Habemus PNIEC. Dopo giorni di attesa e tribolazione, il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica rispetta all’ultimo momento la scadenza imposta dall’Unione europea e rende noto di aver aggiornato il PNIEC, il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima che dovrà tracciare la rotta della transizione energetica ed ecologica da qui al 2030. La versione originale del piano risale al 2020 ma tra Covid, crisi energetica, guerra in Ucraina e inflazione si comprende bene come quel piano sia già vecchio. Soprattutto alla luce dei nuovi obiettivi ambientali fissati dall’Unione europea, come il pacchetto di riforme Fit for 55 (che punta alla riduzione delle emissioni del 55% rispetto al 1990) e il REPowerEu (che punta a una maggiore indipendenza energetica dopo che il Vecchio Continente si è scoperto fragile nei confronti della Russia).
La proposta al vaglio dell’Europa, che sarà poi oggetto della Valutazione Ambientale Strategica (VAS), è stata realizzata dal MASE con il supporto operativo del GSE, di RSE per la parte energetica, dell’ISPRA per la parte ambientale e di Enea, PoliTo e PoliMi per la parte della ricerca e innovazione. La bozza partorita dal ministero non è stata però resa pubblica dal ministero ma dall’agenzia Staffetta Quotidiana e da alcuni siti specializzati.
Scrive comunque il MASE che “il PNIEC centra quasi tutti i target fissati dalle normative europee su ambiente e clima, superando in alcuni casi significativamente gli obiettivi comunitari al 2030. Inizia così, nei tempi previsti, l’iter di aggiornamento del Piano che condurrà all’approvazione definitiva del nuovo testo entro giugno del 2024”. Su quel “quasi”, però, c’è molto da discutere. Si intuisce già qualcosa dalla dichiarazione rilasciata dal titolare del dicastero.
“Con questo testo, frutto di un lavoro intenso del MASE – spiega il ministro Gilberto Pichetto Fratin – vogliamo indicare una via alla transizione che sia realistica e non velleitaria, dunque sostenibile per il sistema economico italiano. È un documento – aggiunge il ministro – che conferma l’impegno dell’Italia sul clima e per la sicurezza energetica, in linea con l’ineludibile cambiamento di un modello di sviluppo che porti benessere alle famiglie e condizioni di crescita alle aziende italiane”.
Come ammette lo stesso ministero le difficoltà maggiori da parte dell’Italia nel raggiungimento degli obiettivi europei sulla riduzione delle emissioni si sono riscontrate “nei settori civile, trasporti, servizi e agricoltura”, mentre non si sono riscontrati problemi “nel settore ETS dell’industria pesante”. Ma quanto ciò inciderà sulla strategia energetica?
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Il pragmatismo del PNIEC e le banalità sull’economia circolare
Che il lavoro del PNIEC sia fondamentale lo si capisce dalla mole di pagine dedicate: soltanto l’executive summary è lungo 24 pagine, mentre il documento completo è di ben 415 pagine. All’elevato numero di pagine non corrisponde, però, un’adeguata ambizione: non si tratta, infatti, di un lavoro granché lungimirante né sullo scenario al 2030 né sulle soluzioni offerte, ancorato piuttosto a un pragmatismo che gli effetti della crisi climatica, tuttavia, rendono inadeguato.
“Occorre coniugare le politiche di decarbonizzazione con quelle volte a mantenere la qualità della vita e dei servizi sociali, la lotta alla povertà energetica, e il mantenimento della competitività e dell’occupazione, data la struttura del tessuto produttivo e manifatturiero italiano – si legge nel testo – non solo nei confronti dei paesi extraeuropei che ancora non attuano con pari determinazione e velocità le politiche di decarbonizzazione, ma anche evitando fenomeni di concorrenza intraeuropea, a causa di misure nazionali non armonizzate a livello comunitario”.
Il documento del ministero riconosce che sarà necessario un mutamento degli stili di vita e di consumo se si vuole affrontare adeguatamente la crisi climatica. Però dall’intero documento si evince che ciò si vuole fare con la buona volontà sull’esistente, senza scontentare nessuno e perseguendo tutte le strade. Persino il PNIEC del 2019, che pure era stato criticato per essere eccessivamente ancorato al presente, viene tacciato di “eccessivo ottimismo” sul fronte delle riduzioni delle emissioni climalteranti. Non va meglio, poi, sul fronte dell’economia circolare.
