“Quando il clima che cambia ci spaventa dovremmo leggere i due volumi dell’IPCC sulla mitigazione e sull’adattamento. In quei documenti da migliaia di pagine ci sono tutte le soluzioni che possiamo mettere in campo già oggi. E l’unico motivo per cui dovremmo arrabbiarci è che non le stiamo ancora attuando seppure siano alla portata di tutte e tutti”.
Clara Pogliani è portavoce del collettivo Ci sarà un bel clima. E già dalle sue parole si comprende come l’approccio del collettivo di cui fa parte, nato a settembre 2020 e che si propone di “fare rete contro il collasso climatico”, sia in parte diverso rispetto alle realtà che da più tempo fanno attivismo climatico. Il loro, infatti, è un approccio propositivo. Nella descrizione che fanno di sé sul proprio sito si legge che “siamo un collettivo di attivisti climatici convinti che la chiave della transizione ecologica stia nella comunicazione e nel contatto, nella diffusione di messaggi onesti e responsabili, nella creazione di sentimento di coesione e positività”.
E forse proprio per questo hanno avuto il coraggio, o l’ardire, di lanciare gli Stati Generali dell’Azione per il Clima. Lo scopo è quello di “raccogliere, rafforzare e sostenere le voci dell’attivismo climatico italiano”. Durante l’estate è partita la chiamata alle adesioni dei diversi gruppi di attivismo climatico e ambientale operanti sul territorio nazionale. Mentre dall’1 al 3 settembre si terrà la prima assemblea dal vivo delle aderenti e degli aderenti, ospitata all’interno di “Campo Base”, festival dedicato alla montagna, alla natura e alla vita all’aria aperta ad Oira, in Val d’Ossola.
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Dagli Stati generali a una proposta per il clima
Se si va a guardare il progetto degli Stati generali – per la cui descrizione il collettivo Ci sarà un bel clima impiega quattro pagine – si nota che l’orizzonte temporale è molto ampio. In seguito all’assemblea dal vivo nei primi giorni di settembre si dovrebbe elaborare “un documento fondativo che riunisca in sé quanto l’attivismo italiano ha svolto fino a oggi e determini quali sono i temi chiave condivisi per attuare la transizione in Italia”. Successivamente da ottobre a dicembre 2023 ci sarà un periodo di auto-formazione, da svolgersi online; da gennaio a marzo 2024 si creeranno dei gruppi di lavoro (sempre online) e ad aprile 2024 un’assemblea finale, da tenersi in “una città ben connessa durante un fine settimana”, con lo scopo di far diventare gli Stati generali “un soggetto permanente di decision-making per l’attivismo italiano”.
L’ambizione c’è, insomma, ed è tanta. Soprattutto perché nel frattempo, all’aumento della forza dirompente della crisi climatica, almeno in Italia corrisponde un aumento delle resistenze a fronteggiare i problemi. Perché la crisi climatica è una crisi di sistema e, soprattutto in Italia, il capitalismo fossile che ci ha condotto al collasso attuale sta facendo di tutto per non cambiare, rispondendo attraverso operazioni di puro maquillage o di greenwashing. Ne è consapevole anche Clara Pogliani.
“Non c’è possibilità di interlocuzione col governo sulla crisi climatica – dice la portavoce del collettivo Ci sarà un bel clima – È una tendenza che c’era già stata col governo Draghi e che si è accentuata poi col governo Meloni. Se con il Covid, infatti, la speranza era di uscirne migliori, almeno sul clima, al momento, questa speranza si è dissipata”. Il lancio degli Stati generali dell’azione per il clima, dunque, giunge proprio in uno dei periodi più complessi e, proprio per questo motivo, appare ancora più necessario.
