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venerdì, Novembre 15, 2024

Città circolari, ecco come le amministrazioni locali possono accelerare sull’economia circolare

Lo studio dello Stockholm Environment Institute (SEI) fornisce una panoramica di buone pratiche e strumenti che le amministrazioni locali dovrebbero introdurre per avere uno slancio maggiore verso un’economia circolare nei contesti urbani

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Redazione EconomiaCircolare.com

Le città e le azioni intraprese su suolo urbano saranno fondamentali per raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030. Sebbene occupino solo il 2% della superficie terrestre, il 57% della popolazione mondiale vive in città ed entro il 2050 la percentuale salirà al 68%: le città consumano oltre il 75% delle risorse naturali, accumulano il 50% dei rifiuti globali ed emettono fino all’80% dei gas a effetto serra. Inoltre, le amministrazioni comunali sono spesso responsabili della gestione dei rifiuti e dell’acqua, della pianificazione urbana, dello sviluppo commerciale, dell’assistenza e dei servizi sociali e della protezione dell’ambiente a livello locale.

Una responsabilità non da poco quella che grava sugli enti locali, dunque, il cui ruolo, soprattutto nel bel mezzo della crisi climatica ed energetica, è ben più ampio e complesso della semplice amministrazione di aree circoscritte ma che potrebbe rappresentare anche un’opportunità unica per dare nuova linfa ai territori.

Perché non si resti però solo nel campo della retorica è necessario attuare azioni concrete, precise e misurabili, in grado di mostrare non solo buone intenzioni ma anche progressi e risultati.  Lo studio “Governing the circular economy – How urban policymakers can accelerate the agenda” dello Stockholm Environment Institute(SEI) illustra una strategia, basata su quattro punti, che le amministrazioni locali possono mettere in atto per concretizzare gli sforzi di circolarità nelle città.

Sviluppare una visione condivisa

Secondo il report, è prima di tutto necessario che si crei una condivisione di intenti, coinvolgendo diversi attori, come il mondo accademico e le imprese ma anche e soprattutto i cittadini, la cui partecipazione è fondamentale per il successo dei progetti. Si suggerisce di puntare su obiettivi chiari, guardando alle priorità della città, in base anche al livello di emissioni, ai flussi di materiali e ai modelli consumo correnti.

“C’è la tendenza – scrivono nello studio – a concentrarsi solo sugli aspetti tecnici finalizzati a sistemi urbani più efficienti, principalmente il riciclo, il recupero dei rifiuti e dell’energia. Tuttavia, l’economia circolare sarà trasformativa solo se si considerano anche gli impatti sociali e comportamentali”.

Un primo esempio di collaborazione è la Dichiarazione delle città circolari, una piattaforma di Local Governments for Sustainability (ICLEI) che riunisce quelle città  europee che stanno portando avanti impegni legati all’economia circolare. In Italia le città aderenti sono Firenze e Prato.

Ma i piani d’attuazione non sono possibili solo in piccole o medie città ma anche in grandi metropoli, come dimostra ciò che sta avvenendo a Parigi. Qui, nel Piano per l’Economia Circolare, la città francese presenta un approccio integrato per affrontare le varie sfide dello sviluppo sostenibile, mappando le interazioni con altri piani comunali: questo contente di strutturare il piano su azioni complementari ed integrare i principi dell’economia circolare anche in altre politiche comunali.

Con questo approccio, secondo quanto riportato sul sito di riferimento, si sono già ottenuti dei risultati per aziende e cittadini: come la produzione di oltre 6000 metri cubi di legna all’anno risultati dalla pulizia degli spazi verdi di Parigi; il riutilizzo di 3000 tonnellate di ghiaia all’anno, in media, prodotte dal riciclaggio di monumenti funerari; 7000-8000 tonnellate di granito riutilizzate ogni anno sulle strade della città;  28 nuovi progetti dedicati all’agricoltura urbana, per una superficie di oltre 5,3 ettari; il risparmio del 44% sul consumo di energia elettrica per la climatizzazione, in particolare per il raffreddamento, del Municipio, grazie all’utilizzo di acqua non potabile e la riduzione del 20% del consumo energetico delle piscine attraverso il recupero del calore.

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Collaborare a più livelli e tra diversi settori

Una buona progettazione non può, naturalmente, prescindere da una sana collaborazione a più livelli e che interseca diversi settori. Per farlo si suggeriscono piattaforme ad uso locale per scambiare informazioni e conoscenze, ma anche sistemi di coordinamento con il governo nazionale e regionale, e un rafforzamento del coordinamento tra aree urbane e rurali.