“Anche l’economia circolare deve entrare a far parte degli standard del mondo produttivo e manifatturiero – si legge ancora – Se alcuni settori sono già molto avanti nel recupero e nel riciclo, occorre intensificare la ricerca di soluzioni che minimizzino l’utilizzo di materie prime, oltre che i consumi del ciclo produttivo, e riducano gli scarti, attuando con misure concrete la strategia per l’economia circolare”. Peccato, però, che sull’economia circolare non possa bastare una citazione che, va aggiunto, è pure abbastanza banale e non cita neppure concetti fondamentali come l’ecodesign e la prevenzione.
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L’energia del futuro secondo il PNIEC
Molte pagine del PNIEC sono dedicate, inevitabilmente, all’energia. Anzi, meglio, a “cinque dimensioni strettamente interconnesse”:
- Decarbonizzazione
- Efficienza energetica
- Sicurezza energetica
- Mercato interno dell’energia
- Ricerca, innovazione e competitività
Andiamo ad analizzare nello specifico ogni dimensione. Per quanto riguarda la decarbonizzazione l’obiettivo resta il raggiungimento della neutralità climatica al 2050. Vale la pena ricordare che per neutralità climatica non si intende l’azzeramento delle emissioni ma che la somma tra le emissioni prodotte e quelle compensate deve risultare pari a zero. Ma quale sarà il mix energetico del futuro secondo il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica? Innanzitutto il MASE punta a una diminuzione della domanda di energia, proseguendo il trend avviato col Covid e proseguito con il rialzo dei prezzi e la guerra in Ucraina: secondo il ministero, al 2030 si prevede una diminuzione di domanda di energia dell’11,4%. In tale ottica, poi, si prevede poi un aumento del contributo dell’energia elettrica, dall’attuale 22% al 27% finale: una crescita che però appare abbastanza limitata.
Soprattutto alla luce del fatto che per le energie rinnovabili, in questo ambito, si prevede n raddoppio del contributo delle rinnovabili (dall’8% attuale al 16%) e contestualmente una riduzione del contributo del gas (dal 30% al 24%) e del petrolio (meglio, i suoi derivati) dall’attuale 35% al 29%. L’Italia del futuro prossimo, dunque, dal punto di vista energetico sarà ancora a trazione fossile. Per il fotovoltaico e l’eolico, comunque, si prevedono aumenti consistenti: da 22,6 gigawatt installate (dati del 2021) ai 79,9 gw (al 2030) nel primo caso e dai 11,3 gw ai 28,1 gw nel caso dell’eolico (onshore e offshore). Aumenti consistenti, certamente, che però dovranno decuplicare i ritmi di installazione degli anni più recenti.
Quel che si nota, in ogni caso, è che tale sviluppo delle rinnovabili, secondo il PNIEC italiano, dovrà comunque fare affidamento sul gas, definito a più riprese il combustibile di transizione. Per il documento del ministero, infatti, il gas “continuerà a giocare un ruolo indispensabile per il sistema energetico nazionale durante il periodo di transizione e potrà divenire il perno del sistema energetico ibrido elettrico-gas, anche alla luce dello sviluppo dei volumi disponibili di gas rinnovabili (biometano, bioGPL, bioGNL, dimetiletere rinnovabile, idrogeno e metano sintetico) e della spinta per la diffusione di carburanti e combustibili alternativi nei settori energetici, compreso il settore dei trasporti”.
Da qui al 2030, si legge ancora, “il potenziamento delle infrastrutture esistenti e lo sviluppo di nuove iniziative di importazione del gas naturale consentiranno all’Italia di diversificare le proprie fonti di approvvigionamento e potenzialmente di rendere disponibile le nuove risorse anche a beneficio degli altri Paesi europei”. È il progetto, in pratica, di fare dell’Italia un “hub del gas”: un obiettivo da conseguire attraverso la costruzione della Linea Adriatica (in fase di realizzazione da parte di SNAM), i due rigassificatori di Piombino (pronto) e Ravenna (in fase di realizzazione), il potenziamento del TAP e gli ampliamenti dei rigassificatori esistenti.
