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venerdì, Novembre 15, 2024

Dagli Usa un modello per la diffusione di imballaggi riutilizzabili

Anche negli Stati Uniti si comincia a guardare a sistemi di riutilizzo per ridurre i rifiuti usa e getta. Tra iniziative locali e organizzazioni, si cerca di stabilire standard utili per progettare imballaggi riutilizzabili

Simone Fant
Simone Fant
Simone Fant è giornalista professionista. Ha lavorato per Sky Sport, Mediaset e AIPS (Association internationale de la presse sportive). Si occupa di economia circolare e ambiente collaborando con Economia Circolare.com, Materia Rinnovabile e Life Gate.

Siamo a Berkley, California. A gennaio 2019 l’ordinanza “Single Use Disposable Foodware and Litter Reduction Ordinance” ha obbligato i ristoranti della città a passare a contenitori riutilizzabili, riducendo così l’usa e getta, per servizi di asporto e non. I proprietari sono stati supportati dal programma ReThink Disposable, lanciato un anno dopo con il finanziamento iniziale dell’EPA (Environment Protection Agency), che fornisce servizi di consulenza per la gestione dei rifiuti ai ristoranti. In quasi tre anni ha impedito a oltre 17,8 milioni articoli monouso di entrare nel flusso dei rifiuti e ha fatto risparmiare oltre 500mila dollari alle aziende  partecipanti.

Approvata nel gennaio 2019, la legge ha attirato l’attenzione di altre città californiane tra cui Arcata, Culver City, Fairfax, Palm Springs e San Anselmo che hanno adottato normative simili.

Spostandoci un po’ più a nord, nello stato di Washington, a Seattle è stato creato Reuse Seattle, un newtwork di riutilizzo che include stadi (luoghi in cui l’usa e getta domina), università, ristoranti, e aziende della città. La sfida secondo Pat Kaufman, responsabile del programma commerciale presso Seattle Public Utilities, è quella di portare parti coinvolte sulla stessa pagina, una sinergia su più fronti

“Quando si parla di cosa ci vorrà per fare in modo che il riutilizzo inizi a sottrarre parte della quota di mercato al monouso, è necessario disporre di una logistica e di un impianto di lavaggio”, ha dichiarato Pat Kaufman.

Leggi anche: Piccola guida per realizzare sistemi di riuso degli imballaggi efficaci

Gli standard per il packaging riutilizzabili

Sull’onda di queste pratiche virtuose in alcune piccole e grandi realtà americane, è nata l’idea di pensare ad uno standard per progettare imballaggi riutilizzabili. Promossa dalla ONG Resolve – una piattaforma che ha l’obbiettivo di creare partnership innovative per sfide sociali, sanitarie e ambientali critiche -, PR3 è l’organizzazione delle tre R: Reuse, Refill, Replace Single-Use, che ha l’obbiettivo di eliminare il più possibile i packaging monouso.

Amy Larkin e Claudette Juska, co-fondatrici di PR3, tre anni fa sono riuscite ad ottenere un fondo di 1,1 milioni di dollari da parte di Plastic Solutions Fund, un progetto sponsorizzato da Rockefeller Philanthropy Advisors volto a sostenere il movimento #breakfreefromplastic.  Tra le organizzazioni partner, finanziatori e i consulenti di PR3, ci sono Cisco, Nestlé e la Ellen MacArthur Foundation.

Sin dall’inizio l’obbiettivi della piattaforma è stato quello di sviluppare un Reusable Packaging System Design Standard, cioè un’analisi degli ingredienti che servono per creare un efficiente standard per imballaggi riutilizzabili. Prima di partire con il progetto però, Larkin e Juksa hanno commissionato un’analisi preliminare confrontando il ciclo vita delle bottiglie di plastica monouso con quelle riutilizzabili.

“Utilizzando stime molto prudenti, abbiamo scoperto che il riutilizzo può far risparmiare almeno il 50 percento delle emissioni di carbonio“, ha dichiarato Juska alla testata Greenbiz.

“Invece, – ha aggiunto – se sono in vigore standard precisi in modo che le città e le aziende possano allinearsi in maniera sinergica, il riutilizzo può far risparmiare fino all’80% delle emissioni rispetto al monouso”.

L’analisi, inoltre, ha scoperto che se l’80% degli imballaggi alimentari venisse convertito per il riutilizzo (bottiglie, bicchieri, vaschette di cibo da asporto) ci sarebbe una riduzione di emissioni di carbonio dalle 9 a 15 gigatonnellate da qui al 2050.

Il Reusable Packaging System Design Standard,  lo standard di progettazione per gli imballaggi riutilizzabili – come bicchieri da asporto, contenitori per alimenti, e beni di consumo – si focalizza su otto punti essenziali:

  1. Punti di raccolta: requisiti per luoghi di raccolta presidiati e automatizzati.
  2. Contenitori: requisiti di etichettatura, requisiti digitali, materiali e design dei contenitori.
  3. Digitale: standardizzazione dei dati utilizzati da tutti i partecipanti all’ecosistema.
  4. Incentivi
  5. Etichettatura ed educazione: requisiti visivi e verbali, requisiti di etichettatura per contenitori e punti di raccolta

Sui punti dedicati a “Lavoro, Logistica inversa”, non ci sono ancora online i documenti riguardanti questi passaggi. Mentre il punto “Lavaggio, sanificazione e manipolazione di prodotti alimentari da parte di terzi” contiene i requisiti minimi e raccomandazioni per il lavaggio, la sanificazione e l’asciugatura dei contenitori per alimenti.

Leggi anche: Così il Covid ha frenato i sistemi di riuso tra i grandi marchi

Il progetto R.Cup di Seattle

A fine 2021 è partito anche progetto pilota Reuse Seattle che, insieme a r.Cup, start up che produce tazze riutilizzabili per grandi eventi locali insieme a un servizio di lavaggio di bicchieri a mano, sta progettando iniziative con tazze riutilizzabili in diversi locali della città. Il programma è stato anche supportato da Cascadia Consulting, una società di consulenza locale con sede a Seattle che gestisce la parte green del programma Seattle Public Utilities.

Atra iniziativa riguarda Consumers Beyond Waste, un progetto della piattaforma Future of Consumption del World Economic Forum, che ha pubblicato un documento in cui propone linee guida per una città strutturata sul concetto del riutilizzo. Un playbook interessante che focalizza l’attenzione particolarmente sulle comunità locali, in grado – come nel caso delle ordinanze prima menzionate – di poter creare circoli virtuosi autonomamente, senza dover attendere leggi nazionali per agire.

Leggi anche: Speciale Sistemi di riuso

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