Sull’agrivoltaico, cioè l’installazione di pannelli fotovoltaici sui terreni destinati alle colture e all’allevamento, il nostro Paese è ancora in confusione. Da una parte manca una legge ad hoc che disciplini modalità e caratteristiche degli impianti, dall’altra è sempre più diffusa l’urgenza di rivolgersi alle energie rinnovabili – nell’immediato per superare la dipendenza dal gas russo, nel lungo termine per provare a risolvere o quantomeno ridimensionare la crisi climatica.
La sensazione di spaesamento aumenta se si guarda alle scelte istituzionali: a marzo, con il cosiddetto decreto Energia, il governo aveva previsto l’incentivazione dell’installazione dei pannelli fotovoltaici nei campi agricoli a patto che “questi non occupino una superficie complessiva non superiore al 10 per cento della superficie agricola aziendale”; un limite che poi, a maggio, con la conversione in legge del decreto, è stato cancellato dal Parlamento.
A dare chiarezza almeno agli operatori potrebbe ora contribuire una norma specifica dell’Ente Italiano di Normazione (UNI). È stato infatti avviato negli scorsi giorni il tavolo di confronto sulla redazione di una prassi di riferimento, che dovrebbe giungere tra 8-9 mesi (la tempistica di solito necessaria per l’adozione di questo tipo di documenti). Dunque la pubblicazione della norma UNI sull’agrivoltaico dovrebbe presumibilmente arrivare agli inizi del 2023. Può dunque un ente tecnico diradare le nebbie a livello politico? Di certo fornirà più chiarezza agli operatori e, perché no, potrebbe fungere da stimolo al legislatore.
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All’UNI per un agrivoltaico sostenibile
A far parte del tavolo tecnico per la redazione della prassi di riferimento sono gli esperti nominati da ENEA, Rem Tec e Università Cattolica Sacro Cuore. Nella sede dell’ente di normazione verrà analizzato un documento proposto da questi tre enti negli scorsi mesi, sulla scia della rete Agrivoltaico sostenibile, il progetto promosso nel maggio 2021 e coordinato proprio da ENEA.
“L’iniziativa – si legge sull’omonimo sito – si inserisce nel più ampio quadro delle politiche per la transizione ecologica, riprese dal Piano Nazionale Ripresa e Resilienza, che per lo sviluppo dell’agrivoltaico prevede investimenti per 1,1 miliardi di euro, una capacità produttiva di 2,43 gigawatt, con benefici in termini di riduzione delle emissioni di gas serra (circa 1,5 milioni di tonnellate di CO2) e dei costi di approvvigionamento energetico”. La rete si muove in maniera interdisciplinare – ne fanno parte imprese, istituzioni, università e associazioni di categoria – e lungo tre dimensioni, vale a dire paesaggio, energia ed agricoltura, che ENEA ha individuato come dimensioni chiave per lo sviluppo reale di sistemi agrivoltaici sostenibili.
La prassi di riferimento stabilita da UNI fornirà in ogni caso le indicazioni per installare le tecnologie già esistenti nei campi agricoli già coltivati. Non si tratterà dunque di definire il funzionamento vero e proprio dei pannelli fotovoltaici, perché questi già esistono e sono già regolamentati. Si dovranno invece definire i requisiti a cui dovranno attenersi i progetti di installazione. In ogni caso è ormai assodato che affinché si possa parlare correttamente di agrivoltaico i pannelli dovranno essere mobili, fissati al terreno a una certa altezza per consentire il passaggio dei mezzi agricoli, delle persone e degli animali. In più, con la norma UNI, saranno disciplinati gli indicatori necessari al monitoraggio dei pannelli, nonché la valutazione della loro messa in servizio.
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Meglio aspettare?
Come ricordato in precedenza, si parte insomma da un documento già definito ma che potrà essere suscettibile di modifiche. Per tutti questi motivi, gli operatori che vorranno presentare installazioni ad hoc, soprattutto se vorranno usufruire dei fondi del Pnrr, farebbero meglio ad attendere la norma UNI di riferimento. Vale la pena ricordare, infatti, che le prassi di riferimento dell’ente italiano di normazione costituiscono tecnicamente dei pre-standard, in attesa delle leggi che vanno poi a costituire concretamente il modello a cui attenersi.
Più in generale sulle energie rinnovabili fino a questo momento la linea del governo Draghi, e in special modo del ministro alla Transizione Ecologica Roberto Cingolani, è quella delle semplificazioni. Non più fondi pubblici né la definizione di un quadro più organico e coerente, alla luce anche dei recenti impegni presi dall’Europa, che ad esempio col REPowerEu punta al 2030 a un mix energetico costituito al 45% dalle rinnovabili.
Inoltre secondo la Commissione europea gli Stati membri dovrebbero indicare le aree di riferimento per le energie rinnovabili con procedure di autorizzazione abbreviate e semplificate in aree con rischi ambientali inferiori. Per far ciò “la Commissione sta mettendo a disposizione una serie di dati su aree sensibili dal punto di vista ambientale come parte del suo strumento di mappatura digitale per i dati geografici relativi all’energia, all’industria e alle infrastrutture”. Uno strumento che sarebbe utilissimo anche per l’agrivoltaico, in modo da evitare possibili speculazioni da parte di multinazionali del settore che, soprattutto nel Sud Italia, stanno continuando a presentare una mole notevole di progetti. Con la speranza che, in attesa della norma UNI di riferimento, gli enti locali sappiano assumere decisioni adeguate.
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