Prime settimane di lezione per le partecipanti ed i partecipanti di “Green marketing – Comunicare la sostenibilità in azienda”, il corso di formazione organizzato da EconomiaCircolare.com in collaborazione con il CDCA – Centro di Documentazione sui Conflitti Ambientali e patrocinato da UNITRAIN e ISIA Roma Design.
Il percorso formativo nasce per rispondere a una domanda crescente di prodotti e di servizi sostenibili da parte di consumatori e stakeholder: le aziende hanno la necessità di imparare a comunicare in modo chiaro, veritiero e trasparente il loro impegno per la sostenibilità. Si rende dunque sempre più necessario acquisire competenze trasversali per realizzare un’efficace strategia di green marketing, attraverso le figure del green marketing specialist, green manager, circular manager e green communication officer sempre più richieste nelle aziende.
I criteri di sostenibilità e circolarità
Distinguere tra pratiche virtuose e greenwashing può essere più insidioso di quanto si pensi: per parlare e promuovere pratiche sostenibili e circolari bisogna conoscerle e saperle valutare con un approccio Life Cycle Thinking.
Per questo, il primo modulo tenuto per la prima parte da Alessandra De Santis, coordinatrice esecutiva di EconomiaCircolare.com si è posto come obiettivo quello di porre l’accento sui criteri ambientali, i principi e le strategie dell’economia circolare e la loro importanza.
I lettori e le lettrici di EconomiaCircolare.com sanno bene che il presupposto per qualsiasi azione all’interno di un sistema circolare deve essere quello di preservare e rigenerare le risorse naturali che abbiamo a disposizione. Attualmente il nostro Pianeta vive una situazione di sovrasfruttamento, e anche il nostro Paese non è esente da responsabilità. Lo scorso 15 maggio l’Italia ha raggiunto l’Overshoot Day: secondo Global Footprint Network, se tutti agissero come noi italiani avremmo bisogno di ben 2,7 pianeta Terra per soddisfare i livelli di consumo della popolazione mondiale. Il giorno del sovrasfruttamento di un Paese indica infatti il momento in cui cadrebbe l’Earth Overshoot Day se tutta l’umanità consumasse come le persone di quello stato.
Due indicatori utili per valutare lo sfruttamento antropico delle risorse naturali sono l’impronta ecologica – che misura l’area in ettari biologicamente produttiva di mare e di terra necessaria a soddisfare e rigenerare le risorse consumate da una popolazione umana e ad assorbire i rifiuti prodotti – e la biocapacità, che viene misurata calcolando la quantità di terra e area marina biologicamente produttive disponibile per fornire le risorse che una popolazione consuma e per assorbire i suoi rifiuti, date le attuali tecnologie e pratiche di gestione: un circolo vizioso, quello del consumo delle risorse, cui si può far fronte solo adottando pratiche rigenerative di economia circolare.
La seconda parte del modulo, tenuta dal ricercatore di ENEA Silvio Viglia si è concentrata invece sull’LCA, Life Cycle Assessment, la metodologia più adatta per stimare in maniera completa gli impatti ambientali lungo tutta la filiera: si parla infatti di “impronta ambientale” per differenziarla dal concetto dell’”impronta ecologica”, che presenta maggiori limiti.
La struttura dell’LCA può essere incorporata all’interno dei sistemi di gestione ambientale (SGA) e degli schemi di etichettatura ambientale.
“Attuare queste scelte – ha spiegato Viglia – consente di ottenere molti vantaggi sia economici che in termini di competitività. Per quanto riguarda gli SGA, ad esempio, uno degli obiettivi contenuti all’interno della politica ambientale di una PMI potrebbe essere quello di ridurre gli impatti ambientali associati ai suoi prodotti. La LCA fornisce i mezzi per il raggiungimento di questo obiettivo; essa permette, infatti, di valutare gli impatti associati al prodotto lungo l’intero ciclo di vita”.
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Misurare la circolarità oltre il greenwashing
Il secondo modulo, tenuto da Daniele Di Stefano, giornalista di EconomiaCircolare.com, ha invece fornito strumenti e conoscenze per valutare in modo accurato e obiettivo quanto un’azienda sia impegnata nella transizione verso un modello circolare e quanto invece si tratti di mere operazioni di greenwashing. Durante la lezione sono stati presentati i più importanti indicatori e le metriche utilizzati per misurare la circolarità, e sono stati analizzati i principali standard e framework internazionali per la valutazione della sostenibilità, e in particolare della circolarità.
Dopo una panoramica sul concetto di greenwashing e alcuni esempi di “scivoloni” di aziende che in maniera più o meno consapevole portano avanti una comunicazione fuorviante per il consumatore, ci si è concentrati sulla Direttiva Green Claim, annunciata lo scorso 22 marzo dalla Commissione europea.
La proposta riguarda le “indicazioni verdi” fornite dalle aziende che dichiarano o implicano un impatto ambientale positivo, un impatto negativo minore, nessun impatto o un miglioramento nel tempo per i loro prodotti, servizi o organizzazioni. In sostanza le dichiarazioni dovranno essere comprovate dalla aziende e gli stati Membri dovranno dar vita ad un sistema di verifica.
