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venerdì, Dicembre 13, 2024

Elettricità al 100% da fonti rinnovabili? Per il rapporto di ECCO è possibile da qui al 2035

Lo studio commissionato da Greenpeace, WWF e Legambiente individua il percorso più economico per garantire sia l’obiettivo di decarbonizzazione sia la sicurezza energetica. "Rallentare la transizione ecologica non ci aiuterà a risolvere la crisi climatica"

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Redazione EconomiaCircolare.com

Produrre elettricità al 100% da energie rinnovabili, in Italia, entro il 2035: è la tesi centrale di uno studio commissionato da Greenpeace Italia, Legambiente e WWF Italia e realizzato dal think tank ECCO e da Artelys. Lo studio – composto da un documento che descrive le ipotesi e il risultato delle simulazioni e da una serie di raccomandazioni alla politica – mostra quali caratteristiche dovrà avere un sistema elettrico italiano decarbonizzato al 2035, con un passaggio intermedio al 2030. In questo lavoro vengono valutati sia i bisogni sia le tecnologie più pronte per soddisfarli. Lo scenario individua inoltre il percorso più economico per garantire sia l’obiettivo di decarbonizzazione sia la sicurezza energetica.

Il lavoro di ECCO e Artelys è stato presentato nella giornata del 12 giugno a Roma, a piazza Montecitorio. Avrebbe dovuto esserci anche il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin, ma il lutto che ha colpito Forza Italia, con la morte del fondatore Silvio Berlusconi, ha fatto saltare la sua presenza. Il governo Meloni, tuttavia, ha mostrato interesse verso il lavoro delle più note associazioni ambientaliste italiane. Un lavoro che ha preso le mosse, in realtà, dagli impegni presi dal precedente governo Draghi in occasione del G7 di Roma del maggio 2022, in cui l’allora premier Mario Draghi si era impegnato a garantire un settore elettrico “in massima parte decarbonizzato” entro il 2035. Ancora più fondamentale se si pensa che nel 2024 la presidenza del G7 toccherà proprio all’Italia.

Possibile? Sì, secondo la ricetta descritta da Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente. “La transizione energetica passa prima di tutto attraverso le rinnovabili, l’efficienza e l’innovazione. Lo studio che abbiamo presentato oggi conferma come le fonti pulite sono la strada giusta da percorrere ma il nostro Paese deve accelerare il passo, velocizzando gli iter autorizzativi, a partire dai nuovi progetti di fotovoltaico ed eolico, accelerando la realizzazione dei grandi impianti, lo sviluppo dell’agrivoltaico, di reti e accumuli, la diffusione delle comunità energetiche e degli impianti di digestione anaerobica, replicando le esperienze virtuose e aprendo tanti cantieri che vanno nella giusta direzione della transizione ecologica. L’Italia ha tutte le caratteristiche per diventare un hub strategico delle rinnovabili, e non del gas come invece vuole il governo Meloni, ma per farlo deve trovare il coraggio di archiviare gli ingenti sussidi alle fonti fossili e deve essere capace di autorizzare in pochi mesi i nuovi impianti a fonti pulite”.

Ma cosa prevede nello specifico lo studio di ECCO e Artelys?

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Servono oltre 90 gigawatt di rinnovabili

A illustrare il rapporto, delineandone prospettive e scenari, è stato Michele Governatori, responsabile per le questioni energetiche di ECCO. “La quota di consumi elettrici aumenta sempre più, sono la parte sempre più grossa dei consumi energetici, e questa quota è quella più matura per la decarbonizzazione – ha detto Governatori – Pensate all’impatto delle pompe di calore nelle nostre case o ad alcune industrie pesanti come l’acciaio. Quando abbiamo ipotizzato il prezzo medio del gas basso, a 25 kw/h, lo abbiamo fatto ben prima della situazione attuale, in cui è a quei livelli. Il gas di transizione in Italia l’abbiamo già fatto. Anche per questo servono meccanismi virtuosi per arginare l’incentivo di Snam (gestore e sviluppatore della rete gas) ad aumentare indefinitamente la dimensione dell’infrastruttura. Occorre evitare che investimenti non necessari in un contesto di domanda di gas in calo severo si riflettano su tasse e bollette future e causino un incentivo alla persistenza di politiche incoerenti con la decarbonizzazione”.

