Dal Brasile alla Colombia le donne indigene si organizzano per difendere la foresta amazzonica e proteggere gli ecosistemi. L’obiettivo politico non è solo il diritto all’autodeterminazione delle comunità indigene che vivono in questi luoghi, ma rientra pienamente nelle strategie climatiche più urgenti ed efficaci: i popoli indigeni sono i custodi dell’80% della biodiversità del pianeta. Il Presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva ha annunciato di limitare la deforestazione dell’Amazzonia entro il 2030 come parte di un impegno internazionale per la protezione dell’ambiente. Ma il nuovo governo subisce ancora le influenze della più potente lobby brasiliana, la bancada ruralista, composta anche da senatori e deputati tra i più grandi latifondisti del paese.
L’agrobusiness in Brasile produce un quarto del Pil del paese e copre circa il 32% dei posti di lavoro (oltre 30 milioni). Con una macchina da 87 miliardi di dollari all’anno, i latifondisti, insieme ai minatori, puntano ancora alle terre vergini dell’Amazzonia per mantenere il business attivo.
In questa battaglia per la sopravvivenza il ruolo delle popolazioni indigene ha assunto una dimensione predominante: le donne indigene, per la loro capacità di preservare le tradizioni e unire le diverse esigenze di comunità sotto battaglie comuni, sono considerate difensore della terra.
Alessandra Korap, cresciuta in un piccolo villaggio nella regione del Parà, nel Brasile settentrionale, ha visto nel corso degli anni assottigliarsi il proprio spazio vitale e quello del popolo. La città vicina di Itaituba dagli anni ‘80 ha lentamente divorato i villaggi circostanti mentre la costruzione di due autostrade federali ha spianato la strada a nuovi coloni, cecatori illegali d’oro e taglialegna.
Così la comunità di Munduruku, 14.000 persone che vivono lungo il bacino del fiume Tapajos, negli Stati di Para e Mato Grosso è stata rapidamente soffocata. Le miniere illegali, le dighe idroelettriche e i porti fluviali per l’esportazione della soia hanno divorato le loro terre provocando un processo di deforestazione inarrestabile.
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L’impatto dell’attività mineraria nella foresta amazzonica
Dal 2018 al 2021, i tassi di deforestazione legati all’attività mineraria in Amazzonia sono aumentati del 62% e nel 2021 si è registrato il tasso più alto di deforestazione degli ultimi 15 anni. ll Brasile è uno dei cinque maggiori produttori di minerali al mondo, e la maggior parte dell’attività si registra nella regione amazzonica. Secondo l’ong Forests & Finance, l’estrazione mineraria ha causato quasi 1.2 milioni di ettari di deforestazione tra il 2005 e il 2015. L’amministrazione di Bolsonaro ha certamente peggiorato la situazione abbattendo anche le ultime protezioni ambientali e incoraggiando lo sfruttamento delle risorse naturali in Amazzonia. L’agenda dell’ex presidente rientrava nella ripresa della politica della dittatura militare, secondo cui i popoli indigeni sono legamente considerati “minori” sotto la tutela dello Stato e non possono esprimere il loro dissenso verso progetti di estrattivismo nei propri territori.
Il territorio indigeno Sawré Muybu, da cui proviene Alessandra Korap si estende per circa 439.00 acri di foresta amazzonica e non è formalmente riconosciuto dal governo brasiliano. Tra il 2011 e il 2020, sono state presentate 97 richieste di estrazione mineraria all’interno dell’area. La contaminazione del fiume Tapajós è aumentata, in parte a causa del mercurio utilizzato nelle miniere illegali, finendo per uccidere la flora e la fauna locale e i residenti stessi.
Korap nel 2023 ha vinto il Goldman Environmental Prize, riconosciuto come il premio Nobel per l’ambiente, per aver organizzato la resistenza della comunità Munduruku di fronte alle richieste di estrazione della compagnia mineraria britannica Anglo American.
Nel maggio 2021 il movimento ha registrato una grande vittoria: l’azienda ha annunciato pubblicamente di aver ritirato 27 richieste di ricerca mineraria all’interno dei territori indigeni, tra cui il territorio di Sawré Muybu.
L’attività di Korap è stata capillare e costante: ha coinvolto gli anziani, i capovillaggio e i guaritori della comunità con consultazioni continue, ha poi sviluppato una strategia di fundraising per sostenere le spese e diffondere il progetto di conservazione della propria terra. L’intera comunità si è unita nella costante attività di monitoraggio e misurazione dei livelli di deforestazione attraverso spedizioni continue nella foresta pluviale. Quest’ultima pratica, in partcolare, è stata efficace proprio per la conoscenza dei popoli indigeni dei luoghi più remoti della foresta, per lo più inaccessibili.
