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giovedì, Novembre 14, 2024

Alta moda e sostenibilità: un binomio complesso. Intervista ad Ilaria Chiavacci

L’alta moda può davvero conciliare sostenibilità sociale e ambientale? Ne parliamo con Ilaria Chiavacci, giornalista freelance con esperienza nel settore della moda e del lusso

Emma Cabascia
Emma Cabascia
Emma Cabascia frequenta un Master in Politica Ambientale a Sciences Po. Al fine di rendere la comunicazione della crisi climatica più inclusiva, si è avvicinata al mondo dell’informazione. Attualmente, scrive di ambiente per La Svolta. Ha studiato e lavorato in Canada, Olanda, Francia e Belgio

Negli ultimi anni, il settore dell’alta moda ha sperimentato una notevole trasformazione, abbracciando sempre più il concetto di sostenibilità. Grandi marchi del lusso, spinti dalla crescente consapevolezza ambientale e sociale dei consumatori, hanno intrapreso una “svolta green”, esplorando nuove frontiere nel panorama della moda alla ricerca di nuove opportunità di business. Questa trasformazione si riflette non solo nella produzione e nei materiali utilizzati ma anche nelle strategie commerciali adottate da questi marchi. L’approccio sostenibile non riguarda più solo la creazione di capi di alta qualità, ma si estende anche all’innovazione digitale nel retail, all’adozione di pratiche second-hand e al mondo dell’upcycling.

Ma fino a che punto è possibile definire “sostenibile” un capo di abbigliamento di lusso, economicamente inaccessibile alla maggior parte della popolazione? Ed è realistico parlare di sostenibilità della produzione e dei materiali utilizzati senza mettere in discussione l’attuale modello di consumo?

Per aiutarci a rispondere a questi e altri interrogativi abbiamo chiesto aiuto ad Ilaria Chiavacci, giornalista freelance e creatrice di contenuti web con un’esperienza nel settore della moda e del lusso. Collabora da tempo con le redazioni di Vanity Fair e Gq, ma scrive anche per Io Donna, Linkiesta, LifeGate e The Pill. Oltre alla moda, nei suoi articoli tratta anche di sostenibilità, ambiente, sport e outdoor.

Quali tendenze ha notato nell’industria della moda di lusso in termini di sostenibilità? Quali sono le pratiche più diffuse nell’alta moda globale per adeguare la produzione alla sostenibilità?

Non so se parlerei di tendenze nel settore della sostenibilità, piuttosto di un adeguamento dei processi. Apportare delle modifiche ai processi di approvvigionamento o alle catene produttive non è qualcosa di immediato e volubile come una tendenza, ma il frutto di un business plan a lungo raggio. Detto questo sicuramente ci sono dei macro-temi a cui anche il mondo del lusso si sta adeguando. Anzitutto, l’utilizzo sempre maggiore di materiali bio-based e l’introduzione di prodotti luxury vegani anche da parte di maison storicamente legate al mondo della pelletteria. Due esempi sono il materiale Demetra prodotto da Gucci (ricavato al 70% da polpa di legno) o la celebre Victoria Bag di Hermès realizzata in versione vegana. Un altro cambiamento importante riguarda il graduale abbandono da parte di maison del lusso dell’utilizzo delle pellicce, che si sta compiendo pienamente solo adesso. Da menzionare è anche il ricorso al second hand: a questo proposito, l’esempio più calzante è quello di Vestiaire Collective, retailer online del settore lusso che ha improntato la sua intera strategia di comunicazione sul concetto di pre-loved per rendere appetibili i capi usati anche per un pubblico altospendente.

Quanto è presente il fenomeno del greenwashing nel settore luxury? Quali sono le sue manifestazioni più evidenti?

Strategie di greenwashing più o meno evidenti sono trasversali a tutta l’industria tessile. Anzi, probabilmente il segmento del lusso è quello dove questo fenomeno è minore. Oggi è molto alto l’hype sui materiali riciclati, anche se spesso si tratta di tessuti dove la parte effettivamente riciclata è minima; quindi, chiaramente si è di fronte a un tipo di comunicazione che può essere ingannevole.

Considerando che il concetto stesso di lusso è legato a quello di esclusività, quando un’azienda che produce capi di lusso può davvero dirsi sostenibile?

Bisogna scorporare il concetto di accessibilità da quello di sostenibilità: se da una parte è certamente vero che una logica di inclusività è auspicabile da parte di un brand per potersi dire sostenibile è altrettanto vero che, come collettività, dobbiamo reimparare a dare il giusto valore ai nostri acquisti. Due decenni di fast fashion ci hanno abituati a prezzi troppo bassi nel settore tessile, questo va a discapito della qualità portando con sé conseguenze a livello tanto ambientale quanto sociale. Adeguare i processi produttivi in modo che siano meno impattanti a livello ambientale richiede un ingente dispiego di risorse economiche in termini sia di ricerca e sviluppo che materialmente di conversione degli stabilimenti e formazione dei vari componenti della supply chain. Ogni produzione di tipo massiccio utilizzata in un’economia di scala per tenere bassi i costi della materia prima implica il sovrasfruttamento di risorse, mentre coltivazioni meno impattanti ad esempio cotone organico biologico, lino e canapa hanno produzioni limitate e quindi più costose.

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Fintanto che la produzione di abiti di lusso, se anche riciclati o restaurati, continuerà ad aumentare, il mercato del fashion sarà sempre più saturo e sempre più inquinante. In un contesto in cui si parla di sostenibilità soltanto in un’ottica di produzione ma mai di consumo, ha senso accostare all’alta moda etichette come green e sustainable o si tratta soltanto di un’operazione di greenwashing nei confronti dei consumatori?

Come emerge chiaramente anche da un report del Parlamento Europeo, la sovrapproduzione è uno dei problemi maggiori dell’industria tessile in Europa. I brand che effettivamente fanno qualcosa di virtuoso per l’ambiente sono quelli che incitano i propri consumatori a comprare meno, offrendo magari servizi di riparazione. È qualcosa che è molto comune nel settore dell’outdoor alcuni esempi virtuosi sono marchi come Patagonia e TNF mentre il settore del lusso è ancora troppo ancorato al classico ciclo della moda high end che prevede, oltre alle classiche collezioni Primavera-Estate e Autunno-Inverno anche le Cruise e le pre-collezioni e dove vengono fatte molte collaborazioni tra brand e brand o tra brand e artisti/cantanti/sportivi ecc.

Quali cambiamenti o sviluppi prevede nel futuro per la moda di lusso e la sostenibilità?

Si prevede un notevole cambiamento nel futuro della moda di lusso e la sostenibilità, con un’accresciuta attenzione alla Gen Z e al mercato cinese. A tal proposito, un’indagine di Vogue Business ha mostrato l’aumento della sensibilità dei giovani consumatori cinesi verso la sostenibilità. Inoltre, il mercato delle fibre e dei materiali bio-based nel settore della moda di lusso sta vivendo una crescita significativa: attualmente è valutato a 2,3 miliardi di dollari ma potrebbe addirittura sfiorare i 90 miliardi di dollari entro il 2025. Parallelamente, si nota una tendenza all’abbandono delle pellicce e delle pelli esotiche nel contesto della moda di lusso.

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