[di Laura Trappetti]
È la storia di una madre e di una figlia, di una relazione che nella circolarità del tempo e dei sentimenti, trova nell’idea del recupero un’occasione di rinascita
Sinossi
Stefania è una donna che nel pieno della maturità personale e professionale vive una battuta di arresto, che la costringe a ripensare a tutta la sua esistenza e lo fa trovando in se stessa, nel suo tempo, nei suoi ricordi familiari tutte quelle risorse recuperabili che le permettono di avere un’altra possibilità. La sua storia di impresa è una grande testimonianza di resilienza, di forze, competenze, materie e ideali rimessi in circolo.
Si chiama Tea ed è una rosa antica, originaria della Cina, India e Sudest Asiatico, si diffonde in Europa prima del 1867, anno che è lo spartiacque nella classificazione fra rose antiche e moderne. Il nome la mette in relazione con il tè, importato anch’esso a bordo delle navi della Compagnia delle Indie Orientali, tanto che comunemente venivano assimilati i loro profumi. La rosa Tea, prevalentemente gialla, nel linguaggio dei fiori equivale a dire: ti ricorderò per sempre.
Era il fiore preferito di Carla, classe 1928, mamma di Stefania ed è a lei che quest’ultima pensa quando, nel 2012, decide di dar vita ad una nuova impresa. Nasce così Teabag 1928, da un fiore, da un legame affettivo fortissimo, da un’ispirazione tutta femminile e dalla necessità di reiventarsi da capo: borse, pochette, foulards, fazzoletti da taschino per uomo. E’ una storia che nasce da una sconfitta, che sembra tornare indietro, ma che invece va avanti, verso un’idea di lavoro e di produzione, in cui il valore assoluto è il recupero – non riciclo, che è tutt’altro processo – non solo di materiali, ma anche di persone, quelle che per età, genere ed altre situazioni, potrebbero essere considerate scarti nel mercato odierno.
Stefania è una donna libera, emancipata, colta, lavora nella comunicazione, organizzazione e progettazione: è in pratica quella che a fronte di un problema, una nuova idea, ripensamenti di stili e processi, mette insieme cose e persone, definisce strategie, vede oltre il momento, creando percorsi differenti. Il suo lavoro la porta per molti anni fuori dalle Marche, dove è nata, ma quando i genitori ormai anziani, suo padre prima e sua madre poi, si ammalano e hanno bisogno di assistenza, essendo figlia unica, decide di ritornare a vivere a Falconara Marittima. Per lei, abituata ai vivaci ritmi sociali e professionali milanesi, non è facile riadattarsi alla provincia, ma ciò nonostante, con un occhio alla famiglia, uno a Penelope la cagnolina di sua madre e tutt’e due focalizzati sul lavoro, continua a svolgere la sua professione, in particolare si dedica per due anni ad un importante progetto. E’ il 2011 per lei l’anno che fa da spartiacque, come per le rose antiche e moderne: il lavoro a cui si stava dedicando, subisce un’improvvisa battuta d’arresto, il progetto sfuma e lei si ritrova con niente in mano, in pratica disoccupata. Probabilmente fosse stata in un altro posto, qualche altra occasione sarebbe saltata fuori, ma ormai di lasciare la sua città non se ne parla, non ha più l’età e sua madre – nel frattempo suo padre è morto – si trova in condizioni di salute difficili e ha solo lei. Se a vent’anni le era parso naturale partire per Milano, lasciarsi indietro le sue radici, come fossero un arnese vecchio e inutile, oggi Stefania, che di anni ne ha cinquanta, sente dentro di sé di poter rivendicare il diritto di affermarsi là dove è nata, di mettere la sua esperienza al servizio di un progetto tutto suo, che possa coesistere con il sentirsi parte di territorio che ama e con l’esigenza di prendersi cura di Carla. L’idea di Teabag 1928, oggi solo Tea 1928 – tanto per non essere confusa con le bustine del tè nelle ricerche online e perché le borse non sono l’unica cosa prodotta – germoglia letteralmente da sotto i cuscini del divano da dove con il suo portatile ricerca un nuovo impiego, con sua madre accanto sulla sua poltrona, dalle tappezzerie e tende di casa, dove è costretta nel vuoto di prospettive, dalle chiacchierate con Carla, dai ricordi da esse evocate. Come di quando era piccola e insieme prendevano l’autobus per andare a scegliere le stoffe da comprare per realizzare nuovi abiti, che poi sua madre le confezionava. Carla, come molte donne della sua epoca, aveva imparato a fare la sarta da ragazzina ed era molto brava, precisa, meticolosa, tratti questi che sua figlia ha ereditato in pieno, favorita da un’educazione ferma, senza alcuna concessione ad eccessivi sentimentalismi. Non è una donna sdolcinata Carla, ma arguta e pungente, spesso molto critica, ma a fin di bene: il suo scopo primario è tirare su sua figlia con la schiena dritta e la testa a posto, scopo che, vedendo Stefania oggi, ha certamente raggiunto. Carla non fa la sarta di mestiere, cuce solo per Stefania e quegli abiti che crea e le mette addosso, i tessuti, gli abbinamenti di colore, sono un po’ come un linguaggio cifrato fra loro due: sono quelle carezze trattenute per non viziarla, i complimenti non espressi a parole, le dolci ninna nanne mai cantate, a cui si sostituisce tutt’altra musica, quella del rumore ritmico della macchina da cucire Singer. E’ tutto questo che influenza decisamente lo scandagliare di Stefania