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venerdì, Novembre 15, 2024

Tra i Paesi che vogliono salvare la legge sulla natura non c’è l’Italia

La lettera di 11 Paesi membri dell’Ue per salvaguardare la Nature Restoration Law si rivolge a chi più si oppone al regolamento che intende garantire il ripristino degli ecosistemi degradati. In prima fila tra i contestatori c’è il governo italiano. Gli interessi economici vengono prima di quelli ambientali?

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Redazione EconomiaCircolare.com

Ripristino della natura? No, grazie, meglio tutelare gli interessi economici che quelli ambientali – come se i due diritti, tra l’altro, fossero in conflitto. È, in sintesi, la posizione assunta dal governo Meloni in merito alla legge sul ripristino della natura (Nature Restoration Law), il regolamento che mira a garantire il ripristino degli ecosistemi degradati in tutti i Paesi dell’Unione Europea. Da almeno un anno il ministero dell’Ambiente si è schierato a sorpresa contro una delle architravi del Green Deal europeo, o di quel che ne resta, definendo il provvedimento “inapplicabile e non sostenibile”.

Così non sorprende l’assenza del nostro Paese dall’appello lanciato da 11 Stati membri dell’Ue – dall’Irlanda alla Germania passando per la Francia, la Spagna, la Repubblica Ceca, il Lussemburgo, la Lituania, l’Estonia, la Danimarca, la Slovenia e Cipro – che lo scorso 13 maggio hanno inviato una lettera indirizzata alla presidenza belga dell’Ue e agli altri Stati membri. Nella quale chiedono di sbloccare l’impasse politica sulla legge sul ripristino della natura al prossimo Consiglio Ambiente del 17 giugno a Lussemburgo.

Un ultimo, disperato, tentativo affinché il discusso regolamento non ricada definitivamente tra le materie di discussione delle rinnovate istituzioni europee che emergeranno dopo il voto del 6-9 giugno. Per dirla più chiaramente: meglio che a discutere del regolamento non siano la destra e l’estrema destra che, secondo molti sondaggi, si apprestano a conquistare Bruxelles e Strasburgo. E che già hanno fatto intendere la propria posizione contraria a qualsiasi ambizione ambientale e climatica.

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Cosa prevede la legge sul ripristino della natura

Prima di addentrarci nel merito della lettera e della posizione dell’Italia, è utile fare un riassunto delle puntate precedenti. La proposta di regolamento (dunque una norma applicativa al momento dell’entrata in vigore) è stata presentata dalla Commissione nel giugno del 2022. Il punto di partenza era la constatazione che oltre l’80 % degli habitat europei versano in cattive condizioni, con zone umide, torbiere, pascoli e dune tra gli habitat più colpiti.

Per questo motivo la Commissione aveva pensato alla formula del regolamento, immediatamente applicabile senza “interpretazioni” da parte degli Stati membri (così come accade con le direttive), e aveva inserito obiettivi giuridicamente vincolanti per il ripristino della natura, a integrazione delle normative esistenti. Forse immaginando già le contestazioni del mondo agricolo, la Commissione affermava che “il ripristino non preclude l’attività economica. Il ripristino consiste nel vivere e produrre insieme alla natura, riportando una maggiore biodiversità ovunque, anche nelle zone in cui si svolge un’attività economica, come ad esempio le foreste gestite, i terreni agricoli e le città”.

Nonostante le cautele la legge sul ripristino della natura è stata sempre osteggiata in questi due anni, soprattutto dal mondo agricolo e dal sistema produttivo, che hanno criticato soprattutto alcune misure:

  • entro il 2030 gli Stati membri dovranno ripristinare il buono stato di salute di almeno il 30% degli habitat contemplati dalla nuova legge (che vanno da foreste, praterie e zone umide a fiumi, laghi e coralli). Questa percentuale aumenterà poi al 60% entro il 2040 e al 90% entro il 2050;
  • i paesi dell’UE dovranno garantire che le zone ripristinate non tornino a deteriorarsi in modo significativo. Inoltre, dovranno adottare piani nazionali di ripristino che indichino nel dettaglio in che modo intendono raggiungere gli obiettivi;
  • per migliorare la biodiversità negli ecosistemi agricoli, i paesi dell’UE dovranno registrare progressi in due di questi tre indicatori: indice delle farfalle comuni; percentuale di superficie agricola con elementi caratteristici del paesaggio con elevata diversità; stock di carbonio organico nei terreni minerali coltivati. Dovranno anche adottare misure per migliorare l’indice dell’avifauna comune, dato che gli uccelli sono un buon indicatore dello stato di salute generale della biodiversità;
  • gli Stati membri dovranno inoltre ripristinare almeno 25.000 km di fiumi, trasformandoli in fiumi a scorrimento libero, e garantire che non vi sia alcuna perdita netta né della superficie nazionale totale degli spazi verdi urbani, né di copertura arborea urbana.

natura 2

La protesta è proseguita pure quando il Parlamento europeo a febbraio di quest’anno ha indebolito di molto le proposte della Commissione, preferendo provare a salvare la cornice normativa che perseguire arrivare a un possibile “scontro”. A quanto pare neppure questo sforzo è bastato, tanto che gli Stati contrari – tra cui, appunto, l’Italia – stanno facendo melina, tenendo in stallo le trattative per scongiurare l’accordo da parte del Consiglio europeo il prossimo mese.