Umeå, in Svezia, una delle tre città pilota che partecipano al programma dell’OCSE Circular Economy in Cities & Regions è un ottimo esempio di collaborazione finalizzato alla condivisione di progetti di economia circolare.

“Attraverso una mappatura di buone pratiche, è stato testato l’inserimento dei dati sia dal punto di vista bottom-up che dall’approccio top-down”, scrivono sul sito del progetto svedese. Un metodo che consentirebbe di identificare i settori in cui sono in atto iniziative circolari che includono diversi stakeholder, a tutti i livelli, scovarne le lacune e sviluppare una comprensione di ciò che la transizione circolare può significare per ogni settore. Sono stati inoltre organizzati una serie di workshop, cui sono stati invitati a partecipare i rappresentanti di tutti i dipartimenti della città di Umeå, nonché i rappresentanti regionali, stakeholders del settore pubblico, privato e del terzo settore.

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Avere gli strumenti giusti

I principi di economia circolare possono anche integrarsi all’interno di alcune procedure fiscali e burocratiche, quali la prassi degli appalti pubblici, i programmi di sostegno alle imprese e i quadri fiscali e normativi. Strategie circolari possono, ad esempio, essere portati avanti direttamente da fornitori di servizi, come le aziende municipali che si occupano di alloggi, energia e rifiuti. Per accelerare l’implementazione dell’economia circolare, suggeriscono ancora dal report, i responsabili delle politiche urbane dovrebbero utilizzare incentivi economici come sovvenzioni, sussidi, partenariati pubblico-privati e detrazioni fiscali per stimolare il cambiamento di paradigma.

Le autorità locali dovrebbero essere, in sostanza, in condizione di sfruttare i vantaggi economici, sociali e ambientali dell’economia circolare per realizzare le priorità locali.

Un esempio virtuoso in questo senso arriva dal Regno Unito, dove l’iniziativa ReLondon dispone di uno strumento formativo, la CE Training Academy, che comprende una serie di moduli, gratuiti e a pagamento, concepiti per far sì che l’economia circolare sia il filo conduttore del lavoro di diversi settori e dipartimenti.

In questo modo gli enti locali possono approfondire la comprensione dei benefici dell’economia circolare e applicarla concretamente nel proprio campo, favorire la collaborazione tra colleghi di diversi dipartimenti per mettere in comune le risorse e realizzare priorità condivise. Attribuire insomma anche un valore sociale, oltre che ambientale, al lavoro che svolgono all’interno delle comunità.

Leggi anche: Il principale ostacolo alla transizione delle città verso l’economia circolare? Le barriere culturali

Monitorare: l’importanza dei dati

Nonostante potrebbe sembrare più semplice monitorare i progressi di un piano a livello locale, la scarsa attitudine delle amministrazioni con i dati, non fornisce spesso ciò di cui si ha bisogno per delineare un quadro dell’andamento del progetto e si riscontrano spesso difficoltà nel passare dalla fase pilota a quella attuativa.

Lo studio propone perciò di raccogliere dati affidabili sui flussi di energia e materiali, attraverso l’uso di tecnologie, come piattaforme digitali e sensori degli edifici smart, in ogni fase del progetto. I comuni devono quindi migliorare la raccolta e l’analisi dei dati, investendo in una gestione dei dati più adeguata alle esigenze locali e, allo stesso tempo, in grado di alimentare i dati nazionali.

Si può iniziare a implementare la circolarità di un edificio, per poi estendere ad un quartiere e poi all’intero contesto urbano; un modo per osservare e prendere come modello per azioni futuro, valutando anche il comportamento dei cittadini mentre si attuano le modifiche, ad esempio negli edifici ad alta efficienza energetica.

I laboratori urbani, intesi come spazi dove sperimentare soluzioni innovative in un ambiente reale e con un’ampia gamma di stakeholder della città, sono un ottimo esempio di co-creazione di nuove politiche e pratiche di economia circolare, e del loro monitoraggio.

Abbiamo già parlato sul nostro magazine della città di Rotterdam, [qui e qui il reportage di Letizia Palmisano] che svolge egregiamente il ruolo laboratorio urbano delle innovazioni circolari. In particolare all’interno del programma Rotterdam Circulair, si ha uno spazio per la condivisione di conoscenze ed esperienze che attengono all’economia circolare in atto nella città olandese, così da ispirare anche altri centri urbani verso il cambiamento.

Leggi anche: La nostra rubrica In circolo, “Città circolari, dalle buone pratiche alle politiche di sistema”

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