La misura è senz’altro un passo importante nella lotta contro il greenwashing ma quindici giorni prima che la Commissione Ue pubblicasse la proposta di direttiva, era trapelata una bozza molto più ambiziosa e dai contenuti più stringenti. Qualcuno avrebbe fatto pressione per annacquare le prescrizioni e rendere meno vincolanti i criteri. Lo aveva spiegato ad EconomiaCircolare.com Fabio Iraldo, docente alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, uno dei massimi esperti di circolarità e di lotta al greenwashing.
Tra gli altri temi toccati riveste un ruolo fondamentale quello dei Criteri Ambientali Minimi (CAM), a cui il nostro magazine ha dedicato un intero Speciale. Inoltre insieme a A Sud, Melting Pro e CDCA è in partenza “Cultura Sostenibile”, il nuovo programma di capacity building pensato per accompagnare le organizzazioni culturali e creative nel processo di conversione ecologica.
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Il bilancio di sostenibilità
Il concetto di sostenibilità è purtroppo usato spesso a sproposito in contesti differenti, finendo il più delle volte per delineare azioni di greenwashing da parte delle aziende.
Ma, come precisato nella sua lezione da Simone Corazzina, consulente di sostenibilità presso IPLUS, il concetto di sostenibilità non comprende solo la sfera ambientale ma ovviamente anche quella economica e sociale, tre pilastri che possono intersecarsi in modelli diversi. “Il tema della crescita economica – ha sottolineato – permette lo sviluppo sostenibile perché senza la parte economica l’impresa non può prosperare e dedicare attenzioni e risorse ad esempio al benessere sociale dei propri dipendenti, o a progetti per la tutela ambientale: è quindi fondamentale che l’area economica sia tutelata”.
Accanto al concetto di sostenibilità vi è quello di “sviluppo sostenibile”, introdotto per la prima volta nel 1987 nel rapporto rapporto Brundtland dalla World Commission on Environment and Development (WCED) come “uno sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere le possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri”.
Dopo una panoramica su questi concetti chiave, si è passati all’evoluzione del contesto normativo. Una richiesta di sempre maggiore trasparenza sugli impatti sociali e ambientali delle attività d’impresa hanno reso, in questo senso, il bilancio di sostenibilità uno strumento chiave di gestione a supporto delle decisioni e della comunicazione interna ed esterna del valore generato per gli stakeholder negli ambiti ESG (environment, social and governance).
Sono diverse le tipologie di bilanci che prendono in considerazione altri parametri oltre a quelli economici, ad esempio il CSR Report, paragonabile in Italia al report di buone pratiche di sostenibilità, un documento più light dove l’impresa va a rendicontare quella che è la sua gestione della tematica della sostenibilità: “non c’è uno standard da seguire, non ci sono particolari richieste a livello di rendicontazione, l’impresa semplicemente racconta a livello di prassi come porta avanti il suo tema della sostenibilità”.
In questo quadro si inserisce la Direttiva sul reporting di sostenibilità aziendale della Commissione europea, nota anche con l’acronimo CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive), che, adottata ufficialmente nel 2022, prosegue il suo iter.
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Carbon neutrality e compensazione
Il tema delle compensazioni delle emissioni è un tema centrale quanto spinoso, di cui si parla sempre di più negli ultimi anni. Spinte da una cornice normativa sempre più definita e dalla crescente consapevolezza dei consumatori, moltissime aziende ricorrono infatti alla compensazione attraverso i crediti di carbonio per limitare il proprio impatto sul Pianeta.
Si tratta però di un mercato fatto di luci e ombre che, come ha spiegato nel corso del suo modulo, Guido Cencini, Carbon & Forestry manager di zeroCO2, necessita di una particolare attenzione affinché si possa comprendere come strutturare una strategia di compensazione e carbon neutrality concreta, efficace e trasparente.
Ma cos’è un credito di carbonio? Innanzitutto bisogna fare una distinzione tra mercato regolamentato (ETS) e mercato volontario. Nel primo caso si tratta uno strumento politico che impone la riduzione delle emissioni di gas serra nelle industrie ad alta intensità energetica. Nei mercati volontari invece la finalità è quella di consentire alle aziende di compensare le emissioni difficili o impossibili da abbattere per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione e le ambizioni di net zero.
In generale, un credito rappresenta l’abbattimento di una tonnellata metrica di CO2 (o di un gas serra equivalente). I crediti sono emessi da progetti concepiti specificamente per ridurre o eliminare le emissioni di carbonio e venduti ad acquirenti volontari.
I risultati però, lo dicevamo, possono non essere spesso quelli sperati: lo scorso gennaio un’inchiesta del The Guardian, secondo l’analisi di uno studio dell’Università di Cambridge del 2022, ha analizzato 87 progetti a ha rilevato che oltre il 90% delle compensazioni di carbonio della foresta pluviale da parte del più grande certificatore, e utilizzate da Disney, Shell, Gucci e altri colossi, sarebbero prive di valore.
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