Confermare o meno la data del 2035 per la fine delle auto col motore a combustione: è questo uno dei quesiti sui quali si arrovella ormai da tempo la Commissione europea. Risalente alla scorsa legislatura, nell’ambito del pacchetto Fit for 55 (che intendeva ridurre le emissioni di gas serra del 55% al 2030 rispetto ai livelli del 1990), la proposta di chiudere tra 10 anni la produzione di nuove auto col motore termico (benzina, diesel, gpl e metano) ha suscitato, sin dalla sua presentazione nel 2023, un forte dibattito polarizzante.
Un dibattito che su EconomiaCircolare.com abbiamo seguito, e continuiamo a seguire, offrendovi i punti di vista dei portatori di interesse, degli Stati membri e delle organizzazioni non governative. Un dibattito, ancora, che continua a svolgersi e che non si riesce a risolvere. Come scrive Il Mattinale Europeo, la newsletter quotidiana sulle politiche dell’UE, “la presidente della Commissione venerdì presiederà una nuova riunione del Dialogo strategico sul settore automotive”. Su di lei la pressione si fa sempre più forte.
In una lettera inviata a fine agosto, le associazioni di produttori di auto e componentistica Acea e Clepa hanno chiesto “un cambio di rotta” per adattare le politiche attuali “alle attuali realtà di mercato, geopolitiche ed economiche”. Altrimenti il rischio è “mettere a repentaglio uno dei settori più di successo e competitivi a livello globali”. Acea e Clepa chiedono di abbandonare gli obiettivi sulle emissioni per il 2030 e il 2035 perché raggiungerli “nel mondo odierno semplicemente non è più fattibile. L’attuale percorso di riduzione delle emissioni di Co2 nel trasporto su strada deve invece essere ricalibrato”. Le due associazioni chiedono “flessibilità” e “neutralità tecnologica” per permettere non solo veicoli elettrici, ma anche “ibridi (plug-in), auto con range extender, veicoli con motore a combustione interna ad alta efficienza, idrogeno e carburanti decarbonizzati”.
Forse in risposta a questa lettera, e comunque nel tentativo di influenzare l’incontro di venerdì, alla Commissione è giunta un altro appello. Di tutt’altro tenore e con ben altre richieste.
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Lo stop UE sull’auto ha già creato 150mila posti di lavoro
Se fosse un meme sarebbe “Keep calm”: la lettera con la quale l’ampia galassia dell’elettrico chiede alla Commissione Europea di mantenere lo stop alle auto termiche dal 2035 si può in fondo riassumere così. A sottoscrivere l’appello sono “oltre 150 leader aziendali provenienti dall’ecosistema europeo della mobilità elettrica in rapida crescita, tra cui produttori di veicoli, produttori di batterie, fornitori di servizi di ricarica, sviluppatori di software, fornitori di materiali, fornitori di energia elettrica, servizi di ingegneria e gestori di rete”.

Una galassia molto ampia, appunto, che chiede all’UE di mantenere l’obiettivo sancito nel 2023. Non solo per le conseguenze climatiche che comporterebbe un minor utilizzo di combustibili fossili, non solo perché consentirebbe all’industria europea di rimanere all’avanguardia mentre il mondo prova a convertirsi all’elettrico ma anche, se non soprattutto, per le conseguenze pratiche di tale scelta.
“Le nostre aziende e i nostri settori hanno impegnato centinaia di miliardi di euro in nuovi investimenti – si legge nell’appello – creando già oltre 150.000 nuovi posti di lavoro: dalle gigafabbriche di batterie in Francia e Germania, agli stabilimenti automobilistici nuovi o ristrutturati in Slovacchia e Belgio, fino alla rapida espansione delle infrastrutture di ricarica in tutto il continente. I lavoratori si stanno riqualificando. Si stanno reperendo e producendo materiali responsabili. Le reti elettriche stanno diventando più resilienti e flessibili, anche attraverso tecnologie intelligenti come il collegamento veicolo-rete. E sulle strade europee circolano già auto elettriche di qualità superiore, costruite qui e alimentate dall’energia prodotta in Europa”.