In un’assemblea del dicembre 2020, 45 capi e 200 partecipanti hanno redatto e pubblicato una dichiarazione ufficiale contro ulteriori attività minerarie e la deforestazione dell’Amazzonia. Le alleanze con Amazon Watch e Greenpeace hanno poi consentito un allargamento della campagna mediatica arrivando fino a forum internazionali.
Contestualmente, con l’arrivo di Lula al governo al posto di Bolsonaro nei primi sei mesi del 2023 la deforestazione dell’Amazzonia è calata del 34% rispetto allo scorso anno: i dati satellitari dell’Istituto nazionale brasiliano per la ricerca spaziale (INPE) indicano che nel mese di luglio sono stati disboscati 500 chilometri quadrati di foresta pluviale, il dato più basso dal 2017.
Il Presidente Lula ha anche dichiarato che cercherà di elaborare per la prima volta una politica comune per la protezione della regione, che comprenderà il problema della sicurezza lungo i confini e la richiesta alle imprese private di contribuire alla riforestazione di 30 milioni di ettari (74 milioni di acri) di terreno degradato.
A giugno 2023, la ministra dell’Ambiente Marina Silva ha dichiarato che il calo della deforestazione è stato il risultato diretto del rapido aumento delle risorse del governo Lula per l’applicazione delle norme ambientali e, secondo quanto riportato da Climate Home News, il Brasile vorrebbe rinegoziare migliori condizioni commerciali nell’ambito dell’accordo UE – Mercosur in cambio di garanzie ambientali sulla protezione della foresta amazzonica.
Di recente, l’Unione Europea ha avanzato nuove richieste ai quattro Paesi del Mercosur – Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay – per combattere i crimini ambientali.
Durante il vertice dell’Organizzazione del trattato di cooperazione amazzonica ospitato proprio dal Brasile ad agosto, il Presidente ha sottoscritto un impegno con altri 7 paesi per evitare la foresta superi il “punto di non ritorno”.
Eppure il 30 maggio, la Camera dei Deputati in Brasile ha approvato il “Projeto de Lei 490/2007”, una proposta di legge che l’ong Survival International, che si batte per la difesa dei popoli indigeni , definisce “il più grave attacco ai diritti indigeni da decenni”.
Secondo Greenpeace Brasile, l’approvazione della legge, che dovrà ora passare al Senato, viola la costituzione brasiliana del 1988. Relativizza, infatti, i diritti delle popolazioni indigene e forza l’apertura dei territori tradizionali all’agribusiness, sotto la spinta della lobby ruralista, ignorando il principio di riparazione storica nei confronti dei popoli originari espresso nella Costituzione. La deputata Célia Xakriabá del Partido Socialismo e Liberdade, prima deputata indigena dello Stato di Minas Geraism, ha dichiarato che la legge intende “uccidere la donna più anziana dell’umanita: la Terra”.
Oltre ad essere un crimine contro le popolazioni indigene, il progetto contribuisce ad aumentare nuovamente i tassi di deforestazione in Amazzonia, e compromette gli obiettivi climatici a livello globale.
La stessa Korap rimane scettica nei confronti del presidente Lula. A suo avviso, le sue azioni sono contraddittorie: se da un lato si batte per la protezione delle foreste, dall’altro negozia accordi commerciali con altri Paesi per vendere più esportazioni del Paese – carne bovina e soia – che sono i principali fattori di deforestazione in Brasile. “Un ministero è inutile se il governo negozia le nostre terre senza riconoscere che siamo qui”, ha dichiarato ad Ap news.
La lotta di Korap e delle donne indigene che difendono la Madre Terra non è solo una rivendicazione al diritto di autodeterminazione in nome di un popolo, ma rappresenta una lotta contro il patriarcato sottoforma di neocolonialismo. Il monitoraggio dei livelli di deforestazione, la cura e la protezione dei territori minacciati rappresenta una vera e propria resistenza al modello dominante e dimostra la stretta connessione che intercorre tra l’avanzata della frontiera estrattivista a livello globale, caratteristica determinante di questa fase del capitalismo, ed il progressivo restringimento degli spazi di conflitto e resistenza per movimenti, comunità e società civile organizzata.
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