[di Viola Giannoli]
A Testaccio il laboratorio romano dove rifugiati e disoccupati danno al legno (e alle loro vite) un nuovo futuro: K_Alma, progetto sperimentale di falegnameria sociale.
Sinossi
K_alma è un’associazione nata nel 2016 che ha avviato lo scorso anno a Roma a un progetto sperimentale di falegnameria sociale mirato alla formazione, all’integrazione e all’inserimento lavorativo di migranti e richiedenti asilo, insegnando loro una professione e favorendo un’inclusione positiva nel tessuto sociale e professionale della capitale. L’attività, coordinata da volontari attivi da anni sui temi dell’immigrazione e dei diritti umani e da falegnami professionisti che si sono messi a disposizione per tramandare il mestiere artigiano, è aperta anche alle fasce vulnerabili della popolazione come i disoccupati e gli inoccupati. Attualmente sono una quindicina i ragazzi provenienti da Nigeria, Senegal, Congo, Camerun e ospitati nei centri di accoglienza della capitale che frequentano il laboratorio aperto tre volte a settimana. Riutilizzando e dando nuova forma al legno proveniente da scarti di falegnameria, realizzano mobili e arredi per committenti pubblici (associazioni, musei, teatri) e singoli cittadini. I ricavi della prima vera linea di prodotti in vendita firmata K_Alma, lo “Sgabello bello bello”, andranno direttamente agli aspiranti falegnami, una forma di reddito iniziale da cui ripartire per immaginare una nuova vita.
Rasheed indossa un paio di cuffie antirumore e la mascherina calata sul volto mentre scorre il legno sulla sega circolare. I trucioli annebbiano l’aria, negli ex bagni del Villaggio Globale, Testaccio, Roma, recuperati e trasformati lo scorso anno in una piccola falegnameria sociale. Si chiama “K_alma” che in lingua Hausa, uno degli idiomi più diffusi in Africa, vuol dire “parola”; con quel trattino in più, a separare consonante e vocale, rimanda anche all’anima. L’anima del legno, i suoi nodi, le sue venature; l’anima come movimento, come vita. Ed è qui, in questo laboratorio artigiano palestra d’integrazione, che si prova a rigenerare l’uno e l’altra: a dare una seconda possibilità a tronchi, ciocchi, piani e a immaginare un futuro per rifugiati e richiedenti asilo, disoccupati e inoccupati.
Il progetto è nato due anni fa, nel 2016, quando la presidente dell’associazione, Gabriella Guido, è volata a Berlino per conoscere “Cucula”, una start-up di migranti che unisce design, inserimento sociale e formazione. Un business solidale che ha ispirato l’officina romana. “Mi sono sempre occupata di diritti umani, ma amo il legno da una vita: era arrivato il momento di unire due passioni – spiega Gabriella – Un conto è fare iniziative politiche, un altro è offrire occasioni reali di inclusione lavorativa a chi ne ha bisogno”. A questa vocazione pratica si è aggiunta la teoria della pedagogia del desiderio di Paulo Freire, un modello alternativo di recupero sociale che nasce con l’obiettivo di restituire dignità e speranza a chi non ha più nulla da perdere facendo leva sulla voglia di vivere, la fiducia, il desiderio, appunto.
Per dare forma ai sogni e tramandare un mestiere, Gabriella ha cercato a lungo un luogo adatto. Nel maggio del 2017 ha trovato il Villaggio Globale, cooperativa di attivisti, artisti, scenografi, fumettisti, sarti. “Non è un caso che la falegnameria sia nata qui – racconta – È uno dei pochi spazi di coesione sociale rimasti in una città sempre più respingente, che svolge attività di supplenza come la nostra”.
I ragazzi che lavorano in falegnameria arrivano dai Cas, i centri di accoglienza straordinaria, e dalle strutture dello Sprar, il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati. “Sono i centri stessi a mettersi in contatto con noi – spiega Gabriella – perché non sono in grado di garantire attività lavorative e di inserimento”. In un anno da K_alma ne sono passati una quindicina, ma i numeri della Prefettura danno la misura di quante “factory” ci sarebbe bisogno: Roma accoglie 8500 richiedenti asilo, sui 170mila di tutta Italia, a cui vanno aggiunti coloro che restano fuori dai circuiti di assistenza ufficiali – stimati in altri 9mila – e vivono in palazzi occupati o per strada.
