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venerdì, Novembre 15, 2024

“Le comunità energetiche spingono verso nuovi modelli di governance locale”

Per capire meglio il ruolo dell'energia tra liberalizzazioni, distribuzione e orizzonti sostenibili abbiamo intervistato Giovanni Provvisiero, esperto di comunità energetiche e dottorando di Diritto Costituzionale all'Università di Teramo. "Con le CER si può parlare di democratizzazione dell'energia"

Anna Maria Remedio
Anna Maria Remedio
Nata a Brescia nel 1989, è laureata in Giurisprudenza con tesi in Diritto dell’Unione Europea sulla strategia comunitaria in tema dei cambiamenti climatici e della mobilità

“L’Agenzia europea dell’ambiente (EEA), in una sua rilevazione del 2019, registra che il settore energetico è responsabile del 77% circa delle emissioni di gas serra nell’Unione Europea. Ciò giustifica la grande attenzione che le istituzioni europee, e quelle nazionali, hanno posto rispetto alla questione energetica, sia dal punto di vista dell’abbattimento delle emissioni, sia in termini di approvvigionamento. Il recepimento in Italia della direttiva UE 2019/944, avvenuta con il decreto legislativo n°210/2021, non mi sentirei di dire che ha aperto a un nuovo assetto del mercato elettrico. Forse, più correttamente, questo atto ha segnato la definitiva realizzazione di quella liberalizzazione del mercato energetico iniziata con il primo pacchetto energia tra il 1996 e il 1998”.

Giovanni Provvisiero, esperto di comunità energetiche e dottorando di Diritto Costituzionale all’Università di Teramo, parte con questa fotografia sull’impatto ambientale dell’energia per discutere di liberalizzazioni, di distribuzione energetica e di orizzonti sostenibili. Per capire meglio il ruolo cardine del settore nella strategia di abbattimento delle emissioni, a EconomiaCircolare.com Provvisiero ha spiegato alcuni punti fondamentali legati alle tutele e ai diritti del consumatore.

In particolare, in un mercato interno dell’energia elettrica aperto e liberalizzato, come descritto dalla direttiva 2019/944, in che modo può essere tutelato il diritto del consumatore all’energia come bene essenziale all’approvvigionamento di bisogni primari dell’individuo?

Da una lettura degli atti normativi sembrerebbe che la liberalizzazione del mercato energetico non determinerà una compressione dei diritti dei consumatori, i quali sono tutelati attraverso misure deputate a garantire un alto grado di informazione. Quest’ultimi sono quelli che possiamo chiamare generalmente come diritti contrattuali a cui devono aggiungersi anche il diritto a cambiare fornitore, per il quale si prevede un’ulteriore misura, pensata dal legislatore nazionale, secondo cui spetterà all’ARERA il compito di adottare provvedimenti che possano assicurare il diritto dei clienti a cambiare fornitore entro ventiquattro ore dalla richiesta. Anche nell’ambito dei contratti con prezzo dinamico è stata disciplinata un’attività di monitoraggio dell’autorità per vigilare su eventuali rischi di queste forme contrattuali.

Sempre l’ARERA sarà responsabile dell’implementazione di un portale informatico idoneo ad assicurare la confrontabilità e la trasparenza tra le diverse offerte presenti nel mercato interno. Inoltre sembra essere interessante la disciplina relativa ai clienti vulnerabili e in condizioni di povertà energetica per i quali si prevedono condizioni accesso al mercato elettrico a prezzi agevolati (che riflettano i prezzi del mercato all’ingrosso); si aggiunga anche l’istituzione con decreto del MITE (ora MASE) dell’Osservatorio nazionale della povertà energetica, al quale è conferito il potere di proporre al MITE misure di contrasto alla povertà energetica, monitora tale fenomeno a livello nazionale ed elabora criteri per l’elaborazione del numero di famiglie in condizioni di povertà energetiche. Entro questa prospettiva, sembra chiara la scelta del legislatore europeo (e nazionale) di bilanciare la liberalizzazione del mercato elettrico con la libertà dei clienti finali di scegliere consapevolmente.

In che misura è tollerato l’intervento statale senza che incorra nel rischio di creare distorsioni alla leale concorrenza?

L’intervento statale non lo vedrei come una questione che possa generare una distorsione della concorrenza ma, al contrario, che sia auspicabile in quanto la tutela della concorrenza è una competenza esclusiva dello Stato. Una materia particolare che rileva non per il suo oggetto materiale ma per gli obiettivi e gli scopi. Qui tocchiamo la complessa questione dell’articolazione delle competenze legislative, che in materia energetica è ripartita tra lo Stato e le Regioni: il primo è chiamato a stabilire i principi fondamentali in materia, le seconde la disciplina di dettaglio. La sovrapposizione della materia energia con numerose competenze legislative esclusive dello Stato sembra poter legittimare quest’ultimo a intervenire in ogni ambito, compresi quelli riservati alla potestà regionale che in questo modo si trova costretta dall’azione statale.

