Allungare la vita dei nostri smartphone e dispositivi elettronici è diventata una priorità e l’Unione europea tenta di intervenire con una nuova regolamentazione che introduca e rafforzi elementi di economia circolare nella filiera degli smartphone e dei tablet. Le norme sono attese per la fine del 2022: intanto la Commissione europea sta sottoponendo a consultazione la bozza della futura regolamentazione.
L’obiettivo è fissare una serie di requisiti per i prodotti venduti in Unione europea per far sì che la durata di vita media degli smartphone arrivi a cinque anni e non gli attuali due-tre anni intervenendo sulla facilità di riparazione all’ecodesign, fino alla progettazione dei sistemi operativi.
Le richieste di Bruxelles ai produttori
E quindi: smartphone riparabili facilmente, batterie più resistenti nel tempo e indicazioni chiare nelle etichette ecologiche simili a quelle degli elettrodomestici sull’efficienza energetica, sulla durata e resistenza alle cadute e urti, all’acqua e alla polvere. Spetterà ai produttori di telefoni cellulari fornire i pezzi di ricambio come batterie, cover, schermo, foto e videocamera, microfoni, ingressi audio e per la ricarica, connettori per schede di memoria e altre componenti meccaniche ed elettroniche. Sono in tutto quindici quelle elencate nel documento e la Commissione europea chiede che restino a disposizione per almeno cinque anni dalla data di introduzione di uno smartphone sul mercato.
Le batterie dovranno sopravvivere almeno 500 cariche complete senza deteriorarsi al di sotto sotto dell’83% della loro capacità di carica. A giugno Bruxelles aveva introdotto l’obbligo per i produttori di elettronica di utilizzare caricabatterie standard entro il 2024: le porte Usb-C diventeranno il formato standard per tutti gli smartphone, i tablet, le videocamere, le cuffie, gli altoparlanti portatili e le console portatili per videogiochi, Apple inclusa.
La bozza contiene indicazioni anche sui software. Ai produttori è chiesto di fornire aggiornamenti sulla sicurezza per almeno i cinque anni successivi al ritiro dal mercato di un modello e dovranno dimostrare che i sistemi operativi e gli aggiornamenti non riducono indebitamente le performance degli apparecchi, contrastando la cosiddetta obsolescenza programmata. La maggior parte degli smartphone, però, utilizza il sistema operativo Android di Google e l’azienda statunitense fornisce aggiornamenti solo per alcuni anni e questo potrebbe essere un problema.
Tanti benefici ambientali dall’economia ricolare degli smartphone, ma i produttori non sono d’accordo
Non sarà semplice riuscire a imporre le regole più stringenti, sebbene la “minaccia” di Bruxelles sia quella di escludere i produttori che non rispetteranno le norme dal mercato unico europeo. Nel mentre si è già avviata la macchina delle lobby. Come riporta il Financial Times, l’associazione dei produttori tecnologici Digital Europe ha già fatto sapere che le misure della Commissione europea avranno, a loro giudizio, l’effetto-boomerang di moltiplicare le parti che costituiscono un dispositivo mobile e, di conseguenza, l’uso di plastica: “Spreco di risorse, minore efficienza dei materiali e impatti economici negativi che si riverseranno su costi più alti per i consumatori”.
Eppure i benefici ambientali non sono trascurabili. Estendere di cinque anni il ciclo di vita di tutti gli smartphone nell’Ue permetterebbe di risparmiare emissioni per circa 10 milioni di tonnellate di CO2, più o meno come togliere 5 milioni di auto dalla strada, ha calcolato l’Ufficio europeo per l’ambiente, un organismo non governativo. La produzione incessante di nuovi modelli, come è ormai noto, è causa di notevoli problemi di emissioni climalteranti e di rifornimento di materie prime. Ogni volta che uno di questi telefoni viene realizzato, crea tra i 40 e gli 80 kg di CO2. Se l’hardware degli smartphone fosse, invece, reso più riparabile e riciclabile, si ridurrebbe di un terzo il consumo energetico associato alla loro produzione e al loro uso.
Riciclare di più e combattere gli sprechi
Del resto, spiega il documento, l’80% dell’inquinamento ambientale e il 90% dei costi di produzione sono il risultato di decisioni prese in fase di progettazione del prodotto. Rispettare quindi le richieste della Commissione europea è la condizione sine qua non per poter intervenire sugli altri due aspetti problematici evidenziati da Bruxelles.
“I device elettronici – si legge nel documento preparatorio – sono spesso sostituiti prematuramente dai consumatori e alla fine del loro ciclo di vita non sono sufficientemente riutilizzati o riciclati e questo porta a un notevole spreco di risorse”. Troppo spesso, infatti, sono gli stessi cittadini ad avere un atteggiamento consumistico basato sul “compra e getta”, ma finché i cittadini sono costretti ugualmente a cambiare il loro smartphone ogni due-tre anni, è complicato capire la dimensione del fenomeno e quanti, invece, preferirebbero andare avanti con il loro cellulare. Una questione spesso legata ai costi, visto che comprare un nuovo telefono conviene rispetto a riparare quello non funzionante.
Intanto, però, la situazione è questa. Ogni anno nell’Unione europea vengono venduti 210 milioni di smartphone, quasi sette al secondo. Nel 2019 sono stati oltre 50 milioni le tonnellate di rifiuti elettronici ed elettrici (RAEE): ma solo il 17% è stato adeguatamente riciclato. Dati evidentemente troppo bassi.
Anche aumentare il riciclo, però, potrebbe non bastare. Per questo nuovi modelli di smartphone facilmente smontabili e riparabili permetterebbero di intervenire a monte del problema facilitando le riparazioni. Dal 2016 Apple ha lanciato un programma di vendita globale di iPhone rinnovati e anche Amazon ha aperto una sezione e-commerce dedicata ai dispositivi ricondizionati. Le norme più stringenti andrebbero proprio in quella direzione, senza però affidarsi esclusivamente alle scelte dei produttori.