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lunedì, Dicembre 16, 2024

Tracciare, misurare, condividere. Così la blockchain facilita la circolarità

La tecnologia alla base delle criptovalute alla prova dell’economia circolare e della sostenibilità. Il parere degli esperti nel webinar “Blockchain technology for a circular economy”, organizzato dal Digital Circular Economy Lab

Nicoletta Fascetti Leon
Nicoletta Fascetti Leon
Giornalista pubblicista, allevata nella carta stampata. Formata in comunicazione alla Sapienza, in giornalismo alla Scuola Lelio Basso, in diritti umani all’E.ma (European Master’s Programme in Human Rights and Democratisation) di Venezia. Ha lavorato a Ginevra e New York nella delegazione UE alle Nazioni Unite. Vive a Roma e da nove anni si occupa di comunicazione ambientale e progetti di sostenibilità

Può essere la blockchain uno strumento utile all’applicazione del paradigma circolare? Molti scommettono di sì e prendono il via le prime sperimentazioni che applicano questa tecnologia alla filiera produttiva, alle materie prime o alla servitizzazione. Nonostante ciò, la strada sembra ancora lunga e costellata di ostacoli, come l’aspetto energivoro di questo “registro digitale”, il cui principale uso è riservato oggi alla circolazione delle criptovalute.

Un interessante dibattito sul tema è stato al centro del webinar “Blockchain technology for a circular economy” organizzato dal Digital Circular Economy Lab lo scorso 30 marzo (ora disponibile su YouTube), a cui hanno partecipato Daniel Hall delll’ETH di Zurigo, Phil Brown di Circularise e Katrin Steenman della Coventry University.

Un facilitatore di cambiamenti economici di portata rivoluzionaria

Ma andiamo con ordine. Che cos’è questa nuova tecnologia legata ai bitcoin di cui tanto si parla? La blockchain o “catena di blocchi” non è altro che uno strumento peer-to-peer per le transazioni di beni digitali. Si tratta di un sistema criptato di dati, che per la sua struttura a “blocchi” è considerato sicuro, trasparente e aperto, perché basato su un network condiviso e non centralizzato. Una sorta di notaio digitale che assicura l’unicità e non modificabilità di transazioni, dati, o atti di proprietà di contenuti digitali, come nel caso dei NFT (non-fungible token). Cosa può avere a che fare tutto ciò con l’esigenza di ridurre l’uso delle materie prime o la produzione di rifiuti nel nostro sistema economico?

Secondo Daniel Hall, assistent professor al centro universitario di ricerca ETH di Zurigo, “la blockchain è un facilitatore per nuovi tipi di organizzazione economica e di governance, ed è perciò un’innovazione istituzionale capace di interrompere e sostituire organizzazioni economiche esistenti”. Sembrerebbe quindi un “facilitatore” di portata rivoluzionaria.

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Applicazioni circolari nel settore delle costruzioni

Per quanto riguarda l’interazione con i principi dell’economia circolare, le applicazioni nel settore delle costruzioni, esplorate dal punto di vista della ricerca dall’istituto svizzero, riguardano vari aspetti tra i quali il tracciamento dei materiali fisici e digitali lungo la filiera, nonché la possibilità di creare nuove forme economiche di governance e di incentivi. Ne è un esempio il progetto di ricerca relativo alla servitizzazione e applicato su una costruzione a Vienna tramite la Siemens digital twin platform. Si tratta di un contratto energetico basato sulle performance che interagisce con il suo omologo “smart” digitale (creato grazie alla blockchain). Tramite sensori di rilevamento dati, il sistema prevede ricompense in denaro per le figure del facility manager e del building manager della costruzione, nel caso in cui le prestazioni rilevate dai sensori della struttura siano ottimali sia per il comfort degli utenti che dal punto di vista del risparmio energetico.

