Gli alberi sono importanti per l’uomo come il pane. Questo lo sanno anche i bambini. Così da dieci anni esiste la Giornata nazionale degli alberi, voluta dal Ministero dell’ambiente e celebrata il 21 novembre, per promuovere le politiche di riduzione delle emissioni, la protezione del suolo, il miglioramento della qualità dell’aria, la valorizzazione delle tradizioni legate all’albero e la vivibilità degli insediamenti urbani. Gli alberi e le foreste garantiscono ossigeno, cibo, principi attivi farmaceutici, acqua dolce, contrastano la desertificazione, aiutano a prevenire l’erosione del suolo, sono depositi naturali di carbonio, in grado di stabilizzare il clima e il surriscaldamento globale.
Uniti per difendere gli alberi
Non a casa uno degli impegni più rilevanti presi nei primi giorni della Cop26 di Glasgow – anche se le associazioni ambientaliste e le comunità indigene ne hanno sottolineato lo scarso coraggio – è stato proprio quello di fermare le deforestazioni entro il 2030. Un’intesa a cui hanno aderito anche Brasile e Cina, che riconosce il patrimonio globale costituito dalle foreste del pianeta e che mobilita un impegno finanziario per il recupero delle foreste danneggiate di quasi 20 miliardi di dollari, di cui 12 pubblici e 7-8 da fondi privati. Proprio nei giorni scorsi, inoltre, la Commissione europea ha presentato misure per limitare le importazioni di materie prime – come legno, soia, carni bovine, caffè, cacao, olio di palma ma anche alcuni prodotti derivati come mobili, cioccolata e cuoio – legate alla deforestazione. Misure che ora ora andranno negoziate dai colegislatori, Parlamento e Consiglio.
Hanno promesso di piantare mille miliardi di alberi anche i paesi riuniti a Roma per il summit del G20, mentre l’Unione europea ha lanciato la sua campagna “3 billion trees” tesa alla piantumazione di tre miliardi di alberi sul territorio europeo entro il 2030.
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Il capitale naturale rinnovabile delle foreste
Ma gli alberi non sono solo un polmone verde da preservare, come abbiamo imparato da piccoli. Sono anche una importante infrastruttura, la cui buona gestione può incidere in maniera significativa sulla qualità della nostra vita e, soprattutto, può rendere più sostenibile la nostra economia. Le foreste, infatti, sono protagoniste di modelli avanzati di sviluppo umano, come la bioeconomia circolare e le “nature based solutions”. La bioeconomia fa riferimento ad attività economiche alimentate dalla natura e dalle sue risorse. Si basa sull’assunto che il capitale naturale rinnovabile, se gestito in modo sostenibile, è capace di decarbonizzare le attività economiche, ripristinare la biodiversità, creare posti di lavoro e una crescita inclusiva. Il concetto è così in voga che il principe Carlo di Inghilterra ha lanciato la “Circular Bioeconomy Alliance”, per mettere scienza, ricerca e innovazione al servizio della trasformazione dei sistemi alimentari, sanitari, industriali, urbani, in chiave “nature-based”.
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Il pilastro dell’economia circolare
Il fulcro della circolarità consiste nel ridurre al minimo gli sprechi e massimizzare l’efficienza. In quanto tali, le foreste e i prodotti derivati possono svolgere un ruolo chiave nell’economia circolare fornendo una fonte rinnovabile di materie prime. I prodotti in legno utilizzati per l’edilizia, ad esempio, contribuiscono a ridurre l’impronta di carbonio degli edifici. Il legno, la cellulosa e i suoi derivati (come la lignina) sono un valido sostituto dei materiali non rinnovabili. Il recupero del legname e il riciclaggio della carta sono pratiche consolidate nel settore. Un approccio che sfrutti appieno il potenziale delle foreste può trasformarle, secondo molti osservatori, in uno dei pilastri fondamentali della bioeconomia circolare.
