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sabato, Novembre 30, 2024

L’economia mondiale è sempre meno circolare. Secondo il Circularity Gap Report scende al 7,2%

Pubblicata l’edizione 2023 del Circularity Gap Report, il nuovo studio di Circle Economy. Negli ultimi sei anni abbiamo estratto e utilizzato più materiali rispetto all'intero XX secolo e solo il 7,2% torna in circolo. I dati, le soluzioni e le riflessioni dell’evento di presentazione

Silvia Santucci
Silvia Santucci
Giornalista pubblicista, dal 2011 ha collaborato con diverse testate online della città dell’Aquila, seguendone le vicende post-sisma. Ha frequentato il Corso EuroMediterraneo di Giornalismo ambientale “Laura Conti”. Ha lavorato come ufficio stampa e social media manager di diversi progetti, tra cui il progetto “Foresta Modello” dell’International Model Forest Network. Nel 2019 le viene assegnata una menzione speciale dalla giuria del premio giornalistico “Guido Polidoro”

Ogni anno, l’economia globale consuma 100 miliardi di tonnellate di materiali, di questi solo il 7,2% rientra in circolo sotto forma di materiali riciclati. È quanto emerge dall’edizione 2023 del Circularity Gap Report, il nuovo studio di Circle Economy, – organizzazione che si occupa di fornire a imprese, decisori pubblici e amministrazioni gli strumenti per implementare l’economia circolare – in collaborazione con Deloitte, presentato lo scorso 16 gennaio a Davos, in occasione del World Economic Forum.

Quel 7,2% che valuta la circolarità dell’economia globale è un dato importante, e in questo caso, deludente: si registra infatti un ulteriore calo rispetto al 9,1% del 2018, anno in cui Circle Economy ha calcolato per la prima volta il dato, ma anche rispetto all’8,6% del 2022.

Perché siamo sempre meno circolari

Ma come mai, nonostante si parli sempre più nella politica, e tra aziende e cittadini di economia circolare continuiamo a restare ancorati ad un sistema lineare, verso cui tendiamo sempre più? A spiegarlo è Matthew Fraser, responsabile di Ricerca e Sviluppo di Circle Economy. “Chiaramente – ha detto nel corso della presentazione del report – l’aumento esponenziale dell’estrazione gioca un ruolo importante. Molti di questi materiali vengono utilizzati per fabbricare ponti, edifici e strade ma, se guardiamo a ciò che esce dall’economia, la stragrande maggioranza dei materiali viene persa, cioè non viene riciclata. È chiaro che c’è un enorme potenziale per aumentare questo numero in futuro”.

Gli effetti di questa mancanza di circolarità sono purtroppo visibili nell’ambiente che ci circonda e, come sappiamo, mettono a repentaglio la salute del Pianeta e della specie umana. Dei nove confini planetari, fa sapere Fraser, ossia dei limiti da non superare per garantire la sopravvivenza dell’uomo sul Pianeta – concetto introdotto nel 2009 in uno studio su Nature da un gruppo di scienziati guidati da Johan Rockström – ne sono stati superati già cinque e questo sta esercitando un’immensa pressione sugli ecosistemi globali, sia negli oceani che sulla terra e nell’atmosfera.

“L’aumento dell’estrazione e dell’utilizzo dei materiali – ha detto Vivianne Heijnen, ministra presso il Ministero delle Infrastrutture e della Gestione delle Acque dei Paesi Bassi – ha un impatto negativo. Nei sei anni trascorsi dalla stesura del primo rapporto sul Circularity Gap, l’economia globale ha estratto e utilizzato più materiali rispetto all’intero XX secolo (e entro il 2060 questa cifra potrebbe raddoppiare ancora, ndr). Il tenore di vita di molte persone è migliorato, ma siamo andati oltre la sicurezza ambientale e degli elementi naturali del nostro Pianeta”.

La ministra ha poi accennato alle misure che stanno per essere adottate nei Paesi Bassi, come un nuovo programma di economia circolare nazionale e dei provvedimenti per le categorie di prodotto del tessile e della plastica. “Tuttavia – aggiunge – nessun Paese può raggiungere la circolarità da solo. Ecco perché continueremo a collaborare con partner internazionali per coordinare numerose nuove iniziative”.

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Inclusione: nessun Paese è davvero circolare da solo

“La transizione verso la circolarità – ha spiegato Elisa Tonda, a capo della unità Consumo e produzione della Environment’s Economy Division delle Nazioni Unite – dovrà essere molto inclusiva, dal momento che porta opportunità di lavoro e occupazione. Conosciamo bene le cifre che rapporti come Breaking the Plastic Wave, riportano in termini di opportunità di lavoro e di capacità della nuova economia dal riciclo della plastica in grado di creare 700.000 posti di lavoro entro il 2040, o le cifre che l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, riporta nel suo rapporto, secondo cui la transizione verso la circolarità può creare 200 milioni di nuovi posti di lavoro a livello globale, molti dei quali verrebbero creati nel Sud del mondo. E molti di questi sono anche posti di lavoro nati in relazione al riciclo e all’economia circolare”.