Questa non è stata solo un’impressione perché in tale settore si è assistito in molteplici occasioni alla cosiddetta attrazione in sussidiarietà (o chiamata in sussidiarietà) dove lo Stato per esigenze di tipo unitario ha invaso la competenza legislativa riservata alle Regioni. Ovviamente qui il profilo critico è rappresentato dalla legittimità di tale meccanismo che, come si può immaginare, assume una portata derogatoria importante rispetto al riparto di competenze costituzionali. La questione è stata risolta dalla Corte costituzionale che si è pronunciata sul punto, essa subordina l’attivazione dell’attrazione ad una duplice valutazione: 1) la proporzionalità e la ragionevolezza dell’azione statale; 2) il rispetto della leale collaborazione con e il rilascio, dunque, di un’intesa in senso forte attraverso lo strumento della Conferenza Stato-Regioni.

L’art. 31 ex decreto legislativo 199/2021 cita il “diritto dei clienti finali di organizzarsi in CER”. Quale ruolo assume il consociato grazie all’esercizio di questo diritto? Nel libro a cura di Enzo Di Salvatore “Il futuro delle Comunità energetiche. Profili giuridici e soluzioni“, dedicate un paragrafo a questi strumenti come forme inedite di democratizzazione dell’energia. Ci può spiegare bene cosa intendete?

Senz’altro il riconoscimento di un diritto in capo ai clienti finali, soprattutto a quelli domestici, ha comportato una rottura con il passato, passando da un governo dell’energia caratterizzato storicamente da una gestione centralizzata e monopolistica del settore a un nuovo modo di produrre energia ove il consumatore può divenire anche produttore. Da qua il termine “prosumer”, nato dalla fusione tra il termine producer e consumer, indicando così un soggetto che è allo stesso momento sia produttore, sia consumatore. Dunque si è assistito all’introduzione di un nuovo modello produttivo che vede protagonisti anche i cittadini, che da questo momento hanno la possibilità di essere attori anche nei segmenti economici del settore energetico.

Ecco perché si può parlare di democratizzazione dell’energia, poiché si passa da una gestione concentrata nelle mani di pochi soggetti ad una gestione dove tutti i soggetti della filiera potranno partecipare attivamente. Entro questa prospettiva le CER spingono verso nuovi modelli di governance locale e di responsabilità diretta dove una larga eterogeneità di soggetti (cittadini, imprese, enti pubblici e associazioni) condividono insieme obiettivi di autogestione e condivisione di risorse.

In che misura il consumatore è in grado di potenziare la sua capacità di negoziare il prezzo dell’energia elettrica e di influenzare quindi il mercato?

È chiaro che il ruolo del cittadino come prosumer rende possibile una maggiore possibilità di partecipazione alle negoziazioni nel mercato; tuttavia, data ancora l’incertezza legata alla realizzazione delle CER, non è possibile ancora sostenere che il consumatore abbia un’ampia capacità di negoziare il prezzo dell’energia e di influenzare il mercato. Anche perché la CER agisce come soggetto distinto da quelli che la compongono.

La normativa comunitaria lascia ampio spazio agli Stati membri sulla configurazione giuridica utilizzabile per la costituzione delle comunità. Quali sono le possibili vesti giuridiche previste dall’ordinamento italiano e quali ripercussioni economiche e sociali hanno? Quale è la configurazione che meglio si adatta alle finalità sociali di abbattimento della povertà energetica?

La mancata specificazione di una o più forme da parte della legge europea, e di quella italiana, è ispirata a quel principio di massima diffusione delle CER (e in generale delle nuove forme di produzione di energia pulita) secondo cui devono rimuoversi eventuali ostacoli che possono impedire la realizzazione di una vasta rete di CER sul territorio nazionale. Tuttavia, se da un lato questo è coerente con le finalità della direttiva europea, dall’altro pone problemi rispetto a quale sia la forma giuridica più adeguata. Anzitutto una prima difficoltà la si può rilevare relativamente al fatto che i vari componenti della CER sono soggetti a diversi regimi giuridici.