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Per fare un tavolo ci vuole il legno
La domanda che sorge spontanea è: ci sono abbastanza foreste e legname per sostenere questo nuovo sviluppo economico? Prendiamo la produzione di legno globale, i cui due usi principali sono la produzione di materiali da costruzione, oggetti e packaging, da una parte, e la combustione per produrre energia e riscaldamento, dall’altra. Come spiega Lauri Hetemaki, vicepresidente dell’European Forest Institute, intervenuto al forum “Nature at the heart of a global circular bioeconomy”, a parte un’impennata del 12% tra il 1990 e il 2019 – periodo caratterizzato da una crescita economica più che raddoppiata e un aumento della popolazione del 45% – il consumo di legname è rimasto costante negli ultimi 60 anni. E non è detto che debba necessariamente aumentare, considerato che molte attività, come per esempio l’uso della carta, sono in diminuzione. Secondo le stime di Hetemaki, ci sono molti mercati, come ad esempio quello africano, che hanno un potenziale ancora inespresso nella gestione forestale e potrebbero fare da traino alla bioeconomia circolare. L’Africa nel 2019 ha prodotto il 54% di legname in più dell’Europa, possedendo foreste quattro volte più grandi e, tuttavia, il valore delle sue esportazioni di legname è 17 volte inferiore a quello europeo (100 miliardi vs 6 miliardi di dollari).
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Sempre più alberi made in Italy
Un uso più efficiente, innovativo e sostenibile del legname per produrre bioprodotti e bioenergie e ridurre l’uso dei combustibili fossili, sembra perseguibile. Tuttavia, gli studi su questo potenziale sviluppo sono ancora pochi, così come manca una puntuale conoscenza del patrimonio arboreo, anche nel nostro paese. L’imperativo imprescindibile rimane non compromettere la riserva di biodiversità e di sequestro di carbonio che garantiscono gli alberi. Se diamo uno sguardo allo stato di salute del patrimonio verde nel nostro paese, scopriamo che, al contrario di quanto succede in molte altri parti del mondo, la superfice forestale in Italia negli ultimi 80 anni è triplicata, grazie principalmente alla sua espansione naturale sui terreni agricoli e sui pascoli abbandonati nelle aree montane e rurali, nonché intorno alle città. È una buona notizia, ma la strada della bioeconomia è ancora tutta da percorrere. Basti pensare che il settore legno-mobili in Italia, escludendo Lussemburgo e Malta, è il paese UE con il più basso grado di autosufficienza nell’approvvigionamento di materia prima legnosa (Report foreste 2019, Legambiente). Inoltre, le continue cronache di incendi ci ricordano che il miglioramento della qualità delle produzioni forestali nazionali e dell’efficienza delle filiere foresta-legno e foresta-energia sono ancora obiettivi da raggiungere, come vuole la nuova Strategia forestale europea.
Architettura e tessile: tutti dicono I love wood
Ma quali sono i settori economici da trasformare con un rapporto più prossimo con le foreste? Il primo è certamente quello delle costruzioni, responsabile di una delle più alte emissioni di carbonio. Con l’aumento dei prodotti in legno ingegnerizzato, la materia prima degli alberi è sempre più utilizzata nella costruzione di edifici residenziali e uffici. Basta dare un’occhiata alla biennale di architettura di Venezia in esposizione fino al 27 novembre 2021, per capire che il legno è al cuore del design: tra costruzioni modulari e tecniche “fuori sito”, si può pianificare, progettare, fabbricare e montare gli elementi edilizi in modo rapido ed efficiente, con ottimizzazione della catena del valore e minimo spreco. Un altro settore a caccia di circolarità è l’industria delle fibre tessili. La scelta di materiali alternativi con una minore impronta di carbonio e acqua, come le moderne fibre di cellulosa o di bamboo, si contrappone al “fast fashion”, basato su un’estrazione estensiva di materie prime, dominato da fibre sintetiche derivate da petrolio non rinnovabile, causa di inquinamento e rifiuti.
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