Cosa c’entra la soia proveniente dal Sud America con la carne griffata con slogan sul “Made in Italy” che vediamo nei nostri supermercati? La risposta è semplice: i mangimi.
La prima volta che ho sentito parlare di come il consumo di carne in Italia fosse legato alla deforestazione in Sud America non capivo il legame tra questi due mondi così lontani. Ci hanno pensato poi due documentari – Deforestazione Made in Italy del giornalista Francesco De Augustinis e Soyalism di Enrico Parenti e Stefano Liberti – ad aprirmi gli occhi.
Ed è proprio il legame tra allevamenti e mangimi che apre un insieme di problematiche, ambientali ed etiche, oltre che economiche – quest’ultime, evidenziate da un recente rapporto del Joint Research Centre (JRC) intitolato “Closing the EU Protein Gap: Drivers, Synergies, and Trade-offs”.
La dipendenza dell’Europa dall’importazione di mangimi
In questa ricerca il JRC – l’organo scientifico della Commissione UE, che fornisce consulenze scientifiche per supportare le scelte politiche – ha definito l’Europa in una situazione di dipendenza proteica. Questo significa che per soddisfare il suo bisogno deve necessariamente importare materie prime da altri territori.
Ma nel concreto cosa significa dipendenza proteica? Ancora una volta la risposta è semplice: i mangimi.
L’UE alleva infatti moltissimi animali, secondo l’Eurostat sono circa 7,6 miliardi ogni anno (276 milioni tra maiali, bovini, caprini e ovini e una stima di circa 7,4 miliardi di polli). Si può immaginare come nutrire tutti questi animali non sia un’operazione semplice. Nella quasi totalità degli allevamenti in UE, che sono strutture intensive, vengono usati mangimi ad alto contenuto proteico – soia in primis. Questi mangimi sono usati per massimizzare la crescita degli animali in un tempo più breve e per aumentare di fatto la produttività riducendo il costo – una questione prettamente economica. Gli animali così crescono velocemente e raggiungono il peso adatto alla macellazione in pochi mesi, massimizzando tutto il processo.
Da dove arriva tutto questo mangime? Iniziamo dicendo che, secondo un’altra ricerca, di Greenpeace, il 71% delle terre agricole dell’UE è destinato all’allevamento di animali, e in questo sono inclusi anche le colture destinate ai mangimi per gli animali, ma non solo. Perché il 63% di tutte le colture arabili viene usato per produrre mangimi. Ma queste quantità non bastano. Il settore zootecnico europeo consuma circa 71 milioni di tonnellate di proteine grezze nei mangimi, di cui il 24% viene importato. Per questo, come riporta il JRC, l’UE importa il 96% della farina di soia utilizzata come mangime ad alto contenuto proteico.
Questa dipendenza ha l’effetto di esporre l’UE alla volatilità dei prezzi del mercato per questo i mangimi. Forse non molte persone ricordano come la crisi del prezzo del mais – altro cereale usato per i mangimi – in seguito allo scoppio della guerra in Ucraina avesse messo in crisi il settore degli allevamenti. Quello che è successo allora potrebbe anche succedere in futuro ad esempio con la soia.
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Mangimi e deforestazione: dall’Europa al Sud America
Ci sono poi importanti implicazioni etiche e ambientali, perché la produzione globale di soia – di cui quasi l’80% finisce negli allevamenti intensivi di tutto il mondo – è responsabile della deforestazione in diverse parti del mondo. La sempre maggior richiesta di carne da parte anche dell’UE ha portato alla distruzione di sempre più ampie porzioni di foreste, in particolare nel Sud America, per lasciare spazi a pascoli e coltivazioni di soia.
Uno dei metodi più diffuso per creare questi terreni sono gli incendi dolosi, com’è stato denunciato, che distruggono flora e animali e lasciano spazio a queste attività. Questo avviene per esempio in Brasile, uno dei più grandi esportatore di carne bovina e di soia al mondo. Inutile dire come queste azioni siano devastanti per le comunità locali, per la biodiversità e per la capacità di queste foreste di assorbire la CO2.
La deforestazione è infatti un dramma che sta distruggendo questi ecosistemi, e pensare che la causa è il consumo di carne deve far riflettere. Secondo una ricerca pubblicata su Science, il 20% della soia e il 17% della carne bovina consumate in Europa potrebbero provenire da deforestazione illegale.
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Quali soluzioni?
Lo studio del JRC ha analizzato diversi scenari possibili per ridurre l’importazione e quindi la dipendenza dell’UE. Da questi scenari è stata dedotta una serie di soluzioni combinate che potrebbero portare benefici ambientali e di sostenibilità per l’Europa.
Le prime due misure proposte dal JRC si concentrano sulla riduzione della dipendenza europea dalla soia e da altre importazioni per i mangimi. Per questo viene avanzata la proposta di aumentare le colture europee di legumi e altre piante ad alto contenuto proteico. Questo, permettendo all’UE di ridurre la dipendenza dalle importazioni, porterebbe anche un vantaggio per il suolo, date le proprietà di queste colture di fissare l’azoto. L’aumento di queste coltivazioni, già finanziate dalla PAC, dovrebbe essere sostenuto con ulteriori investimenti economici.
Accanto a questa misura, viene analizzato l’impatto dello sviluppo di mangimi a basso contenuto di azoto per il bestiame. Questa è una soluzione con un impatto minore, ma contribuirebbe a un uso diverso delle risorse agricole europee, limitando la dipendenza e riducendo l’impatto ambientale degli allevamenti.
Tuttavia, gli scenari più consistenti riguardano gli allevamenti e le abitudini alimentari della società. Il terzo scenario analizzato dai ricercatori concerne infatti la riduzione del numero di animali allevati in Europa. Questa misura ha un impatto fondamentale nella riduzione delle emissioni di metano e altri gas climalteranti, come evidenziato da un’ampia letteratura scientifica. Questa riduzione è una scelta chiave che si accompagna al quarto scenario, che prevede una trasformazione del sistema alimentare verso diete a base vegetale. La riduzione del numero di animali allevati implica una minore produzione di carne e comporta la necessità di aumentare il consumo di proteine vegetali. Secondo i ricercatori, questa è la misura più incisiva, poiché consente una drastica riduzione della domanda di proteine animali e quindi della necessità di importare mangimi. Ecco perché è necessario un cambiamento culturale e un impegno delle politiche europee per incoraggiare la crescita del consumo delle fonti proteiche vegetali.
I ricercatori hanno quindi combinato queste quattro misure e calcolato i benefici derivanti da questi scenari. Il risultato? L’implementazione di queste proposte porterebbe a una riduzione delle emissioni agricole di gas serra nell’UE del 5,6%. Una percentuale notevole e, in tempi di piena crisi climatica, un’importante soluzione che dovrebbe essere adottata al più presto.
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