Dallo studio realizzato emergono alcuni aspetti fondamentali:

  • la necessità di un incremento di oltre 90 gigawatt di rinnovabili rispetto alla capacità installata del 2021. Una cifra di poco superiore agli 85 gw già prefigurati da Elettricità Futura, l’associazione delle industrie del settore
  •  l’urgenza di un netto cambio di passo rispetto agli attuali livelli di installazione annua di capacità rinnovabile  (circa 8 volte di più). L’obiettivo è arrivare al 2035 a circa 250 gw di capacità installata rinnovabile (circa 160 nel 2030), per quasi 450 terawatt all’ora di produzione nazionale – (quasi 350TWh nel 2030);
  • l’importanza della flessibilità su diverse scale temporali (giornaliera, settimanale, stagionale), un fatto che richiederà un mix di tecnologie, inclusa la flessibilità della domanda (demand response), accumuli, reti ed elettrolizzatori;
  • la necessità che il contributo della generazione a gas fossile nel 2035 dovrà essere pressoché nullo (54 TWh nel 2030). Gli  impianti di generazione termoelettrica che saranno ancora attivi a quella data dovranno essere alimentati con idrogeno e biogas

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Come passare a un sistema 100% rinnovabili?

Lo scenario delineato da ECCO è affascinante ma, nell’Italia di oggi, appare difficilmente realizzabile, se non utopistico. Negli scorsi giorni il ministro Fratin, ospite al festival di Green&Blue, si era lanciato in una previsione che è apparsa fin troppo ottimistica. “L’obiettivo – ha detto – è quello di ribaltare il rapporto attuale sull’energia: oggi due terzi vengono dai combustibili fossili e uno dalle rinnovabili; nel 2030 dovrà essere il contrario, con il gas che ci accompagnerà fino al 2050”.

Se da una parte il governo Meloni accelera sul gas (prova ne sia il rigassificatore di Piombino, autorizzato e realizzato in tempi record, e quello di Ravenna che verrà avviato nel 2024), dall’altra sul fronte delle rinnovabili si assiste a una lentezza inequivocabile: dal decreto attuativo sulle comunità energetiche, annunciato da mesi e ancora in fase di ridefinizione, a quello sull’agrivoltaico (finora sono attive le linee guida che, a detta). Senza contare che il desiderio del ministero è quello di non escludere nessuna fonte di energia, all’insegna della diversificazione. Lo studio di ECCO, invece, sceglie di prendere una decisione e, soprattutto, di trarne delle conseguenze. Lo scenario tratteggiato:

non prevede alcun ricorso al Carbon Capture and Storage (CCS), vale a dire la cattura e lo stoccaggio di carbonio, che viene definita una “tecnologia eccessivamente onerosa e dipendente da sinergie con la filiera di petrolio e gas”;

pone limiti alla quantità di energia importata, allo scopo di “evitare che il sistema, anche in coerenza con gli obiettivi di sicurezza energetica, si affidi eccessivamente ad approvvigionamenti energetici dall’estero;

presuppone il raggiungimento di un livello di investimento in batterie non inferiore alle stime fatte dai gestori di rete europei;

pone un tetto alla capacità di generazione elettrica da biomasse

considera una sufficiente produzione di idrogeno verde per l’industria: ridimensionando, dunque, le prospettive di chi, come le industrie fossili, vorrebbe passare dal gas all’idrogeno

Primo obiettivo? Un PNIEC al passo coi tempi

Affinché il sistema elettrico decarbonizzato al 2035 sia fattibile al costo più basso possibile, scrive ECCO, saranno necessarie alcune politiche abilitanti:

  • coerenza del Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) con gli obiettivi di decarbonizzazione e incremento rinnovabili e loro monitoraggio;
  • interventi nel processo autorizzativo degli impianti rinnovabili e delle infrastrutture abilitanti;
  • applicazione del nuovo dispacciamento elettrico con integrazione di tutte le fonti di flessibilità (incluse demand response tramite aggregatori e fonti rinnovabili non programmabili);
  • facilitazione della diffusione dei contratti di lungo termine di commercializzazione dell’energia di nuovi impianti rinnovabili;
  • abilitazione dell’efficienza energetica e della demand response dei consumatori (industriali, commerciali, domestici) attraverso prezzi dinamici e segnali coerenti in bolletta che includono l’eliminazione di sussidi alle energie fossili;
  • aggiornamento del sistema di incentivi ai gestori di rete al fine di valorizzare le risorse di flessibilità distribuite e di responsabilizzare i distributori;
  • Eliminazione investimenti nel sistema elettrico incoerenti con la decarbonizzazione.

La prima tappa in cui si potrà verificare concretamente quanto le politiche del governo Meloni siano allineate con le istanze delle associazioni ambientaliste è la stesura del PNIEC, atteso entro il 30 giugno. Da qui parte l’analisi di Giuseppe Onufrio, direttore di Greenpeace Italia.

“Già il vecchio PNIEC era incentrato eccessivamente sul gas – ha commentato Onufrio –  L’Italia è l’unico Paese al mondo in cui la visione delle associazioni ambientaliste e quella dell’industria elettrica quasi si sovrappone. La nostra analisi di scenario non indica le possibilità di lavoro, perché anche le associazioni ambientaliste hanno dei limiti, ma queste potenzialità sono state tracciate dall’industria elettrica. Rallentare la transizione ecologica non ci aiuterà a risolvere la crisi climatica, è un suicidio, bisogna invece fare delle politiche attive per sostenere la transizione energetica”.

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