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lunedì, Febbraio 10, 2025

Zilla (Consorzi Cobat): “Per i pannelli a fine vita serve una categoria di RAEE dedicata”

Il modulo fotovoltaico, a differenza di tutti gli altri RAEE, ha un lifecycle molto più lungo, ricorda il presidente di Consorzi Cobat, che sottolinea il rischio che chi dovrebbe garantire la gestione del pannello a fine vita, dopo quei 15 anni non sia più sul mercato, scaricando così i costi dei propri moduli sugli altri produttori

Raffaele Lupoli
Raffaele Lupoli
Direttore responsabile di EconomiaCircolare.com. Giornalista professionista, saggista e formatore, è docente a contratto di Economia delle organizzazioni complesse presso ISIA Roma Design e collabora con il Sole 24 Ore. Ha diretto diverse testate, tra cui il settimanale Left e LaNuovaEcologia.it. Ha lavorato con Legambiente collaborando tra l’altro alla redazione del Rapporto Ecomafie, ha coordinato la redazione del periodico Rifiuti Oggi e il mensile La Nuova Ecologia. Si è occupato di comunicazione politica e nel 2020 è stato consigliere della Ministra dell'Istruzione sui temi della sostenibilità ambientale e dell'innovazione sociale.

L’Italia è pronta a gestire la prima ondata di pannelli fotovoltaici a fine vita ormai alle porte? Avremo risorse, competenze e organizzazione per raccogliere, disassemblare e recuperare in maniera efficiente le diverse componenti? Per rispondere a queste ed altre domande, Economiacircolare.com ha avviato un confronto a distanza tra operatori del settore e addetti ai lavori. In questa nuova puntata del nostro focus abbiamo chiesto di tracciare un quadro della situazione a Michele Zilla, presidente di Consorzi Cobat, il soggetto giuridico che coordina e supporta le attività dei consorzi di filiera del sistema Cobat

 

Dottor Zilla, come ci si sta organizzando, a suo giudizio per la gestione dei pannelli fotovoltaici a fine vita nel nostro Paese: regole, impianti e tecnologie consentono di puntare sulla circolarità?

Nel nostro Paese già esiste un sistema virtuoso per la gestione del fine vita dei moduli fotovoltaici che traccia i moduli distinti per singolo seriale dal momento dell’immissione nel mercato, passando per l’installazione, fino al momento della gestione del loro fine vita.

Il modulo fotovoltaico, a differenza di tutti gli altri dispositivi elettrici ed elettronici che rientrano nella normativa dei RAEE (rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche), ha un lifecycle molto più lungo (oltre 15 anni) e pertanto è importante assicurare una gestione del suo fine vita, per mezzo del pagamento da parte del produttore – al momento dell’immissione nel mercato – di un eco-contributo tale da garantire la copertura dei costi della raccolta del rifiuto e dell’adeguato trattamento.

L’attuale panorama normativo applicato alla gestione del fine vita dei moduli è unico in Europa. I produttori di moduli dichiarano, al proprio consorzio di adesione, tutti i seriali dei moduli venduti in Italia pagando il relativo eco-contributo. Parte di quest’ultimo deve poi essere accantonato in un trust a garanzia del fatto che – a distanza di 10-15 anni, quando il modulo diventerà rifiuto – i costi della raccolta e riciclo siano stati già assolti senza ricadere sull’utente finale, anche in assenza del produttore nel mercato.

A livello europeo, il modulo fotovoltaico giunto a fine vita è considerato un RAEE dall’agosto 2012. A partire da tale data, dunque, si è innescato il fabbisogno di soluzioni per il trattamento e il riciclo, in linea con i target della normativa, con l’obiettivo di aumentare le percentuali di riciclo e di arrivare alla valorizzazione del rifiuto.   

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I numeri attuali sono relativamente bassi. Secondo le vostre stime ci sono i presupposti per creare un mercato delle componenti riciclate e ridurre la dipendenza dalle materie prime “vergini” e dai prodotti esteri? Se sì che previsioni temporali fate? 