Non poteva mancare un riferimento alla Cina, che sull’auto elettrica ha investito invece parecchio in questi anni, con l’arrivo quest’anno delle prime “auto elettriche low-cost” nel Vecchio Continente. “Se esitassimo ora – scrivono ancora i firmatari della lettera – l’Europa rischierebbe una dipendenza ancora maggiore, una perdita di influenza e un ritardo irreversibile, in un mondo in cui, secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia, un’auto su quattro venduta quest’anno sarà già elettrica. L’obiettivo del 2035 è il fondamento per la riconquista della leadership da parte dell’Europa. Di fronte alle sfide odierne, ciò di cui abbiamo bisogno ora è un’attuazione politica all’altezza di tale ambizione”.
Insomma: se l’UE vuole essere ancora una potenza economica deve avanzare e non ritirarsi.
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Le proposte dell’elettrico all’UE
Per mantenere la rotta, e anzi aumentare l’ambizione dell’Unione Europea, il settore elettrico conclude il proprio appello inserendo alcune proposte che appaiono, anche queste, pragmatiche:
- Una strategia industriale europea molto più forte che aumenti la produzione di batterie, garantisca le materie prime e supporti la trasformazione dei fornitori e dei macchinari.
- Incentivi intelligenti e coerenti in tutti gli Stati membri, per supportare tutte le persone nel passaggio ai veicoli elettrici.
- Investimenti accelerati nelle reti e nella riforma dei permessi, per fornire l’infrastruttura necessaria per un’elettrificazione diffusa.
- Un rinnovato impegno ad attuare efficacemente la legislazione UE vigente, guidando la transizione in tutto il mercato unico.
La lettera si conclude con un’esortazione diretta alla presidente della Commissione: “signora presidente von der Leyen, lei è stata una paladina delle ambizioni dell’Europa in materia di tecnologie pulite. La esortiamo a sostenere l’obiettivo del 2035 e a sostenerlo, ponendolo al centro della sua più ampia agenda per la competitività e la resilienza”.

Lecito attendersi uno slancio delle istituzioni europee, che tuttavia appaiono ingabbiate in un’eccessiva fedeltà all’alleato statunitense (ex alleato?), concentrate sul risparmio e su una semplificazione che fa rima con deregolamentazione. Staremo a vedere.
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AGGIORNAMENTO DEL 10 SETTEMBRE 2025
Come era prevedibile, in vista dell’incontro di venerdì a Bruxelles sul Dialogo strategico dell’automotive, sulla Commissione europea proseguono le azioni di lobbying dei portatori di interesse. ACEA, l’associazione europea dei costruttori di automobili, ha ribadito che “serve un approccio politico pragmatico, più flessibile e neutrale dalla tecnologia per la decarbonizzazione del trasporto su strada nel raggiungimento degli obiettivi climatici di Parigi”. ACEA ha ricordato le deboli quote che ha il settore elettrico nell’automotive – 15,6% per le auto elettriche e 8,5% per i furgoni – e la forte dipendenza dell’elettrico nei riguardi delle importazioni di batterie, provenienti per lo più dalla Cina.
Questa mattina, invece, l’ong Transport & Enviroment -la più credibile e apprezzata associazione che si occupa della sostenibilità dei trasporti – ha ricordato che i mezzi ibridi plug-in (vale a dire i mezzi su cui sembra puntare di più il settore automotive) hanno emissioni di anidride carbonica che “sono quasi cinque volte superiori, in media, rispetto ai test ufficiali, secondo i nuovi dati pubblicati dall’UE”.
Lucien Mathieu, direttore delle auto di T&E, ha dichiarato: “Gli ibridi plug-in sono ancora peggiori per il clima di quanto le case automobilistiche affermino e il divario con la realtà è solo peggiorato. L’industria automobilistica chiede che l’UE chiuda un occhio in modo che possa ritardare gli investimenti in auto completamente elettriche”. Una segnalazione, quella di T&E, non di poco conto, specie se si considera che proprio di ibridi plug-in dovrebbe discutersi al Dialogo strategico di venerdì.
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