“Siamo sempre molto soddisfatti dei nostri progressi in Scozia nell’economia del Paese, in termini di risultati dell’azione politica con le singole imprese; – ha affermato Iain Gullard, CEO di Zero Waste Scotland – abbiamo lavorato con oltre 50 imprese e investito in alcune di esse negli ultimi due anni, con un interesse significativo da parte delle amministrazioni scozzesi nel sostenerle. Dobbiamo però pensare in modo molto più aperto, perché non si tratta solo di una strategia per le singole imprese ma di una strategia economica globale che dobbiamo far convergere su di noi. Dobbiamo quindi pensare al quadro generale per colmare davvero il divario, non sono solo le singole imprese a poterlo fare”.

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I quattro che inquinano di più

Secondo il Circularity Gap Report 2023, quattro sistemi globali chiave sono responsabili della maggior parte delle emissioni e dei rifiuti globali: l’edilizia, il sistemi alimentare, la mobilità e i trasporti, i beni di consumo e i prodotti industriali.

“La metà degli edifici che saranno in piedi nel 2050 – ha detto a tal proposito Elisa Tonda di Unep – non sono ancora stati costruiti e l’equivalente della città di Parigi viene edificato sul nostro suolo ogni cinque giorni, e l’equivalente del Giappone ogni anno fino al 2060. Questo ci dà un’incredibile opportunità di pensare alle infrastrutture, in modo che siano al servizio di un sistema circolare e non di un’economia lineare”.

L’edilizia è in effetti responsabile di circa il 40% delle emissioni globali di gas serra, e la sola produzione di cemento contribuisce a circa il 7% della CO2 rilasciata nell’atmosfera a livello globale.

Il sistema alimentare, che occupa oggi circa la metà della superficie abitabile del pianeta, è invece responsabile di un terzo delle emissioni globali di gas serra, di cui l’8-10% è legato alla produzione di cibo perso e sprecato. La mobilità e i trasporti sono tra le cause principali del cambiamento climatico e dell’acidificazione degli oceani, responsabile di circa il 25% delle emissioni di gas serra a livello globale. I beni industriali e di consumo implicano, infine, processi industriali ad alta intensità di energia e di materiali: il report stima che oltre un quarto della produzione globale di rifiuti solidi sia costituito da rifiuti industriali.

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Le soluzioni

Il report non accende i riflettori solo sui problemi ma pone 16 soluzioni legate economia circolare che, implementate in questi sistemi, possono invertire l’attuale superamento di cinque limiti planetari, garantendo la sicurezza degli ambientanti naturali e persino limitando il riscaldamento globale a meno di 2 gradi.

Dall’aumento dell’efficienza energetica degli edifici e la riconversione del patrimonio edilizio esistente alla transizione verso un sistema alimentare circolare che includa la riduzione degli sprechi alimentari migliorando la gestione del trasporto e dello stoccaggio e la salute dei terreni. Dalla mobilità dolce agli investimenti in trasporti pubblici e veicoli elettrici alle pratiche di moda più sostenibili e, in generale, ad un prolungamento della vita degli oggetti.

In sintesi, il rapporto conferma che non è possibile raggiungere la sostenibilità solo con il riciclo, e punta sull’adozione di quattro principi chiave della circolarità: usare meno, usare più a lungo, usare di nuovo e “rendere pulito”, evitando cioè materiali tossici.

Secondo lo studio, i bisogni fondamentali della società, come l’alimentazione e la casa, potrebbero essere soddisfatti con appena il 70% dei materiali che l’economia mondiale consuma attualmente. Inoltre, la riduzione del 30% dell’estrazione potrebbe migliorare enormemente la salute dell’ambiente.

La chiave di questa riduzione starebbe nella transizione dai combustibili fossili a fonti di energia più rinnovabili e nella riduzione della domanda di minerali ad alto volume, come la sabbia e la ghiaia, che sono in gran parte utilizzati per le abitazioni e le infrastrutture, rinnovando i vecchi edifici e le infrastrutture invece di costruirne di nuovi, in combinazione con altre misure.

Il report insiste poi su un percorso di riduzione delle materie estratte che deve essere diverso a secondo del Paese: ad esempio, Stati Uniti e Stati membri dell’Ue dovranno ridurre radicalmente l’estrazione e l’uso di materiali, dato che attualmente ne consumano il 31%. Mentre altri, come la Cina, dovranno stabilizzare il loro consumo.

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