Finalmente: è la prima parola che viene in mente in merito alla consultazione pubblica, lanciata oggi dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, sullo schema di decreto per le comunità energetiche. Un provvedimento che si attendeva da più di due anni e che potrebbe dare il definitivo slancio a ciò che le comunità energetiche intendono costruire: un’energia decentrata, dal basso, su scala locale, attraverso un’associazione tra cittadini, attività commerciali, pubbliche amministrazioni locali e piccole/medie imprese.
Come scrive il ministero dell’Ambiente, “il documento individua criteri e modalità per la concessione di incentivi volti a promuovere la realizzazione di impianti di fonti rinnovabili inseriti in comunità energetiche, sistemi di autoconsumo collettivo e individuale a distanza”.
C’è tempo fino al 12 dicembre 2022 per presentare le proprie istanze. “Sulle procedure amministrative più importanti, che richiedono processi partecipativi dei territori, chiediamo la voce dei cittadini, delle imprese, delle associazioni e di tutti gli interlocutori di riferimento al fine di acquisire in modo trasparente le osservazioni. Serve un contributo corale” ha affermato il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin. “Il governo punta fortemente sulla crescita delle energie rinnovabili: sono una nostra priorità soprattutto in questo momento emergenziale in cui stiamo vivendo un problema con il caro energia“.
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Sarà la volta buona per le comunità energetiche?
I tempi dell’Italia, si sa, spesso sono lunghi. Le comunità energetiche, in questo senso, ne sono purtroppo un esempio da manuale. Sono passati quattro anni dalla direttiva europea RED II (2018/2001/UE) che chiedeva agli Stati membri di far sì che al 2030 la quota di energia da fonti rinnovabili nel consumo finale lordo di energia dell’Unione europea sia almeno pari al 32%, e parlava esplicitamente dell’autoconsumo collettivo e delle comunità energetiche come uno degli strumenti più importanti per raggiungere questo importante obiettivo.
L’Italia si è adeguata a questa disposizione a febbraio 2020, mediante la conversione in legge del Decreto Milleproroghe 162/2019. In questi due anni e mezzo, o poco più, si sono succeduti una serie di provvedimenti che avrebbero dovuto incentivare lo sviluppo delle comunità energetiche, ancor più preziose in questo periodo di caro-energia. Eppure, come testimoniato da un recente report di Legambiente, su 100 comunità energetiche mappate a giugno 2022 dall’associazione ambientalista, solo 16 hanno completato l’iter di attivazione e di queste solo 3 hanno ricevuto i primi incentivi statali.
“In Italia anche le comunità energetiche, come le rinnovabili, faticano a diffondersi come dovrebbero – denuncia l’associazione ambientalista – Nonostante siano una soluzione utile e concreta per contrastare il caro bollette, l’emergenza climatica e la povertà energetica, sono, infatti, pochissime quelle realmente attive o che stanno ricevendo gli incentivi statali erogati dal GSE, il Gestore dei servizi energetici. A pesare: ritardi, lungaggini burocratiche, la mancanza degli incentivi da parte del MITE (ora MASE, nda), il ritardo di Arera sull’emanazione delle regole attuative, che si uniscono alle difficoltà nel ricevere le informazioni necessarie a identificare l’ambito di sviluppo delle CER, ai ritardi nelle registrazioni e al ricevimento degli incentivi, ma anche a preventivi onerosi per allacci alla rete”.
Si comprende dunque l’attesa per la consultazione pubblica, lanciata dal governo Meloni a poco più di un mese dall’insediamento e a distanza di un anno dal decreto legislativo n° 199 dell’8 novembre 2021 (Comunità energetiche e sistemi di autoconsumo – impianti di potenza fino a 1 MW), su cui si incentra la consultazione online da oggi.
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Come funzioneranno le comunità energetiche?
Prima di analizzare le indicazioni della consultazioni, è utile fare un ripasso sulle comunità energetiche. Le famiglie e gli altri soggetti che si trovano nello stesso edificio o condominio possono attivare forme di autoconsumo collettivo, mentre persone fisiche, piccole e medie imprese ed enti locali ubicati in un perimetro più ampio rispetto a quello dei condomini possono dar vita alle comunità energetiche. In questo scenario i cittadini diventano “prosumer”, cioè soggetti al tempo stesso produttori e consumatori di energia pulita, con un grande vantaggio per le loro tasche e per l’ambiente. Allo stesso modo si possono costituire comunità di quartiere, comunità agricole, comunità di borgo e così via. L’impianto oggetto della comunità non deve necessariamente essere di proprietà della comunità: può essere messo a disposizione da uno solo o più dei membri partecipanti o addirittura da un soggetto terzo.