Oltre all’appello generale, nell’estate della negazione climatica (o dello scetticismo) da parte del governo, il collettivo Ci sarà un bel clima sta inoltrando una serie di inviti alle singole realtà che sono consapevoli invece dell’urgenza di agire. Rispetto alle previsioni, che indicavano una cinquantina di adesioni, si è andati già oltre e ci si sta organizzando per consentire a chiunque la partecipazione senza che i numeri in aumento possano offuscare la possibilità per ciascuna e ciascuno di contribuire al dibattito. Le realtà ambientaliste, poi, si conoscono da tempo e finora i tentativi di convergenza su singoli temi, che siano il clima o le politiche energetiche, hanno dato esiti infruttuosi. Le collaborazioni ci sono, chiaramente, ma nell’inevitabile diversità di soluzioni che si possono immaginare il rischio è quello di dover affrontare degli stalli o, peggio ancora, delle rotture. Specie perché l’unanimità è la più democratica delle condivisioni ma anche la più difficile da ottenere. Per questo motivo il collettivo Ci sarà un bel clima intende ricorrere all’apporto di figure professionali come quelle dei facilitatori.
“Il nostro obiettivo sin dalla fondazione del collettivo si esprime su due piani – riflette ancora Pogliani – Da un lato quello di proporre una comunicazione sulla crisi climatica che sia più ottimista, nel senso che preferiamo focalizzarci sulle necessità, sui desideri e sulle possibilità; dall’altro vogliamo far rete tra le tante realtà che si occupano di clima in Italia. In realtà questa seconda parte dell’obiettivo si è rafforzata quando ci siamo resi conto, non appena abbiamo cominciato le nostre attività, è che in Italia ci sono tante realtà che, nonostante la comunanza dei temi, a volte non si parlano o non ci conoscono. Noi come collettivo vogliamo fare da collettore e da supporto. Allo stesso tempo, in generale, lo scopo degli Stati generali per il clima è di costruire un processo collaborativo, partecipativo e comune, per mettere insieme un elenco di proposte sul clima che sia una risposta all’inazione climatica delle istituzioni”.
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Quanto spazio c’è per l’ottimismo sul clima in un’epoca di crisi?
D’altra parte i segnali poco incoraggianti sul clima arrivano non solo dall’Italia, basti pensare alla prossima Cop28, il negoziato annuale dell’Onu sul clima, che si terrà a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, in uno degli Stati dove più forte è l’incrocio perverso tra economia fossile e autoritarismo statale. Tanto che persino il movimento per la giustizia climatica, dopo anni di promesse mancate e di delusioni cocenti, sta pensando addirittura di boicottare l’evento. Resta allora la domanda: che spazio c’è per l’ottimismo sul clima in un’epoca di crisi?
“Il movimento ambientalista è sempre stato molto bravo, specie dal 2018 in poi, a porre l’accento sull’urgenza e sul reale pericolo che comporta un aumento generale delle temperature – dice Clara Pogliani, attivista di Ci sarà un bel clima – Il motore comunicativo nei primi messaggi era appunto questo, penso per esempio al richiamo di Greta Thunberg nel gennaio 2019 ai grandi della Terra che si riunivano a Davos, quando disse loro i want you to panic. Questa cornice, chiaramente, deve restare perché indica chiaramente l’urgenza dell’azione. E allo stesso tempo, però, si deve cominciare a lavorare sulla prospettiva di un futuro migliore”.
A tal proposito Pogliani cita l’esempio della guerra in Ucraina e delle successive politiche energetiche intraprese dall’Europa, quando il Vecchio Continente si è “scoperto” eccessivamente dipendente da uno Stato autoritario e fossile come la Russia. “In questi mesi ci sono state un sacco di politiche pubbliche in Europa, e anche in Italia, che hanno attutito i costi delle bollette troppo alte per via dei prezzi stratosferici del gas. Seppure i governi abbiano preferito agire sugli effetti del problema, e non sulle cause, ciò ha testimoniato che ci sono margini per costruire una transizione ecologica che sia giusta ed equa. E pensiamo agli strumenti, che già ci sono, che si possono mettere in campo per costruire un benessere sociale diffuso. Penso alle comunità energetiche, ad esempio, che non solo consentirebbero di ridurre le emissioni ma darebbero alle persone un modo concreto per risparmiare e avere più soldi in tasca”.
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