I numeri sono bassi per via del lungo ciclo di vita dei moduli, ma già oggi, rispetto agli anni passati, vi è un incremento dei volumi intercettati grazie ai nuovi impianti e agli investimenti negli ammodernamenti degli impianti esistenti (revamping), per raggiungere gli obiettivi europei legati alle energie rinnovabili. Ritengo quindi che nei prossimi anni saremo sempre più in grado di immettere nel mercato importanti quantità di materie prime provenienti dal trattamento dei moduli fotovoltaici.

I due differenti sistemi, quello per il fine vita dei moduli incentivati e quello dei moduli non incentivati, introducono regole e opzioni diverse. A suo avviso questo potrebbe causare delle criticità?

I due sistemi partono da due presupposti diversi e bisogna chiarire alcuni importanti aspetti:

a) I moduli incentivati che sono stati immessi nel mercato dal 2005 al 13 agosto 2012, non erano coperti dalla normativa RAEE. IL GSE ha previsto, onde evitare l’abbandono di moduli nell’ambiente alla fine del periodo di incentivazione, una “trattenuta” di natura cauzionale pari a 10 euro (oggi 20 euro) per ogni modulo installato, a carico del beneficiario degli incentivi. Questi importi saranno restituiti una volta che il proprietario dell’impianto darà prova di aver correttamente smaltito i moduli. In alternativa a questa decurtazione, il proprietario di un impianto incentivato può versare la garanzia finanziaria di 10 euro/modulo nel trust di un consorzio RAEE riconosciuto, rateizzando questo importo per un massimo di 5 anni, purché questo periodo non ecceda il tempo di incentivi residuo dell’impianto. Tale importo è stato calcolato dal GSE basandosi, come prevede la legge, sulla stima dei costi di smaltimento di tutte le tipologie di moduli installati all’epoca (non solo i canonici moduli in silicio mono o policristallino, ma anche i moduli in film sottile, i moduli tubolari e le tegole fotovoltaiche che hanno costi di riciclo diversi) facendo una media sui costi della logistica che tengano conto della varietà del territorio italiano.

Il trust dei consorzi, inoltre, deve avere le stesse caratteristiche indicate nel disciplinare tecnico del GSE del 2012 e, pertanto, le somme segregate nel trust possono essere utilizzate unicamente per finanziare le operazioni di raccolta e riciclo dei moduli identificati con i singoli seriali che ne hanno generato il deposito. Infine, il trust è vigilato e controllato sia dal Ministero dell’Ambiente sia dal GSE, il quale ha ottenuto dal legislatore la possibilità di verificare i singoli trust dei consorzi e la correttezza dell’intero processo.

Il consorzio, al termine delle operazioni di gestione del fine vita degli impianti incentivati, prevede le modalità di restituzione al soggetto responsabile delle eventuali somme residue, ovvero al netto dei suoi costi amministrativi e dei costi di trasporto e riciclo dei moduli, in totale trasparenza.

b) i moduli non incentivati, ovvero immessi sul mercato dal 13 agosto 2012, sono sottoposti alla normativa RAEE e sono compresi in un regime di responsabilità estesa del produttore (EPR) e pertanto i produttori/importatori hanno l’obbligo di corrispondere al consorzio a cui aderiscono un eco-contributo per modulo immesso sul mercato. Il consorzio, quindi, in linea con l’andamento del mercato e con i costi attualizzati di logistica e di trattamento, stabilirà, sempre sotto la vigilanza ministeriale, l’importo di tale contributo, i cui due terzi saranno versati nel trust a garanzia del futuro smaltimento dei medesimi moduli.