Immaginiamo un’impresa e una pubblica amministrazione, le quali devono rispettare differenti vincoli giuridici. Tale aspetto ha attirato l’attenzione anche della Corte dei Conti che si è pronunciata proprio sulla costituzione di una CER da parte di un ente pubblico (un Comune, fondatore insieme ad altra società) che optava per la società consortile a responsabilità limitata per il raggiungimento dell’obiettivo di fornire benefici ambientali, economici o sociali per la comunità. Data l’incertezza sulle forme giuridiche più adatte per le CER, si è richiesto un parere alla Corte dei Conti che si è pronunciata sul caso di specie, ritenendo sia necessario sottoporre a scrutinio i presupposti giuridici ed economici sottesi alla scelta di un’amministrazione pubblica di operare secondo schemi di diritto privato (come appunto la costituzione di una società) rischia di generare conseguenze pregiudizievoli in termini di concorrenza finanza pubblica.

Il concreto ritardo da parte del legislatore italiano – inizialmente nel recepimento della direttiva Red II e successivamente nell’istituzione del quadro regolatorio – ha creato un assetto normativo complesso. Può delinearci i riferimenti attuali e le conseguenze che queste attese hanno avuto nella diffusione delle CER?

Nonostante l’assenza di un quadro regolatorio chiaro, abbiamo potuto notare che numerose Regioni hanno legiferato per quanto concerne gli aspetti di dettaglio della disciplina delle comunità energetiche rinnovabili. Tuttavia il ritardo che ha destato più incertezza non è stato tanto il decreto legislativo n 210 del 2021, con il quale si è data una disciplina organica in materia, piuttosto il decreto ministeriale del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica entrato in vigore solo il 24 gennaio 2024, a circa quasi tre anni dal decreto legislativo di attuazione delle CER.

L’incertezza degli operatori del settore era (ed è) relativamente ai regimi incentivanti e alle soglie da rispettare per l’accesso a contributi (come, per esempio, quelli del PNRR). Sicuramente questo ritardo ha rallentato la concreta operatività delle CER, piuttosto che la loro costituzione, poiché il quadro regolatorio relativo all’istituzione delle CER non sembra aver posto problematiche particolari se non rispetto al quesito sulla forma giuridica più adatta.

Cosa prevede il decreto del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica entrato in vigore il 24 gennaio 2024? In cosa differisce il testo entrato in vigore rispetto alla bozza presentata alla Commissione europea? Perché sono state apportate tali modifiche?

Piuttosto che sulla bozza che è circolata per diverso tempo mi soffermerei sulla versione approvata dalla Commissione europea. Il decreto ministeriale individua due strade per promuovere lo sviluppo nel Paese delle CER: 1) un contributo a fondo perduto fino al 40% dei costi ammissibili, finanziato dal Pnrr e rivolto alle comunità i cui impianti sono realizzati nei Comuni sotto i 5mila abitanti che supporterà o sviluppo di due gigawatt complessivi; 2) una tariffa incentivante sull’energia rinnovabile prodotta e condivisa per tutto il territorio nazionale.

I due benefici sono tra loro cumulabili. In aggiunta, sono previste tariffe premio per gli impianti a seconda dei livelli di insolazione, da applicare all’energia condivisa incentivabile. Per le Regioni del Nord come Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Lombardia, Piemonte, Trentino-Alto Adige, Valle d’Aosta, Veneto, hanno diritto a 10 euro in più per megawattora, mentre per le Regioni del Centro, come Lazio, Marche, Toscana, Umbria, Abruzzo, il premio è ridotto a 4 euro.

Il decreto ministeriale del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica nell’individuare i soggetti beneficiari e i requisiti per l’accesso agli incentivi (art. 3) preclude l’accesso agli incentivi ad alcune Comunità energetiche?

Il problema principale in termini di esclusione di soggetti già costituiti prima dell’entrata in vigore si pone per la previsione recata all’art. 3, co. 2, lett. c, ove l’ambito soggettivo sembra essere circoscritto alle comunità energetiche rinnovabili che risultano già regolarmente costituite alla data di entrata in esercizio degli impianti che accedono al beneficio, penalizzando, di fatto, gli impianti fotovoltaici già realizzati nelle more dell’emanazione dei decreti attuativi.

Secondo il MASE tale criticità sarebbe stata superata dal fatto che l’accesso alla misura tariffaria agevolata è consentita anche per quegli impianti già in funzione, a condizione che si possa dimostrare che questi siano stati progettati, sin dal principio, come «impianti di comunità» e, dunque, con l’obiettivo di accedere all’apposito regime incentivante.

Questo articolo è stato realizzato nell’ambito del workshop conclusivo del “Corso di giornalismo d’inchiesta ambientale” organizzato da A Sud, CDCA – Centro di Documentazione sui Conflitti Ambientali ed EconomiaCircolare.com, in collaborazione con IRPI MEDIA, Fandango e Centro di Giornalismo Permanente

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