La vittoria al festival di Sanremo di un cantautore notoriamente di sinistra, Roberto Vecchioni, e le donne che si mobilitavano col “se non ora quando”. Qualcosa stava insomma cambiando. Lo si poteva sentire in quel giro dell’Italia, dove si rincontravano gli stessi che un quarto di secolo prima erano scesi in campo per il referendum del 1987; fosse il “Peter O’Toole dei poveri”, il bel ragazzo che lavorava in un centro studi per l’energia, certo ora con parecchi capelli grigi, o le due simpatiche coppie, che ricordavano quando ero dovuto scendere in corsa perché il treno non fermava a Lodi, dove mi aspettavano. E poi tanti nuovi, tanti giovani. L’affollata “scuola quadri” di Legambiente a Mestre, i dibatti al Politecnico di Milano, le medie superiori di Torino e dintorni, i licei di Pisticci, Padova, Corigliano Calabro; i protagonisti della ribellione lucana al “Terzo cavone” di Scanzano Jonico. Ancora, tanta Emilia, e quell’incredibile locale (a Correggio?) dove si riuniva la movida di mezza regione. Dalla “Casa del Popolo” di Trieste alla Comunità valdese di Torre Pellice, passando per Genova, Sarzana e, ovviamente, Rispescia. Senza tralasciare Cagliari e Palermo. In molti di questi incontri eravamo insieme ai rappresentanti dell’acqua “bene comune”, eh sì perché proprio su questo tema si tenevano due dei quattro referendum ammessi dalla Cassazione. Davvero bravo un loro speaker, davanti a una folla accorsa nello storico “Teatro della Società Operaia” di Chiavenna.
Insomma, i referendum raggiunsero il quorum – 13 giugno 2011 – come non succedeva più da quelli del 1995. Certo, la “vecchia guardia” di Legambiente si era impegnata con carnet molto simili al mio. Assai di più, avevamo incrociato un risveglio, una mobilitazione senza precedenti di tanta parte dell’Italia “buona”. E non aveva certo fatto danno che i referendum fossero tutti contro leggi del Governo Berlusconi, paradigmatico quello contro il “legittimo impedimento”; e che Berlusconi avesse dichiarato che non sarebbe andato a votare (la storia, ma quale “magistra vitae”!).
Fukushima e la miseria del nucleare
Ma la “vecchia guardia” rimase convinta, senza iattanza, che se non ci fosse stata la catastrofe di Fukushima quel quorum… Fukushima Dai-ichi, un disastro che aveva fatto recedere i media “benpensanti” dall’usuale appoggio al nucleare, perché “se in una società tecnologicamente avanzata come il Giappone può succedere questo…” In realtà, gli edifici della centrale avevano retto al tremendo urto del terremoto, erano crollati, invece, i tralicci degli elettrodotti. Niente più corrente, niente refrigeramento del nocciolo del reattore; e a far saltare i tetti ci pensa la bolla di idrogeno, che si forma per il surriscaldamento dell’acqua e che esplode. Come a Three Miles Island (TMI, 1979), ma lì il disastro era stato relativamente contenuto solo “per buona sorte”, aveva asseverato la Commissione Kemeny.
Ma come, quando salta l’elettricità non intervengono i gruppi elettrogeni per far funzionare le pompe ausiliarie di raffreddamento? E qui, altro che Paese di tecnologia avanzata, si rivela la miseria del nucleare: lo sconcertante layout dei bidoni di combustibile per i gruppi elettrogeni, posti sul pavimento – sarebbe bastato un metro e mezzo più in alto! – e spazzati via dall’onda a raso dello tsunami, non consentì l’intervento delle pompe ausiliarie; il molo di protezione nel porto era stato costruito alto poco più di 6 metri, per risparmiare, quando alla TEPCO, la società esercente, risultava nella stessa area un’onda di tsunami che, un secolo prima, aveva superato i 10 metri. Non paghi di una gestione indecente, allora, della tragedia, Governo giapponese e TEPCO vogliono smaltire nell’Oceano Pacifico oltre un milione di tonnellate di acque contaminate a partire dal 2022. Con l’ovvio beneplacito del direttore generale dell’IAEA.
Nucleare fa rima con finanziamento pubblico
Quanto al nucleare, parce sepulto. Poco prima di Cernobyl la rivista Forbes l’aveva dichiarato “il più grande fallimento della storia industriale degli US”, e, molti anni dopo, l’IAEA (Internationa Atomic Energy Agency) si è dovuta inventare nella scala Ines la distinzione tra “catastrofe locale” (TMI) e “catastrofe globale” (Cernobyl, Fukushima). Da anni la potenza delle nuove installazioni bilancia a stento, e con il repowering, quella delle chiusure e la produzione elettronucleare arranca sotto il 2% degli usi finali d’energia; irrilevante il suo contributo contro la CO2. E la terza generazione “avanzata” di reattori, la III “plus” che Sarkozy voleva rifilare all’ingenuo Berlusconi per aiutare AREVA, l’industria nucleare dello stato francese, non riesce a decollare né a Flamanville (Francia), dove l’entrata in esercizio era prevista per il 2012, né a Olkiluoto (Finlandia) – prevista per il 2010! – con costi triplicati già nella valutazione del 2018. Solo in Cina le due centrali di marca AREVA sono entrate in funzione, a dimostrazione che nucleare fa rima con finanziamento pubblico e regime autoritario.
Solare batte nucleare 10 a 1
In Italia ci ha pensato, per la seconda volta, il “popolo sovrano”. Per fortuna! Pochi mesi fa, nel contratto con il governo inglese il costo dell’energia nucleare per il reattore AREVA di Hinkley Point ascendeva a 113 €/MWh, mentre negli stessi giorni in una gara vinta in Portogallo il costo dell’energia fotovoltaica era di 11 €/MWh: solare batte nucleare 10 a 1.
Agonizzante, tenta gli ultimi colpi di coda. La Francia vuole allungare oltre i 40 anni la vita di 32 vecchi reattori, la metà dei quali entro i 200 km dal nostro confine; e vorrebbe il nucleare tra i finanziamenti “sostenibili”, in quanto “non produce danni significativi”. Una follia che sembra dettata dall’Agenzia nucleare francese, ANDRA, per arraffare i soldi di Next Generation EU perché incombono le colossali spese per il decommissioning dello sproporzionato parco nucleare francese.
E la sortita di Cingolani sul “mini-nucleare”, infarcita di incredibili castronerie? Soprattutto in Italia, con le centrali chiuse da decenni, sul nucleare possiamo assumere l’atteggiamento del cavaliere nero della famosa storiella.
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