[di Francesco Carbini]
“Le nostre scelte informate imporranno nuove disposizioni per gli ingegneri, i chimici e gli inventori di domani.” (Daniel Goleman – Intelligenza ecologica)
Sinossi
Nella società del consumo che si regge su logiche frenetiche di sostituzione di un prodotto, il tema dei rifiuti si fa pressante e ha bisogno di una soluzione nel breve periodo.
In questo contesto si inserisce il progetto Reware che dona un’opportunità a vecchi pc, regalando una prospettiva migliore alle nuove generazioni, in termini di formazione, di nuove figure professionali e di un mondo meno invaso da rifiuti.
Si tratta certamente di un piccolo esempio le cui dimensioni ridotte però non limitano il suo emblema virtuoso: un’economia che ripensa il destino di un prodotto, ne moltiplica l’utilizzo e ne riduce l’impatto ambientale. Un ‘economia circolare.
Nel mondo sta crescendo la domanda di articoli elettronici e, di conseguenza, la produzione di montagne di rifiuti pericolosi.
Il proliferare di siti di acquisti on-line rende ancora più “allettante” comprare un dispositivo tecnologico perché è più facile trovarlo a buon mercato e sceglierlo tra una vasta gamma di offerte. Si pensi poi agli effetti del Black Friday e del Cyber Monday, in cui la maggior parte degli acquirenti non ha una reale esigenza del prodotto, e, molto spesso, utilizzerà solo il 20% delle potenzialità del modello prescelto, tutto pur di fare l’acquisto dell’anno!
La sostituzione di un apparecchio elettronico si effettua dunque con sempre maggior frequenza e ciò che si ritiene obsoleto si accumula. Ad esempio quanti cellulari abbiamo cambiato nell’arco di dieci anni? In quanti casi ne era davvero necessaria la sostituzione? E che fine hanno fatto quelli sostituiti?
Purtroppo sempre più rifiuti elettronici riempiono le case, le cantine e i garage, oppure le discariche dove spesso sono smaltiti o inceneriti. Una buona parte viene anche esportata, in certi casi illegalmente, per finire in discariche incontrollate in Africa o in Asia (fonte Greenpeace).
Le stime dell’ONU sono di 30-50 milioni di tonnellate di rifiuti tecnologici prodotti ogni anno, contenenti sostanze tossiche con serie ripercussioni sulla salute umana; basti solo pensare alla presenza di mercurio e di piombo.
Le cifre sono impressionanti e l’impatto ambientale devastante. I siti inquinati si moltiplicano e le ripercussioni sono visibili già nel breve periodo. Lo avevamo sempre sospettato, ma ora perché non proviamo a cambiare qualcosa?
E’ quello che tenta di fare una piccola cooperativa nella “silicon valley” capitolina, nei pressi della via Tiburtina, a due passi dalle grandi multinazionali dell’elettronica e dai colossi industriali.
Reware, una sorta di crasi tra “recycle” e “ware”, ovvero riutilizzare della merce. E’ una cooperativa senza scopo di lucro, specializzata nel dare nuova vita proprio ai pc dismessi dalle grandi aziende.
Animati da un forte spirito civico, sociale e ambientale, Giuliano, Maori, Nicolas e Paolo – i titolari della cooperativa – “sottraggono” ogni giorno questi computer al destino della discarica, li rigenerano con un nuovo sistema operativo e li affidano alle scuole. Si tratta del “progetto Re-School”, accordo di partenariato tra Legambiente Lazio e la Cooperativa Reware, esempio emblematico per le nuove generazioni perché rappresenta un’azione concreta per il tessuto cittadino.
In periodi di austerità e tagli alla spesa pubblica, quest’idea ha permesso ad alcune scuole ed ai loro studenti di dotarsi di computer adeguati per mantenere la didattica al passo con i tempi della società dell’informazione e della digitalizzazione. Ma il programma è anche un’operazione di educazione ambientale molto efficace che permetterà alle ragazze e ai ragazzi che ne beneficeranno di scoprire quanto le pratiche virtuose del riutilizzo possa ridurre la produzione di rifiuti e il conseguente insorgere di gravi malattie tra i cittadini del mondo.
Grazie alle competenze tecniche sviluppate negli anni, l’attività ideata da Reware si è diffusa aumentando il riutilizzo, non solo nelle scuole, ma anche tra i privati che ora possono scegliere se acquistare i pc rigenerati o se far riparare i propri. Tale impegno permette di prolungare significativamente la vita utile della maggior parte dei computer.
E’ una soluzione sostenibile nel senso più stretto di un’economia circolare: la vendita dei pc rigenerati copre i costi di recupero e dei dipendenti, riduce gli scarti e tutela l’ambiente. Sarebbe ancora più efficace se già in fase di concepimento si pensasse al riutilizzo del pc.