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Un network che consuma quanto un’intera nazione

Al di là delle applicazioni concrete già realizzabili oggi, la ricerca sulla blockchain è intrigante e rivoluzionaria perché esplora possibilità immaginifiche come la self-owning house: una casa (e i dati ad essa collegata) che appartiene alla casa stessa. Tuttavia, anche i più entusiasti, come Daniel Hall, devono ammettere che quando si affronta il tema dei consumi e della carbon footprint (impronta carbonica) della blockchain, si ha a che fare con “un problema rilevante”, seppure risolvibile in futuro. È stato stimato che il consumo annuale di elettricità dei Bitcoin è equiparabile a quello di stati come il Cile o la Nigeria, con una produzione di emissioni che nel 2018 è stata calcolata in un totale di 22,9 milioni di tonnellate di C02. I dati dell’impatto dei Bitcoin variano ogni anno, ma il fatto che il consumo di un network sia comparabile a quello di uno stato resta ad ogni modo un dato impressionante.

Riservatezza dei dati grazie alla blockchain

Proprio sul tema dell’impronta climatica si concretizza una delle applicazioni più attuali dello strumento blockchain nell’ambito del paradigma circolare. Chiunque sia familiare con il processo di calcolo degli impatti ambientali sa che uno dei suoi problemi più rilevanti è la sensibilità dei dati necessari per la realizzazione di tale calcolo. Il che risulta in un disincentivo per le aziende. Su questo punto concentra il suo lavoro Circularise, una start-up olandese dedicata alla tracciabilità e alla trasparenza della catena produttiva di approvvigionamento. Il sistema software di Circularise aiuta i fornitori di prodotti chimici, plastica, materiali per batterie, metalli etc. a condividere informazioni importanti come l’impronta ambientale o la percentuale di materiale riciclato dei propri prodotti senza mettere a rischio i dati sensibili. Phil Brown, vice presidente della società, spiega l’importanza di una blockchain decentralizzata e pubblica nella quale ogni attore della filiera di un mercato globalizzato può inserire i dati in maniera sicura e affidabile.

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Digital twin per la sostenibilità

Grazie alla blockchain, aziende di settori come automotive, elettronica e costruzioni, possono creare rappresentazioni digitali (digital twin) dei propri prodotti fisici che, conservando la riservatezza dei dati, sono in grado di fornire informazioni aggregate affidabili sui tali prodotti e dare prova degli impegni di sostenibilità delle aziende. Tra i progetti più evoluti di Circularise, spicca la creazione di una app destinata all’acquirente di un’automobile sportiva, capace di monitorarne le performance, ma utile anche a chi dovrà occuparsi dello smaltimento a fine vita.

A puntare sui passaporti digitali dei prodotti è anche l’Unione europea nella sua recente Sustainable Product Initiative. Attraverso questo strumento i consumatori potranno avere accesso alle informazioni ambientali dei propri acquisti, di cui dovrà essere assicurata anche la riparabilità e la riciclabilità, grazie al tracciamento lungo la catena di approvvigionamento. Un diretto ma generico riferimento alla tecnologia blockchain, accanto a internet of things, big data e artificial intelligence è contenuto nell’EU Circular Economy Action Plan.

Uno strumento per il “right to repair”

I brand di elettronica che oggi sono chiamati a fornire istruzioni su come riparare i propri prodotti potranno farlo, secondo Circularise, attraverso i digital twin sviluppati grazie alla blockchain. Tuttavia, come sottolinea Katrin Steenman, research associate alla Coventry University, il panorama legislativo che regola questo strumento è oggi ancora pressoché inesistente, ponendo un grosso ostacolo ad un suo utilizzo in tempi brevi. La blockchain, spiega Steenman, è una tecnologia che di per sé non è né necessaria né sufficiente per una buona governance dell’economia circolare. Certamente, se ben regolata, potrà giocare un ruolo nel supportare l’applicazione di regole come ad esempio il diritto alla riparazione e garantire trasparenza e responsabilità estesa dei produttori.

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