Rasheed è uno di loro. A 28 anni è arrivato a Roma dalla Nigeria, è passato dai centri di accoglienza e poi è finito nell’occupazione di via Vannina, alla periferia est della città. In attesa di chiedere nuovamente il permesso di soggiorno, grazie a K_alma ha trovato un luogo dove apprendere le basi della falegnameria e un alloggio a casa di un cittadino romano che si è offerto di ospitarlo. Poi c’è Moustapha che viene dal Camerun, Carfà che è arrivato in Italia dalla Guinea Bissau ancora minorenne, Bass che è partito dal Gambia per attraversare il Mediterraneo. Altri vengono dal Mali, dal Senegal, dal Congo o dall’Egitto. Parlano un po’ di francese, di inglese e di italiano, e dove non arriva la lingua s’intendono a gesti, tutti attorno a un tavolo a immaginare mobili e futuro.
“Citando Enzo Mari, uno dei più importanti designer italiani – dice Gabriella – ‘tutti dovrebbero progettare per evitare di essere progettati’. Il lavoro perciò è fondamentale, serve a capire che un circuito legale è possibile perché spesso, per sopravvivere, per mangiare, si è costretti a intraprendere strade sbagliate, a finire nelle mani della criminalità”.
Non solo. Due ragazzi, giovanissimi, sono vittime di tortura: per loro la falegnameria è una terapia parallela che li aiuta a concentrarsi su qualcosa di concreto, a fare gruppo.
Bisogna vincere le resistenze iniziali, poi ciascuno di loro racconta la sua storia: James, ad esempio, viene dalla Nigeria, suo padre faceva il saldatore, per questo si è avvicinato alla falegnameria. Ora, grazie all’insegnante di italiano del centro di accoglienza che ha scoperto il suo talento, decora a mano alcune sedute dello “Sgabello bello bello”, la prima linea di prodotti firmati K_Alma preparati per il “Fuori Salottino”, sezione “off” del Salone del Mobile di Milano, e destinati al sostegno economico diretto degli aspiranti falegnami. A rivestirli con coloratissime stoffe africane c’è anche Leandro, un giovane romano licenziato dopo 11 anni in fabbrica, che si è reinventato tappezziere.
Già, perché il progetto è aperto a tutti, anche a chi un lavoro lo ha perso o non lo ha mai trovato. Nella provincia di Roma, secondo l’Istat, sono 191.353 i disoccupati e 836.599 gli inattivi tra i 15 e i 64 anni. In tutta Italia schizzano a 2milioni e 865mila le persone in cerca di lavoro e a 13milioni e 262mila gli inattivi.
K_Alma è una goccia in mezzo al mare, ma per alcuni è una goccia preziosa. Daniele ha 40 anni, soffre di disturbi psichici e qui ha trovato un ambiente “non ostile”, uno spazio di libertà assoluta in cui stare insieme ad altra gente e dare sfogo alla propria espressività.
Oltre ai volontari, al progetto collaborano tre falegnami: sono i capi bottega che insegnano ai ragazzi a lavorare il legno, a riconoscerlo, a usare i macchinari in sicurezza. Edoardo è un mastro umbro, ha ereditato il mestiere dal padre che a sua volta l’ha imparato dal nonno. E’ stato il primo, assieme agli architetti di B.A.G., altra importante esperienza di economia circolare, a far prendere confidenza ai migranti con trapani, avvitatori e piallatrici per auto-costruire la falegnameria. A lui si sono poi aggiunti Marco ed Enrico, che di professione fa l’insegnante in una scuola media a Garbatella ma dedica due pomeriggi a settimana all’associazione.
“Avere qualcosa da fare è importante, sia per i ragazzi che per coloro a cui possono offrire manodopera. C’è bisogno di artigiani” dice Edoardo.
