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venerdì, Novembre 15, 2024

“Senza comunicazione i risultati non arrivano”: la raccolta degli oli secondo il consorzio Conoe

In più di 20 anni di attività, il consorzio che si occupa della raccolta e del trattamento degli oli e grassi vegetali e animali esausti ha visto aumentare notevolmente i propri numeri. Ma non è tutto oro quel che luccica. Ecco cosa ci ha detto il presidente di Conoe Tommaso Campanile

Sara Dellabella
Sara Dellabella
Giornalista freelance. Attualmente collabora con Agi e scrive di politica ed economia per L'Espresso. In passato, è stata collaboratrice di Panorama.it e Il Fatto quotidiano. È autrice dell'ebook “L'altra faccia della Calabria, viaggio nelle navi dei veleni” (edizioni Quintadicopertina) che ha vinto il premio Piersanti Mattarella nel 2015; nel 2018 è co-autrice insieme a Romana Ranucci del saggio "Fake Republic, la satira politica ai tempi di Twitter" (edizione Ponte Sisto).

I numeri, prima di tutto: il Conoe, il consorzio nazionale che si occupa della raccolta e del trattamento degli oli e grassi vegetali ed animali esausti, nasce nel 2001. Appena un anno dopo il quantitativo di oli usati gestiti nella filiera consortile ammonta a 15mila tonnellate e dieci anni dopo la sua fondazione, nel 2011, risulta di tre volte superiore e pari a 46 mila tonnellate. Nel 2018, ultimo dato disponibile, il totale degli oli raccolti dal consorzio ha raggiunto quota circa 76mila tonnellate. Un trend positivo, dunque, che non accenna a fermarsi.

Così come sono cresciute continuamente le adesioni al Conoe: attualmente partecipano al sistema consortile 12 associazioni di categoria in rappresentanza di oltre 300 mila produttori di olio esausto (principalmente attività commerciali ed artigianali per la ristorazione), 1 associazione di categoria in rappresentanza di oltre 500 aziende di raccolta e stoccaggio, 1 associazione e oltre 60 aziende di rigenerazione per il riciclo del rifiuto in materie prime seconde, 4 associazioni  di categoria in rappresentanza dei produttori di oli alimentari.Una bella storia di economia circolare, dunque. Ma i numeri, seppur importanti, non dicono tutto. Ecco perché, per avere un quadro della situazione più nitido, abbiamo scelto di intervistare il presidente di Conoe Tommaso Campanile.

Leggi anche: “Scusa, mi ricicli l’olio?”, il dossier sugli oli alimentari esausti

Se dovessimo scattare una fotografia: come va oggi la raccolta degli oli domestici?

Chi produce oli esausti da attività professionali è obbligato a conferirli a un consorzio, mentre per gli oli domestici, purtroppo i Comuni per molto tempo non li hanno considerati rifiuti e quindi non hanno organizzato la raccolta, come invece imporrebbe la legge. Solo negli ultimi anni, diverse amministrazioni hanno immaginato di iniziare la raccolta con contenitori nelle isole ecologiche. Il Conoe si è preso in carico di organizzare la raccolta nei Comuni e oggi in diversi Comuni italiani abbiamo una raccolta di prossimità, accompagnata da campagne di sensibilizzazione. Ma siamo ancora al 5% della raccolta di tutto il rifiuto prodotto.

Su Roma abbiamo solo 14 punti raccolta? In generale, non sono pochi?

A Roma siamo riusciti, dopo tre anni di discussione, a fare un protocollo di intesa con il Comune e la municipalizzata, Ama. Quest’ultima si è arrogata il compito di organizzare la raccolta e noi ci limitiamo alla parte di comunicazione e sensibilizzazione. Stiamo discutendo, abbastanza animatamente, sulla disseminazione di questi contenitori  a Roma, perché non c’è un contenitore nei mercati comunali chiusi. Ma quello che avviene nella Capitale, avviene anche in  altre città. Senza accompagnare la raccolta con campagne di comunicazione e sensibilizzazione, i risultati non arrivano.

Dove ci sono campagne corrette, quali sono i risultati?

In alcuni Comuni si è passati da una raccolta di 100/200 grammi di rifiuto per abitante per anno, a 1700 grammi. Immagini quindi qual è la risposta. Raccogliere l’olio e conferirlo non è la stessa cosa di raccogliere la plastica. E’ un po’ più complicato, però man mano che cresce una coscienza ecologica cresce anche questa raccolta.

Perché i Comuni investono così poco su questo tipo di raccolta?

Perché fino a poco tempo fa non lo consideravano come rifiuto, ma i Comuni sono obbligati a gestire e a raccogliere i rifiuti urbani. Non considerandolo come tale, non si sono mai posti il problema di raccogliere l’olio. Fortunatamente negli ultimi anni, grazie alla crescente attenzione all’ambiente le cose hanno iniziato a cambiare. Consideri che in alcuni Comuni non c’era neppure l’assessore all’Ambiente, oggi la delega c’è sempre. La situazione sta cambiando e noi ce la stiamo mettendo tutta, ma comunque prevediamo che i tempi saranno lunghi.

Come si fa a misurare un obiettivo, se non sappiamo quanto rifiuto viene prodotto ogni anno?

In base a delle stime sulla messa a consumo e dalla distinzione del tipo di olio: di semi e di oliva. Abbiamo stimato che di tutto l’olio che si usa, il 20% diventa rifiuto. Quindi è un’elaborazione basata sulle stime, non su numeri certi. Tra tutti gli oli esausti prodotti a casa, quelli da frittura sono un terzo, i due terzi sono rappresentati dagli oli scolati dalle scatolette nei lavandini.

Ha qualche esperienza virtuosa da segnalare?

I risultati migliori li abbiamo avuti nel Comune di Pordenone. Nelle grandi città abbiamo delle zone limitate in cui le cose vanno bene, municipi più virtuosi di altri. Però siamo ancora all’inizio. A Torino, Roma, Milano è tutto più complicato.

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