alla ricerca di una rinascita. E’ senza lavoro, ma ha un mestiere in mano e così comincia a ricercare le tendenze, i nuovi bisogni che si stanno affermando in quel momento. Siamo negli anni in cui l’idea della sostenibilità inizia a prendere campo e con essa si inizia a parlare di riciclo e recupero. La Fashion Revolution è ancora di là da venire, ma in alcune nazioni europee, specialmente quelle scandinave, nascono le prime giornate di moda sostenibile. Stefania non è una sarta, né una stilista, ma la magia di vedere trasformato un modello di carta, un reticolato di segni rossi e blu, in qualcosa da indossare, fa parte del suo vissuto, le appartiene, ci è cresciuta e ha di fronte a sé un mondo fatto di persone intenzionate a coniugare la vita quotidiana, anche l’eleganza, con nuove scelte etiche. Una di queste persone è Federica, l’altra metà di Tea 1928, praticante convinta del chilometro zero ed esperta di filiera corta, per tutto quanto concerne la gestione di marito, figli, nipoti e cani, cui si aggiunge la stessa voglia di intraprendere di Stefania e spiccate doti nelle relazioni commerciali. Sono diverse e complementari Federica e Stefania ed è grazie a questa complementarietà che si mettono in società e la cosa funziona, in una intelligente suddivisioni di ruoli e nel saper scegliere linee e materiali coniugando punti di vista diversi. Hanno entrambe i piedi ben piantati per terra, che si lavora facendo il passo secondo la gamba e senza mai venir meno ai principi di fondo: recupero, artigianalità, qualità dei materiali, valorizzazione delle persone, connessione al territorio. Dicono che procedono a passi di bimba, che in parole povere vuol dire che non ci si deve mai montare la testa, anche quando le contatta Vogue per dire, perché i risultati si raggiungono con l’impegno, la serietà e gli investimenti oculati, perché sognare va bene, ma prima di tutto è importante garantire a chi lavora il giusto e nei tempi dovuti, scegliere chi sa fare bene, invece di chi costa poco. E’ questa la forma mentale con cui è cresciuta Stefania, quella che le ha insegnato Carla e quando inizia a guardarsi intorno, nel momento in cui le viene in mente questa idea di una piccola impresa che produce accessori di moda, utilizzando gli avanzi di tessuto e pellami delle produzioni, i fine pezza, i tessuti dei campionari delle fiere, si rende conto che il settore di riferimento, un tempo fiore all’occhiello delle Marche, è fortemente in crisi in tutta la regione e che a pagarne le spese sono prevalentemente le donne, spesso oltre i quaranta, che sono la mano d’opera principale nella produzione tessile e della pelle. E’ una crisi che coinvolge tutto il manifatturiero regionale, dovuta certo alla delocalizzazione crescente, ai contraccolpi di un’onda lunga mondiale, ma anche all’incapacità di innovare e competere delle piccole imprese artigiane nel mercato globale. L’idea del recupero di Stefania, di se stessa in primis, allora si estende dalle materie prime a tutte quelle persone, che vivono la sua stessa situazione, si fa volontà di rimettere in moto le macchine da cucire dei piccoli laboratori, nemmeno vere e proprie imprese artigiane, ma realtà di due o tre lavoratrici, di evitare che scompaiano. Recuperare, ripartire, queste le parole d’ordine, per quelli che come lei si ritrovano ai blocchi di partenza dopo una vita di lavoro e per la sua regione, perché è lì che vuole vivere, è lì che prendendosi cura di sua madre, ha scoperto come sostenersi a vicenda sia importante. E’ per questo che tutta la produzione di Tea 1928 è rigorosamente Made in Marche e che alcune collezioni sono realizzate dalla piccola cooperativa jesina di immigrati Recò, abilissimi cucitori, che attraverso il lavoro, rimettono anche insieme i fili delle proprie vite. Sembra una storia che torna indietro, invece va avanti, anche se abbatte dei miti, come quello secondo il quale per creare qualcosa di bello si parte da un’idea astratta e poi si cercano i mezzi e i materiali, mentre invece è anche possibile partire dai materiali e dalle persone, dal loro desiderio di fare, per creare cose altrettanto belle, pensate e formate perché non vi sia spreco, eleganti, semplici, funzionali. Anche il modello del tutto e subito, tipico di oggi, risulta in Tea 1928 capovolto e diventa fatto con cura e quanto basta. Se chiedessimo a Stefania e Federica quale sia oggi, a nove anni dall’inizio di questa storia, la loro massima ambizione, risponderebbero che saranno soddisfatte il giorno in cui riusciranno a far produrre ai loro piccoli laboratori un numero di borse tale, da far vivere agiatamente anche il più piccolo di essi. Sembra di vederle, un passo di bimba dopo l’altro, crescere creando benessere per se stesse insieme a tutti gli altri. Con modestia, ma fiere di loro stesse, sembra che vogliano dire a quante più persone possibile, che è possibile, anche quando le strade si chiudono, restando fedeli ai principi, fare le cose che desideri, così come vorrebbe Carla, che oggi sarebbe davvero orgogliosa della sua Stefania e che magari si lascerebbe sfuggire un brava figlia mia!, se solo fosse ancora fra noi e potesse abbracciare questa donna con la schiena dritta e la testa a posto, eretta ed elegante come una rosa gialla, il cui significato è ti ricorderò per sempre.