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Il PNIEC si affida a ENI
Il riferimento precedente ai “combustibili alternativi” è ai biocarburanti, dove addirittura si prevede (uno dei rari casi) di superare gli obiettivi fissati dall’Unione europea: secondo la nascente direttiva RED III la quota dei biocarburanti di seconda generazione, di cui ENI è la principale produttrice in Italia, dovrebbe essere pari al 5,5% al 2030 per gli Stati membri mentre l’Italia prevede di raggiungere la quota del 10% (quasi il doppio).
Non è un caso che nel documento inoltrato alla Commissione si faccia riferimento alle due bioraffinerie Eni di Porto Marghera e Gela (mentre è in fase di valutazione la terza a Livorno). Il ministero sottolinea che “la riconversione delle due raffinerie assicura una produzione attuale di biocarburanti pari ad oltre 750.000 tonnellate che, in prospettiva futura, raggiungeranno 1,1 milioni di tonnellate, soprattutto di biocarburanti avanzati. In questo settore l’Italia vanta una leadership tecnologica importante a livello internazionale e su queste basi si fonderanno le future trasformazioni delle raffinerie italiane”.
Al cane a sei zampe, poi, il governo si affida anche per la contestata tecnologia della cattura e lo stoccaggio di carbonio (ccs), definita come una “tecnologia essenziale” per la decarbonizzazione. Anche in questo caso, così come già sull’hub del gas, l’Italia vuole offrire un servizio per gli altri Paesi, soprattutto Francia e Grecia. “Lo sviluppo di un hub CCUS (Carbon Capture Utilisation and Storage), dove molti emettitori di CO2 possono beneficiare di infrastrutture comuni e di una rete di trasporto transfrontaliera ad accesso aperto è fondamentale perché non tutti gli Stati membri hanno accesso a siti di stoccaggio geologico adeguati” si legge nel PNIEC.
Il progetto principale, manco a dirlo, è sviluppato da Eni: al momento riguarda un impianto pilota a Ravenna che, nelle intenzioni del cane a sei zampe, dovrebbe accrescersi ulteriormente. “Tale capacità di stoccaggio – si legge nel PNIEC – in totale, di oltre 500 milioni di tonnellate derivanti dalla riconversione dei giacimenti a gas “esauriti o in via di esaurimento” nell’offshore dell’Adriatico centrale. In base ai programmi presentati, potrà essere resa disponibile una capacità di stoccaggio pari a circa 100 milioni di tonnellate in venticinque anni derivanti dalla sola applicazione a regime del programma di stoccaggio dell’hub di Ravenna”.
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Il futuro del PNIEC
Se la versione del PNIEC inviata dal governo alla Commissione europea appare insufficiente, non c’è da disperarsi, almeno non eccessivamente. Nel senso che c’è ancora tempo per poter modificare in meglio la bozza del governo. Dopo la revisione della Commissione, infatti, “la proposta di Piano, il rapporto ambientale e una sintesi non tecnica dello stesso saranno messi a disposizione dei soggetti competenti in materia ambientale e del pubblico interessato affinché questi possano esprimersi, nell’ambito del processo di VAS”. Sarà dunque possibile presentare ancora delle osservazioni migliorative, con la speranza però che queste vengano accolte in una maniera più ampia di quanto finora non sia stato fatto.
Altri luoghi di confronto, poi, finora del tutto esclusi, restano il Parlamento e il confronto con le Regioni: istituzioni che infatti, in questi giorni, hanno lamentato l’assenza di coinvolgimento. Forse proprio per questo il documento del MASE prova alla fine a tranquillizzare tutti i futuri interlocutori. “Sulla base delle raccomandazioni della Commissione, i risultati della consultazione avviata in ambito VAS ed il lavoro di ulteriore approfondimento tecnico per la identificazione di misure addizionali in collaborazione con le altre amministrazioni centrali competenti, sentite le regioni e il parlamento, verrà elaborato il testo finale del PNIEC da inviare a giugno 2024” spiega ancora il ministero.
In ogni caso alla fine (dell’executive summary) viene allegata una tabella riassuntiva che riassume obiettivi e risultati che il governo intende raggiungere nei prossimi sei anni, definendo le misure “estremamente sfidanti”:
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