Una volta messo in esercizio l’impianto, la comunità può fare istanza, anche tramite un’azienda esterna allo scopo delegata, al Gestore dei Servizi Energetici (GSE) per ottenere gli incentivi previsti dalla legge per l’energia condivisa. Gli incentivi ovviamente faranno riferimento non a tutta l’energia prodotta ma solo a quella condivisa all’interno della comunità, cioè a quella consumata dai membri nella stessa fascia oraria di produzione. L’energia eccedente può essere ceduta nuovamente al GSE oppure può essere immagazzinata in sistemi di accumulo (le batterie, ad esempio) per essere poi utilizzata quando le fonti rinnovabili non sono utilizzabili, per esempio di notte nel caso dei pannelli solari o nelle giornate poco ventose per l’eolico, o quando se ne verifichi la necessità, per esempio di fronte a picchi di domanda.
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Cosa prevede la consultazione sulle comunità energetiche?
Come già ribadito, da oggi fino al 12 dicembre sarà possibile presentare le proprie osservazioni a cittadini e imprese e in generale a tutti gli attori istituzionali e gli interlocutori di riferimento in campo ambientale. “Durante il periodo di consultazione pubblica – rende noto il ministero – tutti i soggetti interessati potranno inviare osservazioni e proposte all’indirizzo dgaece.div03@pec.mise.gov.it, utilizzando il Modulo di adesione alla consultazione scaricabile a questo link e indicando come oggetto della mail “Consultazione DM energia condivisa“.
Il punto di riferimento della consultazione pubblica lanciata dal MASE è un documento di 9 pagine che appare, a una prima lettura, un po’ confusionario. È vero, come recita la premessa del documento, che “la presente consultazione è svolta con l’obiettivo di condividere le logiche alla base dello schema di decreto e raccogliere osservazioni e spunti dalle parti interessate per la conclusione del processo”, ma è innegabile che sarebbe stato auspicabile, visti i ritardi e gli ostacoli fin qui osservati sulla costituzione delle comunità energetiche, che il governo arrivasse a questo appuntamento con le idee un po’ più chiare.
Gli incentivi andranno a quegli impianti a fonti rinnovabili “che prevedono l’utilizzo della rete di distribuzione esistente sottesa alla stessa cabina primaria” (è forse il punto che ha creato finora più difficoltà) per il periodo che va dal 2023 al 2027. Inoltre sono previsti tutta una serie di requisiti da rispettare:
- la potenza nominale massima del singolo impianto risulta non superiore a 1 MW;
- i lavori di realizzazione degli impianti devono essere avviati dopo la data di pubblicazione del decreto e conseguentemente gli impianti devono entrare in esercizio successivamente a tale data;
- le configurazioni sono realizzate nel rispetto delle condizioni previste dagli articoli 30 e 31 del decreto legislativo n. 199 del 2021 e operano, in interazione con il sistema energetico, secondo le modalità individuate dall’articolo 32 del medesimo decreto legislativo;
- gli impianti di produzione e i punti di prelievo facenti parte delle configurazioni di autoconsumo per la condivisione dell’energia rinnovabile sono connessi alla rete di distribuzione tramite punti di connessione facenti parte dell’area sottesa alla medesima cabina primaria, fermo restando quanto disposto per le isole minori dall’articolo 32, comma 8, lettera e) del medesimo decreto legislativo;
- gli impianti posseggono i requisiti prestazionali e di tutela ambientale necessari per rispettare il principio del “Do No Significant Harm” (DNSH, il danno ambientalenon significativo );
- sono inclusi nell’ambito di applicazione del decreto anche i potenziamenti di impianti esistenti, fermo restando che gli incentivi si applicano limitatamente alla nuova sezione di impianto ascrivibile al potenziamento
Per gli impianti superiori a 1 megawatt, i quali potrebbero incentivare la costituzione di comunità energetiche più grandi e significative, si rimanda a una nuova procedura che sarà definita “tramite il ricorso a procedure competitive”, senza specificare ulteriormente le modalità. In ogni caso l’idea del governo è di riconoscere, per gli impianti fino a 1 mw, un incentivo tariffario per la durata di 20 anni. “Nel caso in cui la quota di energia condivisa fosse pari o superiore al 70% dell’energia prodotta, la quota residua di energia potrebbe essere liberamente venduta dal produttore – si legge nel documento – Nel caso, invece, in cui la quota di energia condivisa fosse inferiore al predetto limite del 70%, sull’energia elettrica eccedentaria venduta sarebbe previsto un tetto di prezzo pari a 80 €/MWh”.
C’è un ultimo aspetto che potrebbe creare qualche malumore. Secondo quanto disposto dalla Commissione europea con la “disciplina in materia di aiuti di Stato a favore del clima, dell’ambiente e dell’energia”, chi ha creato o quantomeno avviato una comunità energetiche nell’ultimo anno rischia di rimanere fuori dagli incentivi previsti dal governo con la consultazione pubblica lanciata da oggi. È lo stesso governo, infatti, a ricordare che “l’accesso alle nuove tariffe incentivanti di cui al decreto in consultazione sarebbe pertanto consentito solo per gli impianti a fonti rinnovabili che avviano i lavori ed entrano in esercizio successivamente all’entrata in vigore del decreto”. Uno smacco per chi si è mosso in tempo, anche se il ministero suggerisce soluzioni alternative. Che però andranno verificate.
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