Il ciclo di vita di ogni sistema tecnologico infatti è uno dei requisiti base della progettazione ed ha una grande variabilità. Tant’è che nell’arco di un secolo si è passati dalla consuetudine degli inizi del ‘900 di riparare gli oggetti a quella contemporanea di sostituire l’intero apparato ai primi segni di cedimento. In questo lasso di tempo le aziende hanno introdotto l’obsolescenza programmata così da governarne la rapida sostituzione dei prodotti, anche puntando sui consumatori, instillando loro il desiderio di possedere qualcosa di più aggiornato prima del necessario.
Un’economia circolare che prevede invece la progettazione del riutilizzo di un computer, non solo protegge il tessuto industriale e il pil, ma riduce anche i costi da destinare alla salute. Si creano nuove figure professionali e il settore avrebbe la possibilità di una crescita più lenta ma continua.
Con questo pensiero nella testa mi sono appassionato al progetto Reware e ho deciso di incontrare i titolari, per porre loro una serie di domande a cui hanno risposto con grande semplicità ed entusiasmo:
In quale occasione è nata Reware? Qual è stata la spinta?
“Reware nasce nel gennaio 2013 dalla nostra esperienza all’interno della Cooperativa Binario Etico, [..]dove facevamo lo stesso lavoro dal 2007.
Praticamente negli anni ci siamo specializzati e, a fine 2012, abbiamo deciso di fare uno “spin off” che si occupasse solo di rigenerazione e che fosse riconosciuto come Impresa Sociale per il suo ruolo nel campo della prevenzione ambientale.”
Quanti PC avete “rigenerato” fino ad oggi?
“Sfortunatamente non abbiamo una contabilità puntuale dei singoli pc rigenerati perché ci sono diverse attività che la rendono difficile da quantificare.[..]Per esempio come distinguere le operazioni che facciamo sui pc che possono definirsi “rigenerative” e quali no? Reinstallare il sistema operativo? Aggiungere Ram o mettere un disco SSD? Far girare un antivirus?
Nonostante queste difficoltà, un po’ di dati numerici li puoi trovare nel bilancio sociale 2016 presente sul sito.”( Nel 2016 sono state rigenerate 8,7 tonnellate di apparecchiature elettroniche, circa il 60% in più rispetto al 2015)
Il progetto richiede nuove figure professionali?
“Il progetto richiede un ibrido di competenze non comune, spesso estrapolate da figure professionali già esistenti. Lo scorso anno abbiamo partecipato proprio alla definizione del profilo formativo-professionale della nostra attività e al suo riconoscimento istituzionale.”
Nel vostro sito si cita l’attività di consulenza che fate nelle aziende, in cosa consiste nello specifico? A tenere più a lungo i pc?
“Anche, ma non solo. La consulenza serve anche ad aiutare le aziende a costruire progetti di dismissione volti al riutilizzo delle macchine, e non allo smaltimento, e copre diversi ambiti: dalla normativa ambientale sui R.A.E.E. (Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche) alla consulenza in materia di cancellazione sicura dei dati, dal supporto alla componente amministrativa di questo tipo di progetti, alla migliore individuazione di destinatari bisognosi.”
Dei pc aziendali cosa si salva e cosa invece va smaltito?
“Solitamente qualunque computer che abbia otto anni o meno viene rigenerato facilmente. Si scartano e vanno smaltiti componenti non funzionanti e, ovviamente, tutte le macchine più vecchie (dalle quali tuttavia si possono estrarre alcuni componenti utili, quali ram, dischi e schede).”
Se doveste suggerire ai produttori come progettare i PC per facilitarne il riutilizzo, cosa gli consigliereste?
“Mmm, questa cosa meriterebbe uno studio approfondito. Elenco comunque alcune caratteristiche che rendono un PC difficilmente rigenerabile: componenti (ram e dischi) saldati sulla scheda madre di alcuni portatili che impediscono la riparazione in caso di rottura o il potenziamento. Scocche di portatili di plastica fragile, la cui sostituzione è antieconomica. Utilizzo di processori dalle scarse prestazioni che fanno del pc un oggetto che diventa velocemente obsoleto.”
Al termine della piacevole chiacchierata, Nicolas mi fa notare che esiste un altro Reware nel mondo: è una piccola società sudafricana e non ha nulla a che fare con loro, ma ne condivide lo stesso nome e gli stessi obiettivi, cioè ricollocare uno strumento tecnologico e ridurre gli sprechi. Nel caso sudafricano si parla di cellulari che vengono rimessi in circolo “connettendo” persone che altrimenti rimarrebbero confinate nella periferia del mondo.
A questo punto, quel pensiero iniziale che mi aveva fatto avvicinare a questo progetto ha preso incredibilmente un respiro più ampio e si è trasformato nel desiderio che, da qui a qualche anno, ci possano essere tante Reware sparse nel pianeta, così forti da educare tutti i cittadini a scelte più sostenibili. Il mio augurio è che benessere e spreco non siano più le facce della stessa medaglia e che il futuro delle nuove generazioni sia ad impatto zero.