Sembra un paradosso visto che è uno di quei mestieri che sta lentamente ma inesorabilmente sparendo. Stando ai dati della Cgia, nel Lazio hanno chiuso 1265 imprese artigiane tra 2016 e 2017; più di 5mila negli ultimi 8 anni. Nello stesso lasso di tempo in tutta Italia ne sono sparite 145mila con una perdita di quasi 400mila posti di lavoro. A pagarne le spese, dopo gli autotrasportatori, sono stati i falegnami (-27,7%). “Colpa della crisi, dell’impennata degli affitti dei locali, della burocrazia e delle politiche commerciali sempre più mirate e aggressive della grande distribuzione” spiega Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia. Eppure anche in una società contemporanea letti, tavoli, poltrone restano arredi indispensabili dell’abitare e della collettività. Una possibilità è quella di rivolgersi allora al commercio online, che anche in Italia sta entrando in una fase di maturazione e consolidamento.
Imparare un mestiere, infatti, non basta. Bisogna trasformarlo in lavoro e da qui in reddito. La prima paga per gli aspiranti falegnami arriverà dalla vendita degli sgabelli, pezzi unici anche nelle loro imperfezioni. Fin qui è stata tutta opera volontaria, anche per cooperanti e mastri. “Non abbiamo accesso ad alcun finanziamento – racconta ancora Gabriella Guido – Ci sosteniamo con i nostri sforzi”. E i costi non mancano.
Il legno utilizzato proviene per la maggior parte da scarti di falegnameria, ma qualche volta, per soddisfare particolari richieste, dev’essere acquistato. Un’idea è di avviare una collaborazione con i consorzi di recupero della materia prima come Rilegno e con Ama, che nel 2017 ha raccolto 16.128 tonnellate di legno (il 45% in più dell’anno precedente).
Oltre all’affitto seppur sociale dell’officina, l’associazione garantisce inoltre spostamenti, pasti, trasferte e copertura assicurativa. Per le attrezzature è stato lanciato un crowdfunding di pochi mesi grazie al quale sono stati raccolti 1200 euro. Poi ci sono le donazioni di privati e i lavori su commissione: c’è chi chiede un’anta per la cucina, chi una sedia a dondolo, chi una lampada, chi ancora una libreria.
I primi lavori pubblici sono stati realizzati per l’Anpi (con la realizzazione di alcuni pannelli per una mostra sui partigiani), Casetta Rossa (sedie e tavoli per la Festa dell’Altra Estate di Garbatella) e il Museo nazionale preistorico etnografico Luigi Pigorini (l’allestimento dell’esposizione “The making of a point of view”).
“Sarebbe importante assegnare anche delle borse lavoro – aggiunge Gabriella – affiancando alla formazione piccole start-up con la sicurezza di un contributo economico minimo”. Intanto si lavora su più fronti. Ai ragazzi vengono rilasciati certificati di frequenza per dimostrare il loro inserimento in un percorso legale di integrazione. Purtroppo non si può ancora parlare di attestati veri e propri: per questo K_Alma vorrebbe sviluppare con la Regione Lazio un progetto per la formazione lavorativa. “Abbiamo attivato anche relazioni con gli sportelli lavoro affinché il periodo in falegnameria possa essere il preludio a un colloquio in azienda o in bottega” conclude Gabriella.
Se nell’immediato l’obiettivo è di aprire la falegnameria più giorni a settimana per ampliare le attività e accogliere altri migranti e disoccupati, sul lungo periodo l’idea è alta: dismettere le pratiche dell’assistenzialismo e di governance della povertà, consentendo a ognuno l’indipendenza e l’autodeterminazione.
Il motto di K_alma racchiude il sogno forse utopico di questa falegnameria sociale e il desiderio degli aspiranti falegnami di ricominciare da un piccolo pezzo di legno. È la frase che James racconta di aver detto la prima volta che ha visto all’opera una stampante 3D: “Pensavo fosse impossibile, invece è possibile”.