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Che opinione ha, in generale, Cobat RAEE sul ricorso al trust come strumento per garantire il trattamento a fine vita dei pannelli che saranno dismessi nei prossimi anni e decenni

È l’unico sistema applicabile per la gestione virtuosa del fine vita dei moduli. Al momento gli altri dispositivi elettronici che rientrano nei RAEE vengono intercettati dai consorzi nel circuito di raccolta presso le isole ecologiche, in quanto trattasi di dispositivi utilizzati dai privati cittadini che poi si disfano dei relativi rifiuti. Ogni anno il CDC RAEE (Centro di coordinamento RAEE) – in un’ottica di sistema generazionale – attribuisce ai vari consorzi RAEE dei quantitativi di raccolta di rifiuti equivalenti presso le varie isole ecologiche. Questo sistema si basa sul presupposto che nel mercato ci sia un turnover costante tra prodotti nuovi venduti e relativi rifiuti, dovuto al lifecycle medio di circa 3 o 4 anni di un’apparecchiatura elettronica. La questione è completamente diversa per i moduli fotovoltaici, che hanno un lifecycle lungo: il rischio dell’applicazione di un siffatto modello è che se, in futuro, il settore dovesse avere una contrazione, i soggetti che dovessero cessare la propria presenza sul mercato scaricherebbero i costi del fine vita dei propri moduli sugli altri produttori ancora presenti.

Per i pannelli incentivati se i “soggetti responsabili” scegliessero tutti di versare i 20 euro a pannello ai consorzi (e dunque di non lasciarli presso il GSE), questi ultimi potrebbero arrivare a gestire circa 80 milioni di pannelli, incamerando nei trust quasi un miliardo di euro. Fino al 20% di questa cifra potrebbe finire nelle casse dei consorzi per coprire i costi generali: le sembra una cifra congrua? 

Chiariamo subito che la cifra a copertura della garanzia finanziaria da versare nel trust di uno dei consorzi è pari a 10 euro (non 20 euro) e che il 20% che il consorzio può trattenere – per le spese amministrative, per coprire i costi di gestione del trust e delle banche dati per tutti gli anni di vita dei moduli fotovoltaici (almeno 15-20 anni) – è il tetto massimo, non un’imposizione. Siccome è noto che i consorzi EPR non possono fare utili né distribuire dividendi, tale percentuale viene calcolata sui reali costi di gestione e comunque entro il limite imposto. Giova ricordare che l’intero processo viene costantemente monitorato dal GSE, che ha – in base alle disposizioni del legislatore – l’autorità di controllare e vigilare tutte le attività del trust e dei consorzi.

Per i pannelli non incentivati i produttori pagano sia all’atto dell’immissione al consumo sia versando l’importo a garanzia dello smaltimento futuro nel trust istituito presso il consorzio scelto. Non è anomala questa duplicazione? E il fatto che l’importo a garanzia sia di libera determinazione non rischia di dar vita a un fondo non sufficiente in futuro a trattare i pannelli dismessi in circolazione? 

I produttori e gli importatori di pannelli non incentivati versano solo ed unicamente il contributo ambientale, all’atto della immissione sul mercato. Quindi sulla base della normativa vigente, non vi è nessuna sovrapposizione né duplicazione di costi. I moduli immessi nel mercato sono tracciati e identificati dai seriali e i produttori/importatori pagano solo l’eco-contributo previsto dal consorzio a cui aderiscono. Tale importo, dunque, verrà successivamente versato e segregato nel trust al netto dei costi amministrativi. Non c’è spazio per una duplicazione dei costi.

Un provvedimento migliorativo potrebbe essere quello di istituire per i pannelli fotovoltaici un raggruppamento a parte (R6 per esempio), sul modello di quanto fu fatto, per esempio, istituendo il gruppo R5 per le lampade. Questo consentirebbe di utilizzare tutte le somme dell’eco-contributo versato per gestire il fine vita dei medesimi pannelli, a differenza di quanto accade oggi nel caso delle somme versate per i moduli domestici che vanno a coprire, viceversa, i costi dell’intero raggruppamento R4.

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