato il recente report di A Sud sulle migrazioni ambientali e climatiche. E dunque non si tratta di poter scegliere quanto piuttosto di subire quelle scelte. La crisi climatica, infatti, è un acceleratore di disuguaglianze. E non basta la buona volontà, quando c’è, del Nord del mondo ma serve una precisa assunzione di responsabilità da parte di chi ha generato e continua ad alimentare questa crisi. Solo così i timidi passi in avanti potranno tramutarsi in cambiamenti necessari e radicali.

E l’Italia? Era assente. Eppure, come scriveva Luca Bergamaschi del think thank ECCO qualche giorno fa sul Corriere, “l’Italia ha tutte le carte in regole per diventare un vero ponte tra Nord e Sud del mondo, costruendo nuovi partenariati dai mutui benefici, attraverso il Piano Mattei, il Fondo italiano per il clima e la presidenza italiana del G7 del 2024. Ma per definire un ruolo da protagonista occorre innanzitutto essere presenti nei tavoli internazionali che contano, portando impegni credibili e concreti”.

Può davvero essere questo il ruolo dell’Italia nella crisi climatica? Lo abbiamo chiesto a Laura Greco, presidente di A Sud, l’organizzazione ambientalista che ha da poco festeggiato 20 anni di lotte e progetti per la tutela dell’ambiente. “Il debito ecologico che le politiche estrattiviste hanno generato tra territori sfruttati e paesi e aziende sfruttatrici, sarà difficilmente sanabile se si continua a portare avanti il medesimo modello che ha generato l’attuale crisi climatica globale – afferma Laura Greco – Lo ammette persino il sultano arabo al-Jaber, a capo della compagnia petrolifera Abu Dhabi National Oil Company e futuro presidente della Cop28, che ha dichiarato che gli ultimi annunci del vertice di Parigi suonano come “cerotti” rispetto a ferite ormai troppo profonde. Il mondo della finanza deve fare molto di più, così come devono fare molto di più governi e aziende che sulla crisi hanno prosperato e continuano a farlo. Le promesse continuano da decenni a risuonare uguali a se stesse creando frustrazione, servono impegni collettivi e misure di controllo stringenti a beneficio del Pianeta e di chi lo vive”.

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