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L’appello degli 11 Paesi per evitare “un passo indietro”

Ecco da dove nasce l’appello degli 11 Stati membri a sbloccare l’empasse sulla legge sul ripristino della natura. “La continua assenza di una maggioranza qualificata per l’accordo provvisorio, accuratamente negoziato, è molto preoccupante: un simile passo indietro su compromessi precedentemente concordati, frutto di lunghi mesi di negoziati, mette a rischio le nostre istituzioni democratiche e mette in discussione il processo decisionale dell’Ue”, si legge nel documento promosso dall’Irlanda, in cui gli undici ministri dell’ambiente firmatari incalzano i colleghi e le istituzioni europee ad “agire con urgenza e decisione per concludere il processo politico” sul regolamento.

appello legge natura

Come spiega l’Ansa, “Svezia, Italia e Paesi Bassi avrebbero espresso l’intenzione di votare contro la legge mentre Finlandia, Polonia, Belgio e – cambiando idea all’ultimo – Ungheria, di astenersi (che ai fini della maggioranza qualificata vale come un ‘no’). Per raggiungere la maggioranza qualificata è necessario che 15 Paesi su 27 che rappresentano almeno il 65% della popolazione totale dell’Ue votino a favore. Essendo un accordo già confermato, la presidenza di turno non può presentare emendamenti al testo, come ha fatto in passato per altri dossier (come le norme sulla due diligence delle imprese)”.

Pur non citandoli è chiaro che il riferimento principale degli 11 Paesi a favore della Nature Restoration Law è rivolto ai Paesi più ostili al provvedimento. Che però presumibilmente, come già annunciato ad esempio col pacchetto Fit for 55 e lo stop alla produzione di auto col motore a combustione a partire dal 2035, intendono affidare la decisione al rinnovato assetto istituzionale di giugno. Quando il “vento da destra” potrà legittimare un cambio di passo sull’intero Green Deal che è già diventato visibile in quest’ultimo anno.

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Suoli sani entro il 2050?

Quella sul ripristino della natura non è l’unica legge europea per migliorare lo status ecologico dell’intera Ue. Ad aprile, infatti, il Parlamento europeo ha adottato la sua posizione sulla proposta della Commissione per una legge sul monitoraggio del suolo, il primo atto dedicato in assoluto alla legislazione dell’UE sui suoli.

“La nuova legge – scrive il Parlamento – obbligherà i paesi dell’UE a monitorare prima e poi valutare la salute di tutti i suoli sul loro territorio. Le autorità nazionali possono applicare i descrittori del suolo che illustrano al meglio le caratteristiche del suolo di ciascun tipo di suolo a livello nazionale. I deputati propongono una classificazione a cinque livelli per valutare la salute del suolo (stato ecologico alto, buono, moderato, degradato e degradato in modo critico). I suoli con uno status ecologico buono o alto sarebbero considerati sani”.

Tuttavia anche questa legge è stata osteggiata; basti pensare che è passata con 336 voti favorevoli, 242 contrari e 33 astensioni. E ciò nonostante nell’UE si stima che vi siano 2,8 milioni di siti potenzialmente contaminati. Il motivo dell’opposizione è presto detto: chi dovrebbe affrontare i costi delle bonifiche del suolo? In teoria, in linea con il principio “chi inquina paga”,  i costi devono essere pagati da chi inquina. Ma in pratica, come ci insegna la lunga e dolorosa storia italiana dei Siti di Interesse Nazionale, a rimetterci sono le persone che vivono nei luoghi inquinati.

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La contrarietà dell’Italia viene da lontano

È attraverso questa cornice che si comprende meglio la partita giocata dall’Italia in merito alla legge sul ripristino della natura. Da quando il governo Meloni si è insediato (fine ottobre 2022) la scelta del ministero dell’Ambiente è stata quella di contrastare ogni provvedimento ambientale, climatico e circolare che l’Unione europea ha provato ad adottare: dal regolamento sugli imballaggi alla direttiva sulle emissioni industriali.

A giugno 2023 28 organizzazioni italiane avevano scritto al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, chiedendo il sostegno dell’Italia alla proposta di regolamento europeo. “Il ministro Pichetto Fratin – scriveva Greenpeace – ha preferito evidenziare i rischi, infondati, che deriverebbero per l’agricoltura e la pesca, ma non ha potuto non sottolineare la bontà della proposta di legge e la sua importanza, aggiungendo la richiesta di un finanziamento specifico per la sua attuazione che è esigenza certamente condivisibile. C’è tempo e modo perché l’Italia cambi posizione e si allinei a quei Paesi che vedono nella natura e nella conversione ecologica l’unica strada per un futuro di sicurezza e benessere e giustamente individuano, nella Nature Restoration Law, uno degli strumenti per metterlo in atto”.

Tuttavia in quest’anno l’auspicio di Greenpeace non è andato a buon fine. E anzi il governo italiano ha aumentato le pressioni per opporsi alla legge. Per saperne di più, in ogni caso, bisognerà attendere giugno 2024, che potrebbe diventare un mese cruciale per il futuro green dell’Europa.

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